Il nuovo alleato degli chef non è un sous-chef in carne e ossa, ma un chatbot. ChatGPT, il celebre modello linguistico sviluppato da OpenAI, è lo strumento più discusso tra i professionisti della ristorazione nel 2025. Non più solo per gestire turni e scorte, ma per creare ricette, menu e persino atmosfere da sala. Un esempio su tutti? Il ristorante Next di Chicago, dove per quattro mesi del 2026 sarà proposto un menu di nove portate ideato da chef... immaginari, frutto dell’interazione tra l’intelligenza artificiale e la mente visionaria di Grant Achatz.
Foto dello chef in copertina: Fire Restaurant
Chef Jill, tra Escoffier e fantascienza
Tra i protagonisti del menu futurista del Next, come annunciato qui dal New York Times, ci sarà Jill, una chef di 33 anni del Wisconsin, dal curriculum strabiliante: apprendista sotto Ferran Adrià, Jiro Ono e persino Auguste Escoffier. Dettaglio non trascurabile: Escoffier è morto nel 1935. Jill è una creazione interamente artificiale, il risultato di prompt forniti da Achatz a ChatGPT, che ne ha sviluppato biografia, influenze e piatti. L’obiettivo? Costruire un percorso degustazione capace di fondere mondi culinari opposti, stimolando la creatività umana con l’imprevedibilità algoritmica.
Dall’ispirazione al piatto
L’uso dell’A.I. generativa in cucina sta facendo breccia, anche se lentamente. Se molti ristoranti già la sfruttano per la logistica, pochi chef la coinvolgono nelle fasi più creative. Achatz è un caso degno di nota, ma va detto che anche altri stanno seguendo il suo esempio.

Jenner Tomaska, per dire, ha chiesto a ChatGPT di reinventare il barbajuan, uno gnocco fritto monegasco, combinando stile Ducasse, steakhouse americana e prodotti del Midwest. Il risultato? Un ripieno a base di gamberi di fiume, miso bianco, aneto e sedano rapa sottaceto; “strano, ma intrigante,” commenta lo chef.
Una guida paziente e senza giudizio
Uno dei vantaggi dell’intelligenza artificiale è la sua inesauribile disponibilità. Ned Baldwin, chef del Houseman a Manhattan, ha interrogato ChatGPT sulla scienza della salsiccia, ricevendo risposte dettagliate su miosina, amidi e tecniche di emulsione. “Ti spiega tutto senza giudicare,” dice Baldwin, evidenziando un valore spesso sottovalutato: la possibilità di porre domande senza imbarazzo, anche su argomenti da principiante.

L’intelligenza visiva
La collaborazione con l’AI non si ferma alle parole. Sempre più chef utilizzano strumenti come Midjourney per trasformare descrizioni testuali in immagini suggestive. Tomaska ha progettato una ciotola a forma di peperone poblano partendo da un’immagine generata artificialmente, poi realizzata da un ceramista messicano. A Esmé, un altro piatto nasce da una composizione visuale su Midjourney, poi trasformata in una tovaglietta d’autore. Anche l’interior design trae beneficio da questa tecnologia: Dave Beran ha affinato con l’AI il concept visivo del suo ristorante, traducendo emozioni in spazi.
Creatività potenziata, non sostituita
Nonostante l’entusiasmo, la comunità gastronomica resta divisa. Alcuni, come Dominique Crenn, difendono il carattere umano della cucina (ve lo abbiamo raccontato qui: leggete l'intervista), rifiutando qualsiasi collaborazione con i software di ultima generazione. Altri, come Aaron Tekulve del Surrell, a Seattle, vedono nell’AI uno strumento utile, seppur ancora sottoutilizzato. Il rischio non è che il modello digitale sostituisca la mano dell’uomo, ma che venga mal utilizzato come fonte di ispirazione creativa.

Il futuro in sala e in cucina
L’intelligenza artificiale non cucina né impiatta, ma può suggerire, ispirare, insegnare. E, soprattutto, può proporre idee inaspettate, fuori dagli schemi. Proprio come un buon produttore musicale può trasformare una jam session in un capolavoro, così ChatGPT può aiutare uno chef a superare un blocco creativo, a immaginare nuove esperienze culinarie, a riscoprire curiosità e sperimentazione. Achatz oggi definisce ChatGPT “il suo strumento di cucina preferito”, usato anche per studiare combustibili da cucina esotici e ispirarsi alla paleontologia per creare un piatto dedicato ai fossili della Patagonia. Il dialogo tra uomo e macchina, secondo lui, non è solo utile, ma necessario: “Quel tipo di dialogo creativo che una volta avevamo tra cuochi, oggi esiste solo con l’AI. Ma è il cuore del progresso.”

Conclusione: l’AI in cucina è una rivoluzione silenziosa
Il connubio tra chef e AI non è una sostituzione dell’arte culinaria, ma una sua nuova fase evolutiva. Le macchine non cucinano, ma ascoltano, apprendono e rilanciano. E in un mondo gastronomico che rischia di ripetersi, la scintilla di un’idea insolita – anche se generata da una “mente elettronica” – può essere l’ingrediente segreto per innovare davvero.