Un prestigioso incarico nel ramo dell’architettura, ma la voglia di reinventarsi per puntare tutto sulla cucina: da queste premesse è partita Vita Bartininkaite, affermandosi come una delle cuoche stellate più promettenti dell’alta ristorazione.
Crediti fotografici: Robertas Daskevičius (foto tratte dalle pagine social del ristorante)
La chef
A Vilnius, tra i palazzi dai toni pastello del centro storico, c’è un piccolo ristorante che sembra voler cambiare il ritmo della città: Pas mus, letteralmente “a casa nostra”, è il sogno diventato realtà di Vita Bartininkaite, ex architetta diventata chef per passione e istinto. In uno spazio che più che un ristorante somiglia a un salotto dal design minimalista – pareti bianche, tovaglioli di cotone e candele che colano come opere d’arte – prende vita un’esperienza gastronomica che assomiglia a una cena tra amici, ma cucinata con una cura e un talento da stella Michelin. E sì, perché Pas mus è tra i quattro ristoranti di Vilnius a essersi conquistato la prima, storica stella nella selezione inaugurale della Guida MICHELIN per la Lituania, come racconta la Rossa sul suo network online. Un riconoscimento importante che arriva da un progetto nato senza clamore, quasi di getto, con il desiderio di Vita di riappropriarsi dei tempi lunghi della cucina, lontano dai ritmi serrati dei grandi ristoranti.

Il percorso di Vita non segue le strade battute. Laureata in architettura, ha deciso di cambiare rotta radicalmente nel 2018, spinta da un amore crescente per la cucina. Con alle spalle solo una manciata di esperienze in pasticceria, riesce a entrare nella brigata di Nineteen18, uno dei ristoranti di punta del Paese. Da lì, una scalata veloce: sous-chef, poi assistente chef, fino a un tirocinio rivelatore al tre stelle Geranium di Copenaghen. “Mi ha fatto capire che potevo ambire a qualcosa di grande, anche per la cucina lituana,” racconta. Il momento della svolta arriva nel 2022, con l’apertura di Pas mus. L’idea nasce in fretta, quasi per scommessa, e prende forma artigianalmente: mobili costruiti dal suo compagno dell’epoca, piatti e posate recuperati dalla madre, ogni dettaglio pensato per accogliere gli ospiti con il calore di una casa. “Volevo un posto informale ma elegante, dove le persone si sentissero rilassate, come se fossero venute a cena da me,” spiega Vita. E così è stato.

Oggi, Pas mus propone un menu degustazione a sorpresa da dieci portate che è un vero e proprio viaggio sensoriale. Vita lo descrive come un itinerario tra “sapori, paesaggi, storie e ricordi”, capace di evocare nostalgia anche nei commensali stranieri. Tra i piatti simbolo, la “pizza di capasanta”, omaggio ironico alla pizzeria che un tempo occupava il locale: una fetta sottilissima di sedano rapa croccante, crema di porcini, capasanta cruda e un velo di “soia” fatta in casa. Ma anche l’asparago bianco trasformato in gelato con caviale, l’anatra stagionata con aglio orsino e uva spina salata, e la brioche servita con il tartare di manzo che meriterebbe una voce a parte. Perché da Pas mus, il pane non è un contorno, è una dichiarazione d’intenti. Vita conserva ancora il lievito madre creato al suo primo lavoro in cucina, ma quello che usa per la celebre brioche arriva da San Francisco ed è vivo da oltre cent’anni. Impastata a mano, glassata con garum artigianale, questa brioche è un piccolo miracolo della fermentazione lenta. Il pane di segale con semi di cumino e burro nocciolato o il muffin scuro con semi di carvi e fiocchi di sale completano un repertorio che affonda le radici nella tradizione, ma con una voce nuova. Il filo conduttore della cucina di Vita è un profondo rispetto per la natura.

“Ho sempre con me forbici da potatura e guanti, nel caso trovi qualcosa da usare,” confessa. La stagionalità è vissuta in modo radicale: ogni ingrediente è colto in fasi diverse della sua maturazione, come le mirabelle ancora acerbe di un centimetro, dai noccioli appena formati, usate insieme ai fiori di prugno o ai rami per creare infusi, sciroppi, marinature. Una piccola produzione quasi familiare: il giardino della madre è ormai diventato un’estensione della dispensa del ristorante. Questa attenzione al dettaglio si traduce in piatti essenziali, privi di decorazioni superflue, ma intensamente evocativi. “Diamo ai prodotti locali una prospettiva nuova, senza sovraccaricare il piatto,” afferma Vita, che spesso affianca tecniche nordiche o giapponesi a ingredienti lituani, con l’idea di raccontare una Lituania aperta, accogliente, meticcia.

La fermentazione non è solo un metodo di conservazione: per Vita è un linguaggio. Dai miso alle salse di soia create con koji, fino ai garum più sperimentali, ogni fermento diventa un microcosmo vivente. Tanto che la chef ha portato questa passione anche in teatro: in collaborazione con il Teatro Nazionale Drammatico Lituano, ha dato vita allo spettacolo Fermentation, dove ha coinvolto attori e spettatori in un viaggio tra lieviti, muffe e memorie. Ogni partecipante riceve una porzione essiccata del suo primo lievito madre, insieme a una ricetta per iniziare il proprio viaggio nel mondo del pane. Quando si parla del ruolo delle donne in cucina, Vita non fa sconti. “Gestire un ristorante è difficile per chiunque. Ma spesso le donne sono meno inclini a buttarsi,” dice con onestà. “Io sono entrata in questo mondo senza sapere davvero cosa aspettarmi. Forse, se l’avessi saputo, avrei fatto scelte diverse. Ma continuo a godermi il viaggio, anche con tutte le difficoltà.” Un viaggio che, oggi, brilla della luce di una stella Michelin e di una passione viva come il suo lievito madre.