Un albergo capace di strutturarsi verticalmente, accogliendo tanto i romani in fase di aperitivo quanto i gourmand in ritiro culinario. Da Acquolina farete il giro di 3 continenti in 3 ore di cena, ma non è l'unica sorpresa per chi soggiorna al The First Arte: fra 200 opere moderne e bistrot a 6 piani da terra, qui l'accoglienza ha un timbro personale, oltre i cliché dell'hotellerie di zona.
Se il lusso equivale al senso di libertà, come amava ribadire un certo Karl Lagerfeld, è pur vero che oggi non bastano suite patinate, arredi wow-effect e aree Spa a misura di viaggiatori pretenziosi per fare di un 5 stelle una meta eletta dell'andirivieni internazionale. Oggi il vero lusso sta nella capacità di rendersi riconoscibili, schivando le solite formule inflazionate del business "copia&incolla". Ed è proprio grazie a questo timbro personale che, in una strada seminascosta dalla triade capitolina di Piazza di Spagna, Via del Corso e Flaminio, ha messo radici uno dei boutique hotel più frequentati dai romani, oltre l'èlite estera a caccia di soggiorni di livello nell'Urbe.


Viste le premesse, verrebbe facile aprire il discorso sul The First Roma Arte snocciolando i premi ricevuti nel corso degli ultimi anni. Quel che c'interessa è, invece, inquadrarne la capacità di strutturarsi in verticale, richiamando una clientela che va dalla giovane comitiva in fase di aperitivo al gourmand solitario in ritiro culinario. Parliamo, non a caso, dell'unico complesso alberghiero di Roma con ristorante interno 2 stelle Michelin -Acquolina, guidato dallo chef Daniele Lippi-cui si somma la formula "smart dining" di Acquaroof Terrazza Molinari, dove lo sguardo plana dritto sullo skyline cittadino a sei piani da terra.



"Ciò che ci preme è replicare ovunque una firma ben leggibile. Vale tanto nell'alta ristorazione, quanto nella proposta di un pasto immediato, ma curato", racconta Benito Cascone, restaurant manager dell'insegna con una sfilza di trascorsi oltreconfine, da Le Manoir Aux Quat’Saisons a Le Pavillon Ledoyen e il Mirazur. "Classico esempio? Lo spaghettone alle vongole veraci da assaporare sul rooftop, dove la linea del menu viaggia spedita e il prodotto arriva fresco la mattina dai pescherecci di Anzio. Quindi, selezione e ricerca pure nella semplicità apparente del tipico primo di pesce. I locals vengono per passare due ore di relax disimpegnato e qui trovano il clima giusto tutto l'anno, persino d'inverno: ti senti quasi al mare mentre guardi i tetti della Capitale".


L'affaccio aiuta, la squadra gioca la carta vincente della trasversalità. "Sembrano inezie, invece sono dettagli clou: chi coglie un'identità precisa poi ritorna". Del resto, l'interscambio di talenti segue un'agile prassi "maison": "Le nuove leve 'fanno palestra' al Bistrot di Aquaroof, anche se l'obiettivo finale è lavorare in sala da Acquolina. In questo modo hanno tutto il tempo di familiarizzare con la struttura step by step, di allenare la velocità e i riflessi a contatto con il pubblico". Ed eccoci giunti al nodo cruciale, quella formazione di cui tanti parlano e in cui pochi sono realmente disposti a investire: al The First lavorano principalmente giovani, dalla reception al gourmet, passando per le figure addette alla comunicazione e i mixologists capitanati dal bar manager Alessio Grimaldi (artefice di un'intrigante drink list ispirata alle costellazioni, "Il Cielo su Roma", ndr). Un caso? Difficile crederlo, considerati gli standard anagrafici dell'hotellerie di zona: cenando nel bistellato balza subito all'occhio un gruppo composto in buona parte da professionisti under 30.


