Chef

Chi è Sebastiano Lombardi: lo chef pugliese premiato con la stella sulle Alpi Svizzere

di:
Elisa Erriu
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copertina sebastiano lombardi

Come un abile chef pugliese ha ottenuto la stella sulle Alpi Svizzere, portando il riconoscimento tra le cime di Verbier a 1500 metri.

Lo chef

Tra le cime imbiancate di Verbier, dove l’aria sa di resina e i tramonti sembrano acquerelli, c’è un luogo dove il tempo si arresta e la cucina diventa poesia: lo Chalet d’Adrien, sontuosa dimora a cinque stelle incastonata nei panorami delle Alpi svizzere. Ma più che i comfort da rivista — 29 camere ovattate, spa Clarins, piscina panoramica — è la mano di Sebastiano Lombardi a rendere questa oasi gastronomica un pellegrinaggio per gourmet. Alla guida della “Table d’Adrien”, l’unico ristorante stellato di Verbier, lo chef pugliese ha portato con sé il profumo del mare e la tenacia della montagna, fondendo tradizione e creatività con un rigore quasi musicale. D'altro canto, Lombardi conta esperienze di rilievo nel Belpaese, cui è profondamente legato (basti pensare alla guida de Il Cielo, ristorante del Relais La Sommità di Ostuni, e de Il Pellicano di Porto Ercole dopo Antonio Guida), ma ha scelto da anni i monti della Svizzera.

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Originario delle assolate campagne pugliesi, per l'esattezza di Andria, Sebastiano Lombardi è cresciuto con i piedi nella terra e la mente tra i profumi della cucina della nonna. Ed è proprio lì che affonda la sua “madeleine de Proust” culinaria: l’acquasale, un piatto povero ma ricco di ricordi, composto da pane raffermo, acqua fredda, acciughe, cipolle, sedano, pomodori e origano.Un tempo era la ricompensa dopo una giornata nei campi”, ha raccontato alla testata Food&Sens,una zuppa fredda, rinvigorente, che a volte si arricchiva con un po’ di pesce”. Un inno alla semplicità, dove ogni ingrediente parla di terra, fatica e affetto.

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Se dovesse incarnarsi in un ortaggio, Sebastiano sceglierebbe il fagiolino: umile, versatile, discreto, ma capace di slanci sorprendenti in cucina. Sul fronte vini, un buon calice di Champagne, che per il cuoco italiano è la bevanda delle grandi occasioni, ma anche di quelle piccole celebrazioni quotidiane. In dispensa, tra spezie e profumi, uno dei suoi aromi prediletti è il Vadouvan, un mix francese dalle suggestioni indiane che trova la sua consacrazione in abbinamento al lombardo. Un connubio audace, come ogni incontro ben riuscito tra culture e latitudini.

sebastiano lombardi piatto
 

Nel firmamento dei suoi piatti del cuore, brilla il “riso, patate e cozze”, simbolo della cucina barese. Un piatto che parla il linguaggio delle tavole popolari, dove il riso si intreccia alle patate in un abbraccio salmastro con le cozze, creando un gratin denso di memoria e sentimento. Non c’è nostalgia, però, nella cucina di Lombardi: c’è semmai una riscrittura rispettosa, che parte dalle radici ma sa slanciarsi in altitudine. Non tutto però entra nelle sue cucine. Un’assenza voluta è quella dell’anguilla. “La adoro, ma è una specie minacciata, e preferisco rinunciarvi per rispetto del mare e del suo equilibrio”, spiega con fermezza. Un gesto coerente con una filosofia più ampia, che si riflette anche nella sua lotta quotidiana al plastica. “Non è facile in una cucina professionale, ma è una battaglia necessaria. Preferisco lavorare con fornitori locali: le fattorie dell’Entremont e La Magne ci riforniscono di formaggi, uova, ortaggi… L’importante è che sappiano garantire sia qualità che quantità.”

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Alla sua squadra, lo chef rivolge ogni giorno un mantra semplice ma potente: “Non mollare mai”. Una frase che racchiude tutta la sua visione del mestiere: la costanza come chiave del successo, la dedizione come motore, la perseveranza come bussola. “In cucina non basta il talento, serve disciplina, spirito di sacrificio, voglia di migliorare sempre”, afferma. Una visione oculata, ma intrisa di umanità e passione. Il suo universo sensoriale è composto di note d’opera cantate da Pavarotti e del profumo dell’erba tagliata nei campi appena mietuti. Una sinfonia di immagini e odori che si ritrovano nei suoi piatti, sempre costruiti con un’attenzione quasi maniacale alla coerenza e alla costanza. Nulla è lasciato al caso, nulla è concesso all’improvvisazione.

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Due sono i fari che hanno illuminato la sua carriera: Antonio Guida, due stelle Michelin al Mandarin Oriental di Milano, e Nino di Costanzo, chef del Daní Maison a Ischia. Con entrambi ha condiviso un percorso intenso, fatto di rigore e poesia, di tecnica e visione. Eppure, il sogno rimasto sospeso è forse il più tenero: far assaggiare la sua cucina alla sua famiglia, che vive ancora in Puglia e non ha mai potuto gustare i suoi piatti stellati. Un desiderio che si mescola alla malinconia e che racconta meglio di mille parole il cuore di un cuoco che, nonostante l’altitudine, non ha mai dimenticato le sue radici.

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