Sembrerebbe l’ennesimo caso di downshifting nell’alta ristorazione, ma la consulenza a Milano potrebbe non essere una scelta irreversibile per Antonella Ricci e Vinod Sookar.
L'intervista
La notizia giunge inattesa: quella del Fornello da Ricci sembrava un’eccellenza inscalfibile, la più antica di tutta la Puglia. Sull’insegna di Ceglie Messapica si leggeva “1966”, anno in cui Dora e Angelo Ricci avevano aperto la loro osteria nelle campagne del Brindisino, probabilmente ignari di fare la storia. La stella, datata 1992, fu accesa da Dora, ma la figlia Antonella l’ha sempre mantenuta con brio insieme al marito Vinod Sookar.Ora però è il momento di una nuova sfida: la coppia ha deciso di trasferirsi a Milano, capitale gastronomica italiana, in via Sottocorno 27. La crisi pandemica ci ha messo del suo, spingendo a molteplici innovazioni: una nuova denominazione (“Antonella Ricci – Vinod Sookar”), attività parallele di delivery e ora l’improvviso trasferimento. A Milano il nome sarà “Ricci Osteria”: l’intenzione è infatti quella di tornare alle origini, con una proposta di cucina tipica più popolare che fine dining. Con Antonella e Vinod, in questa nuova avventura, i soci Marco Postiglione e Massimiliano Paradisi, anche direttore di sala; quale resident chef Francesco Bordone, originario di San Giorgio a Cremano.
“Per il momento siamo chiusi, ma non siamo andati via dalla Puglia”, precisa Antonella. “Facciamo eventi, matrimoni e non escludiamo di riaprire. A Milano abbiamo un resident chef, che era con noi da tanti anni e siamo riusciti a ricollocare bene. Oggi i ristoratori per sopravvivere devono fare tante cose e cercare nuove attività. Durante il covid ci siamo interrogati, come tanti altri, sul da farsi e abbiamo capito che c’era bisogno di una ristorazione trasversale, oltre quella ordinaria che abbiamo sempre praticato. Abbiamo così iniziato le nostre cene a domicilio, inizialmente con grande affanno, poi si è innescato un boom di bellissime esperienze, grazie al quale abbiamo conosciuto tante persone. Facendo di necessità virtù. Poi è successo che si sono affacciati questi investitori. A noi le opportunità non erano mai mancate; una volta eravamo sul punto di firmare un contratto su Dubai, ma le cose qui andavano talmente bene che non se ne fece nulla. Allora le bimbe erano piccole, mentre adesso ce n’è una che frequenta l’università e nessuna vuole fare questo lavoro. Così ci siamo messi a tavolino e abbiamo studiato questo format.
Io vengo dalla storia di una trattoria: mio padre era fornaio, nel senso del fornello a carbone vegetale con lo spiedo verticale, una tecnica molto rara, tipica della zona di Martina Franca, dove le masserie pullulano di animali da cortile. Non aveva voluto proseguire l’attività di famiglia nelle cave di pietra, dove respirava polvere sottile, e si era piuttosto appoggiato a mia nonna, che era bravissima in cucina. Negli anni poi ci siamo evoluti in fine dining. Ma questa proposta ci è piaciuta subito, le persone ci piacevano e siamo andati avanti. L’osteria ha assunto la forma di un ambiente fresco e giovanile, dove siamo i più grandi. Oggi con Vinod ci alterniamo, ma non siamo sempre a Milano. Anche perché Francesco, che voleva rientrare in Italia, conosce benissimo i sapori mediterranei”.
Purtroppo, il fornello non ci sarà, perché le leggi non le consentono: occorrerebbero cappe speciali in quello che era già un ristorante. “Ma ci saranno la carne di agnello, le salsicce, i fegatini, le bombette… Trent’anni di stella sono bastati: oggi vogliamo far stare bene gli ospiti nella semplicità, aiutando tante famiglie ad andare avanti”. Nazionale la carta dei vini, per uno scontrino medio che si attesta intorno ai 50 euro.
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