Alla varietà delle opzioni gastronomiche (che approfondiremo meglio fra qualche riga) si alterna inoltre lo stacco visivo dal basso verso l'alto, poiché ogni livello di accoglienza esibisce il ciclo di opere di un grande artista italiano, per un allestimento in fieri che supera i 200 capolavori contemporanei. Letteralmente, "una notte al museo" per coloro che scelgono lo stay.
L'hotel: l'arte come sfondo e un'accoglienza distintiva che non segue i cliché

Arte, dicevamo, anticipata sin dal nome sull'insegna e diffusa poi nell'intero edificio del Gruppo The Pavillions, al punto da generare effetti che dilatano la percezione dello spazio. Si parte dall'astrattismo dell'autrice Licia Galizia al primo piano e si prosegue con i paesaggi sognanti di Giusy Lauriola al terzo, laddove la fusione di tinte e resine getta un ponte fra l'area living e le stanze da letto in suite; salendo al quarto, colpisce la potenza espressiva dei chiaroscuri nelle esposizioni di Giovanni de Angelis, mentre il quinto è dedicato ad Angelica Romeo, con quadri incentrati sulla gestualità e la plasticità "3D" degli inserti.


Senonché lo stesso dinamismo investe l'architettura, complice il recente intervento dello Studio Marincola. Immaginatevi, da fuori, una residenza nobiliare ottocentesca che combina la posizione appartata con la vicinanza all'habitat vitale del centro. Ebbene, varcando l'ingresso si ha la sensazione di accedere a un palazzo privato che, però, stringe la modernità in un abbraccio dai toni caldi, con intime sale di lettura e il nuovo bar Acqualounge (capace, a breve tempo dal debutto, di catalizzare l'attenzione degli esterni per una pausa dalla frenesia quotidiana o un incontro di lavoro).


Entrando nella bolla del relax, il tratto distintivo delle 26 camere e suite è senza dubbio l'ampiezza, insieme a un ventaglio di attenzioni particolarmente apprezzate dagli habitué. Basti pensare al Menu dei cuscini, con un discreto assortimento di modelli e relative essenze profumate a favorire il riposo notturno; non da meno, il comfort dei divanetti di velluto, inondati dalla luce naturale del cortile esterno che giunge fino al salotto; infine, le chiavi di legno riciclato in combo con ulteriori strategie ambientali (vedi i contenitori per il sapone realizzati in bioplastica di mais). Il centro benessere? Talvolta "è incluso" direttamente negli alloggi. Lo dimostra la Spa Suite, prenotabile con sauna e jacuzzi, più l'eventuale extra di una panoramica privilegiata sui tetti di Roma.



Eppure, se dovessimo evidenziare l'aspetto che aggiunge realmente spessore all'esperienza, citeremmo in blocco la colazione: quello al The First resta uno dei nostri migliori risvegli romani, con un banchetto allestito al tavolo in luogo della consueta formula buffet. Fra i plus, una selezione di 5 tipologie di pane (anche già tostato!) cui abbinare i Mieli di Giorgio Poeta, numerose confetture, sfogliati caldi, ricottina fresca di prossimità e burro d'Isigny. Lo yogurt è bianco, in versione rigorosamente nature, e i krapfen straripano di crema aromatizzata dalla vaniglia in bacca. Sul fronte salato, la brigata prepara al momento alcune pietanze espresse alla carta, fra cui consigliamo l'omelette con ripieno del giorno e avocado toast; il tutto disposto in bella vista, davanti alle antichità sfiorate dal sole del mattino.

Spoiler alert: non distanti dal The First Arte si elevano i due alberghi associati, The First Dolce e The First Musica, meritevoli di un focus a sé per design e gastronomia. Veniamo dunque ad Acquolina, destinazione di punta per la cena in loco.
Acquolina: com'è cenare nell'unico ristorante bistellato d'hotel di Roma
Di Acquolina vi abbiamo raccontato ampiamente qui il tasting menu, ma la macchina a 2 stelle azionata dal manager della ristorazione Andrea La Caita -con Daniele Lippi e Benito Cascone rispettivamente ai fuochi e all'accoglienza- è in piena corsa, e vale la pena provare a fotografarla nel complesso oltre il singolo boccone.


