Attualità enogastronomica

Spagna: gruppo di 40 persone va a mangiare all'orario di chiusura, ma il titolare dice no

di:
Elisa Erriu
|
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Il ristoratore non si è limitato a uno sfogo, ma ha acceso un faro su un tema tanto diffuso quanto ignorato: le condizioni di lavoro nel mondo della ristorazione.

*Foto realizzate con Gemini

La notizia

In un’epoca in cui ogni cliente può trasformarsi in critico gastronomico a colpi di stelline e commenti velenosi, c’è chi ha deciso di ribaltare le regole del gioco. E lo ha fatto con ironia, lucidità e – soprattutto – una buona dose di coraggio. È la storia di un ristoratore che, stanco delle intemperanze di una certa clientela e dei ritmi estenuanti del mestiere, ha deciso di scrivere una recensione… su sé stesso. Il gesto, condiviso dal seguitissimo profilo Soy Camarero – autentico megafono delle voci spesso trascurate del settore dell’ospitalità – è stato accolto con un fragoroso applauso virtuale. Non solo per il contenuto, ma per la verità che quel post ha saputo raccontare con disarmante onestà. “Sono il proprietario e scrivo questa recensione per me stesso”, esordisce così il messaggio del ristoratore, quasi fosse l’incipit di un’autobiografia gastronomica dai toni tragicomici.

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Il fatto è presto raccontato: mentre il personale era intento a chiudere il locale, alle 17:30 fa irruzione un gruppo di una quarantina di persone. Nessuna prenotazione, solo pretese. Di fronte al cortese ma fermo diniego dello staff – stremato dopo ore di lavoro – la reazione degli avventori si trasforma in un crescendo di lamentele, voce alta e zero empatia.Ci sono 45 persone che aspettano un drink e quando diciamo di no, alzano la voce, rivelando la loro arroganza e maleducazione”, racconta il proprietario. Parole che non lasciano spazio a fraintendimenti. Ma la frase che ha fatto il giro del web, scolpita come un piccolo manifesto, è arrivata subito dopo: “Penso di parlare a nome di tutti i ristoratori quando dico che la frase ‘il cliente ha sempre ragione’ non ha ormai più senso per me”. Una dichiarazione che ha il sapore di uno schiaffo ben assestato a un vecchio adagio che, nel tempo, ha giustificato le più disparate maleducazioni sotto la copertura dell’“esperienza del cliente”.

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Il ristoratore non si è limitato a uno sfogo, ma ha acceso un faro su un tema tanto diffuso quanto ignorato: le condizioni di lavoro nel mondo della ristorazione. Turni interminabili, stipendi spesso poco commisurati agli sforzi, richieste impossibili, orari notturni e – come se non bastasse – l’aspettativa costante di un sorriso, anche quando l’educazione, dall’altra parte del tavolo, è optional. “Sembra che quando una persona mette piede in un ristorante, i suoi diritti siano elevati al cielo”, scrive con una punta di amara ironia. Ma poi arriva il punto: “No, signori, non è così.” Il post, rimbalzato su X (ex Twitter) grazie alla piattaforma Soy Camarero gestita da Jesús Soriano, è diventato rapidamente virale. Centinaia di utenti hanno commentato, applaudendo non solo le parole, ma l’intenzione: quella di riscrivere un patto non scritto tra chi serve e chi viene servito. “Di proprietari così ce ne sono pochi”, ha scritto qualcuno. E non è difficile capire perché. Il mondo della ristorazione è, nell’immaginario collettivo, un luogo di convivialità, di sapori nuovi, di brindisi e chiacchiere. Ma dietro la patina luminosa dei piatti curati e delle sale accoglienti si celano spesso ritmi disumani e dinamiche di potere silenziose. E, soprattutto, un esercito di lavoratori che, troppo spesso, devono accettare l’idea che “il cliente paga, quindi ha sempre ragione”.

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Questa piccola ribellione, invece, ci ricorda che il rispetto non si misura con lo scontrino. E che un ristorante, per funzionare davvero, deve essere uno spazio di reciprocità, non di sudditanza. Dove il cliente ha diritto a un servizio di qualità, certo, ma dove anche chi lavora merita di tornare a casa senza sentirsi svuotato, umiliato o sfruttato. La recensione di questo ristoratore è una dichiarazione d’amore – ma anche di confine – verso il suo mestiere. Un invito a riscoprire un’educazione che non dovrebbe mai uscire di moda. Un appello a tutti i commensali a ricordare che dietro ogni piatto c’è una persona. E che il diritto alla dignità non si spegne quando si indossa un grembiule. Forse, allora, è il momento di aggiornare quel vecchio adagio con una formula più equa, più civile, più contemporanea. Non più “il cliente ha sempre ragione”, ma “la ragione si costruisce insieme”. In un servizio che funzioni, come in ogni buona tavola, la cortesia deve essere reciproca. Altrimenti non è ospitalità, è solo un teatro stanco.

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