Dall’inizio dell’estate sono passate e andate via una quindicina di persone. I motivi? I più diversi: divergenze sugli orari, sulla mole di lavoro, sul rapporto con i clienti. “Quelli che trovo, sono problematici,” dice il titolare di Gentedimare, costretto a dare lui stesso una mano in cucina.
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La notizia
In una scenografia rilassata, romantica ed elegante come quella di Golfo Aranci, nel ristorante Gentedimare, la fatica – quella vera, silenziosa – si consuma dietro le quinte, tra i fornelli incandescenti e le mani che impiattano sogni. È qui che Gianluca Fasolino, patron di questo storico locale sardo, lancia il suo grido silenzioso: “Offro 3.000 euro al mese per un aiuto cuoco. Ma nessuno risponde”, ha confessato di recente in un’intervista a Repubblica.
Non si tratta di un annuncio sbiadito sulla bacheca di un supermercato o di un post svogliato su un gruppo Facebook di provincia. No. È un appello autentico, quasi disperato, lanciato attraverso i suoi social da chi da oltre vent’anni porta avanti, tra albe d’approvvigionamento e notti di servizio ininterrotto, un ristorante simbolo della Gallura.

E il messaggio è chiaro: pagherebbe anche di più, fino a 5.000 euro, pur di trovare qualcuno disposto a condividere quel banco da cucina, a stringere i denti e a impastare insieme a lui il pane quotidiano della ristorazione. Ma le risposte – quando arrivano – suonano come ritornelli stonati: “Che orari devo fare?”, chiedono, ancora prima di sapere cosa bolle in pentola. “Quando qualcuno mi scrive,” racconta Fasolino, “nella maggior parte dei casi neanche si presenta.” Il problema, però, è ben più profondo di un curriculum mancato o di una telefonata che non arriva. È una questione culturale, quasi filosofica. “Dopo il Covid nella ristorazione non vuole lavorare più nessuno”, ammette l’imprenditore con una punta di amarezza, ma senza cedere al cinismo. Quel tempo sospeso che è stato il lockdown ha ridisegnato priorità, risvegliato esigenze di vita, ridotto la tolleranza alla fatica. La cucina, da luogo di alchimia, è diventata per molti un campo di battaglia da evitare. E il mestiere di cuoco, con le sue regole non scritte e il suo lessico fatto di scottature, corse e concentrazione, non affascina più come un tempo.

Nel frattempo, Gentedimare continua a funzionare. Sforna piatti che profumano di mare e di memoria, riceve volti noti del cinema e della musica, accoglie famiglie in cerca di autenticità. E dietro i fornelli, mentre i profumi si alzano e i piatti escono con ritmo serrato, c’è Fasolino. Sì, proprio lui, che dopo venticinque anni da imprenditore, oggi è tornato in cucina per necessità. “Adesso in sala siamo a posto,” spiega, “mi servirebbe qualcuno bravo in cucina, perché al momento sto dando una mano io.” La cronaca del personale, però, è una giostra che gira troppo in fretta. Dall’inizio dell’estate sono passate e andate via una quindicina di persone. I motivi? I più diversi: divergenze sugli orari, sulla mole di lavoro, sul rapporto con i clienti. “Quelli che trovo, sono problematici,” dice. E quando riesce a trovare un lavapiatti disposto a iniziare, la prova dura appena quattro ore: “La notte stessa ha detto che non voleva continuare.”

Eppure, anche a chi lava piatti, Gentedimare offre 2.000 euro netti al mese, con vitto e alloggio inclusi. “Non penso di essere io il problema,” afferma Gianluca. “Alcuni miei dipendenti lavorano con me da 25 anni.” Un dato che racconta più di mille parole: qualcosa di solido, in quel ristorante, c’è ancora. Nonostante i giorni lunghi e le sere intense. Nonostante i ritmi. E nonostante la fatica. A Golfo Aranci, la stagione turistica non conosce tregua. Si lavora sette giorni su sette, ma “solo la sera”, specifica il ristoratore. Una scelta ponderata, dettata da un’analisi lucida delle nuove abitudini dei clienti: la gente, ormai, esce per cena. L’orario di lavoro è dalle 17 fino alla chiusura, che può arrivare anche all’una di notte.

Certo, non è un impegno leggero, ma è ben retribuito e pensato per ottimizzare le energie. La domanda, a questo punto, non è più “quanti soldi servono per convincere qualcuno a lavorare in cucina?”, ma “cosa è cambiato nel modo di vivere il lavoro?” Perché oggi, anche davanti a offerte generose, molti giovani preferiscono voltarsi altrove. E non è solo una questione di denaro: è una questione di percezione, di desiderio, forse anche di disillusione. “Non so come facciano a campare questi giovani oggi”, si chiede Fasolino. Ed è una domanda che rimbomba ben oltre i confini della sua cucina.