Con lo sbarco in Italia tra pochi giorni della cerimonia di premiazione della World’s 50 Best Restaurants per la prima volta nella sua storia ormai ventitreenne, in molti si stanno chiedendo come funzioni davvero e quali benefici possa portare alla città che la ospita.
E’ noto che si tratti d’una sorta di Oscar del cibo, paragonabile alla più famosa notte del cinema americano non solo per l’importanza dei premi assegnati, ma anche per la dimensione mondana di cui è ammantata. Cosa deve dunque aspettarsi Torino, che con l’appoggio della Regione Piemonte è riuscita nella missione di trovare i fondi necessari a portarsela in casa? Parlando con William Drew, direttore dei contenuti nelle varie declinazioni di 50 Best (oltre ai ristoranti, pure bar e hotel godono di liste dedicate), ci si rende presto conto di come il tema della città ospitante sia qualcosa che riguarda più la promozione turistica e l’occasione per attrarre pubblico straniero, che un’iniziativa volta a coinvolgere la popolazione locale.

Questo non per snobismo o volontà di creare un ambiente esclusivo ed escludente, quanto piuttosto in virtù della natura dell’evento stesso. Il punto centrale di prestarsi all’organizzazione della cerimonia sta nella possibilità di poter accogliere la crème de la crème della gastronomia mondiale, in una miscela di cuochi, giornalisti, foodies e sponsor che raggruppa buona parte dei cosiddetti trend setter riconosciuti dalla comunità del cibo. “Nel caso di Torino e del Piemonte”, dice Drew, “è facile intuire l’effetto immediato di poter condividere le proprie meraviglie come carni, cioccolata, nocciole, Barolo o altri grandi vini, con una platea formata dai migliori palati e chef al mondo. In generale per Paesi come l’Italia è un’occasione utile a rafforzare un’immagine già ottima, mentre per altre realtà emergenti può essere uno strumento prezioso nell’ottica di farsi conoscere, magari gettando le basi e i contatti per costruire narrazioni future”.

Non esiste invece alcuna correlazione reale tra l’arrivo del carrozzone londinese e la crescita in classifica dei ristoranti locali, benché un effetto positivo si possa mediamente riscontrare, almeno nel breve termine. Ciò non per questioni commerciali dirette che farebbero la felicità di chi ama i complotti, ma in scia a una ragione molto più logica e semplice: dovendo fare viaggi spesso lunghi per giungere nel Paese ospitante, molti addetti ai lavori preferiscono allungare di qualche giorno la propria permanenza, finendo ovviamente col visitare i ristoranti della zona dando priorità a quelli già presenti nel circuito 50 Best. E’ una banale conseguenza geografica, che però un minimo incide sui risultati nell’anno successivo all’evento. Proprio il sistema di votazione (di cui trovate un riassunto a questo link) genera diversi dibattiti, benché la William Reed (azienda proprietaria del marchio, editorialmente in sella fin dalla prima edizione) si impegni ogni anno di più per divulgare chiarimenti e rispondere alle tesi di chi l’accusa di favorire atteggiamenti poco limpidi come lo scambio o la compravendita di voti.

“È nella natura di qualsiasi classifica far discutere”, commenta a riguardo Drew, “perché nel momento in cui si stabiliscono delle gerarchie si tende a indispettire chi la pensa diversamente. Sappiamo molto bene quanto un buon piazzamento in 50 Best possa condizionare la vita di un ristorante o talvolta di un’intera regione, ed è logico che chi può permetterselo investa in campagne promozionali volte ad aumentare le proprie possibilità di scalare posizioni, ma il nostro compito è controllare che qualsiasi iniziativa venga mossa nel rispetto delle regole. Le aggiorniamo spesso per farle restare al passo con i cambiamenti, e cerchiamo a ogni edizione di renderle meno aggirabili. Rispetto al passato abbiamo ridotto il numero di chef tra i votanti, così da scoraggiare qualsiasi calcolo che potesse portarli ad accordarsi per scambiare le preferenze. Inoltre stiamo lavorando a un sistema in grado di certificare con maggior accuratezza se chi vota per un locale ci sia effettivamente stato. L’idea è di non considerare soltanto gli scontrini dei conti, ma anche contenuti pubblicati sui social, altre foto scattate durante la visita, mail di conferma dell’avvenuta prenotazione, e così via. In questo modo dovremmo anche ridurre al minimo pure un altro rischio, quello di una classifica un po’ statica e poco incline a grandi scossoni, per via della costante riconferma di chi già c’è dentro. C’è la possibilità che un votante dia le proprie preferenze ai ristoranti del suo Paese presenti in lista a prescindere dall’averli visitati o meno nell’arco temporale di 18 mesi che noi diamo come limite. Se da un lato è comprensibile dal punto di vista “patriottico”, dall’altro mina la correttezza del processo e soprattutto rende molto più difficile per una nuova realtà farsi largo sostituendo una di quelle più storiche. Resta sempre tanto da fare, ma ce la mettiamo tutta perché di anno in anno la credibilità complessiva della manifestazione continui ad aumentare”.