In primis, l'ospite è reso partecipe di qualcosa che solitamente resta nelle retrovie della cucina: le "fasi nascoste" di elaborazione dei piatti vengono infatti presentate a mo' di piccole anteprime -non portando un carrello in sala a fine cottura, ma mostrando live gli stadi della materia in evoluzione. Accade, per dire, con il miso di roveja, dove i piselli selvatici originari del Centro Italia -trattati con muffe naturali e fermentati per 5/6 mesi- danno vita a un insaporitore scuro simile alla soia. In estrema sintesi, scuola asiatica e prodotto nostrano: la preparazione in barattolo finisce giusto davanti ai commensali, "prima di essere impiegata nella marinatura di uno spiedino di seppia e lardo di colonnata che, a seguire, scottiamo su brace", spiega lo chef. Avete mai mangiato un kebab di pesce? È questo il tributo di Lippi alla Turchia, parte di due degustazione che esplorano per tappe l'intero bacino del Mediterraneo. A lato, la testa della seppia compone una tartare adagiata su una deliziosa focaccia a base di yogurt e za'atar (noto blend di spezie turco, ndr).

Così, man mano i lievitati passano da semplici comparse ad attori principali, grazie all'operazione di archeologia gustativa che da sempre guida la mano dello chef. Lo conferma la pagnotta "ancestrale" di derivazione sarda -Su Pan'Ispeli- con una buona quota di farina di ghiande (15-20%), da spalmare a volontà di burro affumicato al fieno: "Su quest'ultimo aggiungiamo il cuore di tonno, marinato per 2 giorni sotto sale e successivamente essiccato". Di pari livello lo sfogliato al pomodoro e polvere di capperi ed i grissini di farina di polenta.


Se vi state chiedendo quanto tempo venga dedicato all'introduzione degli assaggi, sappiate che la risposta non è scontata: il servizio tiene attivo l'interesse senza mai calcare troppo il discorso sulle creazioni di maggior complessità. Nel nostro caso, a fissarsi nei ricordi è stato l'incipit della Genovese -un primo estremamente tecnico e, insieme, godurioso per i cenni alla ricetta pop partenopea. Rimandi sottili, fa notare il team, dato che Lippi sostituisce il ragù bianco di vitello con la trippa di baccalà: questa, rilasciando naturalmente collagene, lega gli amidi e simula la parte grassa del sugo bovino. "La cottura delle candele spezzate termina in un estratto di cipolle bruciate", chiosa lo chef. "Dall'albumina del pesce montata ricaviamo inoltre una salsa pil-pil di baccalà". Davanti a noi una "genovese marina" che scava nella profondità dell'ingrediente e poi attracca sulla terraferma, con l'immancabile spolvero di Pecorino in uscita.


Nel calice, il partner ideale è l'Ergo DOC di Cantina Mirizzi, un Verdicchio Classico Superiore dei Castelli di Jesi con lungo affinamento (parzialmente in anfora) che unisce avvolgenza e sapidità, rincorrendo le sfumature cangianti della pasta. "La nostra carta dei vini è tarata su preferenze internazionali: supera le 1000 referenze e spazia dalle realtà estere di prestigio ai viticoltori italiani di nicchia. Regola aurea? Evitare le etichette scontate: anche nel pairing tentiamo di marcare un'identità, presentando produttori meno gridati. Fermo restando che la gamma degli abbinamenti segue sempre e comunque l'iter sviluppato dalla cucina, a filo diretto col territorio", conclude Benito Cascone.

Fra gli highlights del menu (difficile riassumerli tutti in questa sede, ma torneremo presto sull'argomento) fanno breccia i dessert, dalla grafica incisiva e i picchi d'intensità inattesi al termine della serata. Stagione permettendo, a scandire i titoli di coda è la Torta di zucca cotta nel caramello, gelato ai semi di zucca e ganache di amaretto Disaronno. Scuote i sensi il lieve contrasto del sale Maldon, mentre al naso arriva la fragranza balsamica del timo. E alla fine si va via con l'impressione di aver girato tre continenti in tre ore di cena.

Contatti
The First Roma Arte- Acquolina- Acquaroof Terrazza Molinari
Via del Vantaggio 14, Roma
Telefono: 06 4561 7070