«Il problema del personale è autoprodotto», afferma con fermezza Bardia Torabi, uno degli albergatori più acclamati d’Europa. Una dichiarazione che pesa, soprattutto se arriva da chi ha diretto alcune delle strutture più prestigiose del mondo, dall’Adlon di Berlino al Ritz-Carlton in Medio Oriente, fino al 7Pines a Ibiza. Ma per Torabi la verità è semplice: solo dipendenti felici possono rendere felici gli ospiti. E un sorriso sincero, nel settore dell’hospitality, vale più di mille CV internazionali.
L’ospitalità non si improvvisa: bisogna averla nel sangue
Persiano di origine e cittadino del mondo per vocazione, Torabi ha fatto dell’ospitalità una filosofia di vita. «Mi piace servire», ha recentemente confessato con orgoglio a Rolling Pin, sfidando il pregiudizio che in Occidente spesso accompagna questa parola. Cresciuto in una cultura che fa della condivisione e dell’accoglienza valori fondamentali, considera l’ospitalità non come un mestiere, ma come un’attitudine profonda. Il successo di un hotel non nasce mai da solo. Torabi lo sa bene, ed è per questo che mette i suoi collaboratori sullo stesso piano degli ospiti. «Il mio lavoro non sarebbe stato possibile senza le persone accanto a me», sottolinea. Figure come il direttore Daniele Trombacco o lo chef Óscar Salazar sono solo alcuni dei professionisti con cui ha condiviso successi, innovazioni e visioni.

La carenza di personale? Una ferita aperta
Per Torabi, il problema della carenza di personale nella ristorazione e nell’hotellerie non è una conseguenza inevitabile, ma una responsabilità diretta delle aziende. «Abbiamo pagato male per tanto tempo. E se non riconosci il valore di una persona, quella persona se ne andrà. Lo stipendio non è tutto, ma esprime apprezzamento.», afferma. E oggi più che mai è necessario ristabilire quell’equilibrio per attrarre, formare e mantenere nuovi talenti.
Oltre il curriculum: cercare l’anima delle persone
Non basta aver lavorato a New York, Shanghai o Milano. Per Torabi, il vero valore aggiunto di un collaboratore è la sua “umanità professionale”: la capacità di accogliere, emozionare e creare ricordi. Il curriculum è solo un punto di partenza. «È più importante capire cosa porta quella persona nel DNA», sostiene. In un’epoca dove l’autenticità diventa merce rara, Torabi investe nelle persone, prima ancora che nelle competenze. "Credo fermamente che se i dipendenti sono felici, regaleranno un sorriso sincero agli ospiti e saranno disposti a fare di più. Metto i miei dipendenti sullo stesso livello degli ospiti. E questo non è uno slogan di marketing".


Una carriera internazionale, ma con radici profonde
Arrivato in Germania a sette anni, dopo essere fuggito con la famiglia dall’Iran per motivi politici, Torabi ha imparato presto cosa significhi essere “lo straniero”. Un’esperienza che lo ha segnato, ma anche fortificato. «Dovevo correre più veloce, restare più a lungo, farmi valere». Ed è proprio questa determinazione che lo ha portato a distinguersi in un mondo dove l’ospitalità spesso si ferma alla superficie. Torabi non è il tipo che si accomoda. «Io me ne vado quando un progetto è concluso. Non sono un gestore, sono un creatore», dice. E se gli si chiede se vuole creare un hotel perfetto, la risposta è spiazzante: «Non esiste. Dove lavorano le persone, ci sono errori. Ma è il modo in cui li affrontiamo che fa la differenza tra un buon servizio e una semplice amministrazione». La perfezione non sta nell’assenza di problemi, ma nella capacità di trasformarli in opportunità.

L’importanza dell’internazionalità e dell’adattamento
L’apertura al mondo è un tratto distintivo di Torabi. «Non voglio essere il tedesco-persiano che lavora in Spagna, ma il tedesco-spagnolo», racconta. Curiosità, lealtà e spirito di scoperta sono gli ingredienti della sua leadership. Nell’epoca dell’intelligenza artificiale e delle cucine robotiche, resta un interrogativo cruciale: ha ancora senso puntare sull’elemento umano? Per Torabi la risposta è sì, a patto di usare la tecnologia per liberare tempo, non per sostituire relazioni. Viene naturale chiedersi se una figura così dinamica pensi mai alla fine della corsa. «Prima o poi arriverà il momento giusto. Ma non voglio aspettare i 65 anni per riconoscerlo», sorride Torabi. Fino ad allora, continuerà a trasformare ogni hotel in un “place to be”, dove l’ospitalità è un’arte che nasce dal cuore.