Volendo trovare il lato migliore anche di questi aspetti da sistemare, bisogna sottolineare come queste forme di prevenzione si siano rese necessarie per via degli effetti collaterali d’uno dei benefici maggiori che 50 Best ha portato nel tempo a questo settore: la nascita e la crescita di una vera e propria comunità, formata da cuochi e gastronomi sparsi in ogni angolo del mondo. Inoltre ci sono alcuni esempi che senza negare l’importanza d’un buon lavoro di comunicazione per affermarsi, dimostrano però la possibilità di raggiungere il successo passando per altre vie meno aleatorie. Uno dei favoriti di quest’anno, che soprattutto in molti tra i colleghi si auspicano possa vincere, è Asador Extebarri di Axpe, il tempio basco del fuoco e della brace guidato dalle mani leggendarie di Bitor Arguinzoniz. Non parla inglese, non ha un ufficio stampa, è complicato prenotare e si paga tutti il conto senza sconti particolari per giornalisti o gastronomi.

Da diversi anni occupa posizioni alte della classifica, e dopo essere stato al numero 2 l’anno scorso, questa volta potrebbe spuntarla (ricordiamo che dall’introduzione nel 2019 della Best of Best, ovvero il meccanismo per cui il vincitore esce dalla graduatoria ed entra a far parte d’una sorta di Hall of Fame, finora chi ha avuto la medaglia d’argento in un’edizione ha sempre vinto quella successiva). Un trionfo di Etxebarri sarebbe la miglior risposta a chi sostiene che l’intera kermesse sia un intreccio di giochi politici e investimenti faraonici, e William Drew la commenta così: “Bitor, e altri grandi chef che come lui preferiscono concentrarsi ogni giorno sul FARE il proprio lavoro, piuttosto che promuoverlo, è giusto che siano esempio e orgoglio non solo per noi, ma per chiunque si dedichi a questo mestiere. Ho un ruolo che non mi permette di fare il tifo o appoggiare alcuna realtà rispetto a un altra, ma mi fa piacere notare come la natura varia dei ristoranti che lottano per vincere rifletta il cambiamento enorme verso cui viaggia questo settore, con mille declinazioni vincenti che raccontano ciascuna la propria storia”.

Gli faccio notare che stanno prendendo piede un po’ dappertutto le tavole casual a dispetto di quelle puramente fine dining, e si tratta della seconda volta che la 50 Best accompagna e sottolinea questo trend (la prima fu con l’ondata di bistronomia francese che portò discussioni, ma pure forti folate di cambiamento, elevando locali come Septime o Le Châteaubriand ai vertici di Francia e del mondo). Drew risponde: ”E’ la prova di quanto la classifica rifletta i valori della ristorazione contemporanea come uno specchio, senza filtri. Nessuno può programmare una rivoluzione a tavolino, siamo tutti spettatori delle abitudini degli ospiti che cambiano portando le offerte a evolversi con loro”. Nel frattempo il conto alla rovescia comincia a farsi serrato, e la comunità mondiale della cucina ha già iniziato a radunarsi su Torino o a esplorare nuove parti d’Italia prima di portarsi all’ombra della Mole. Vincerà davvero Extebarri? O sarà il Maido di Lima a portarla a casa facendo leva sul supporto dell’intera America Latina? Magari sarà invece un outsider in forte crescita come l’Alchemist di Copenaghen?


Per questo tipo di risposte bisogna attendere la sera del 19 giugno, ma nel frattempo si può giocare o scommettere tra amici, magari mettendo in palio una bottiglia di vino come si deve. L’aspetto più importante da non dimenticare quando si parla di 50 Best è che benché sia una classifica importante capace di cambiare vite, tratta pur sempre d’ospitalità e accoglienza; insomma della sempre più complicata arte dello stare insieme.