Gianluca Ricci, chef patron di Locanda San Michele, ha portato il fine dining in una zona gastronomicamente desolata. Il risultato? Una cucina d’autore raffinata, piatti semplici ma inconfondibili, e un’attenzione al cliente che, pur non essendo maniacale, è genuina e sincera.
Il territorio
In provincia di Teramo, fra Montorio al Vomano e Tossicia, si estende un’area di grande interesse paesaggistico, proprio ai piedi del Gran Sasso: in primo piano si susseguono tondeggianti colline costellate da pascoli di pecore e campi coltivati; all’orizzonte il Gigante che dorme. Da qui si snodano diversi sentieri escursionistici, alcuni portano alla montagna, strade secondarie, vallate, altipiani e frazioni abitate.

Di giorno si può godere di vedute panoramiche straordinarie; al contrario, di notte è difficile individuare la giusta direzione, poiché l’assenza di luce e siti di riferimento distinti, rendono l’orientamento incerto, soprattutto se non si conosce la zona. Per questo suggerisco di impostare su Google Maps Contrada Camerale, finché non si giunge di fronte ad una discesa sterrata.
Il locale
L’esterno si presenta illuminato e suggestivo: la struttura è caratterizzata da una grande tettoia, pensata per riparare tavoli e sedie dal caldo e dai raggi diretti durante il periodo estivo. Il pavimento in pietra ha un aspetto rustico e ordinato, mentre dalle grandi vetrate e dall'anticamera, incorniciate da un elegante telaio nero in metallo, s’intravede la sala interna.

Varcando la soglia ho avuto la percezione che, nonostante gli spazi ristretti, ci fossero degli elementi che ne amplificassero la profondità senza appesantire, il grande specchio dalla cornice dorata ad esempio. Al di sotto un divanetto verde petrolio, in velluto, si fonde con l’atmosfera circostante. Le pareti in mattoncini vengono enfatizzate dalle applique e da lanterne sospese; invece, il bancone in legno grezzo dalle venature marcate, punto focale della stanza, si mescola con i dettagli essenziali della mise en place: i tavoli eterogenei, abbinati a sedie dai toni neutri, e apparecchiati con un tovagliato sobrio e minimalista, o con tovagliette in similpelle, rompono la monotonia. Come pure il cofanetto per posate con doppio cassettino su ogni postazione, “Non mi è mai piaciuto vedere i camerieri rimpiazzare le stoviglie, bisogna essere liberi di scegliere con cosa mangiare”, spiega il titolare. Il soffitto a griglia, scuro, conferisce un ulteriore tocco industrial all’ambiente.
Lo chef e il sous chef
Ad accoglierci lo chef, Gianluca Ricci, e il suo secondo, nonché curatore della carta dei vini e degli abbinamenti, Davide Mercolini, entrambi abruzzesi ed ex studenti dell’Istituto Alberghiero Di Poppa-Rozzi, che, pur mantenendo un forte legame con la propria regione d’origine, hanno accumulato svariate esperienze in tutto il mondo.

“Il mio percorso professionale inizia nel lontano 2009, più precisamente nel mese di aprile, quando l’Aquila fu parzialmente distrutta dal terremoto. Pochi giorni prima partii per Venezia, mi era stata offerta un’opportunità presso l’Hotel Saturnia, dove da ragazzo avevo svolto uno stage”, racconta il patron.

“Dopodiché mi spostai a Londra, andai lì senza una meta, non avevo molte pretese. Fortuna volle che trovassi un posto da Apsleys, ristorante una stella Michelin di Heinz Beck al The Lanesborough, tra Knightsbridge, Belgravia e Mayfair. Fu un anno e mezzo ricco di scoperte, lì ho imparato tanto. Successivamente parte della brigata, compreso me, si trasferì a Roma, alla Pergola. Man mano che si saliva di livello cambiavano le mansioni: mi chiamarono addirittura a ricoprire il ruolo di sous chef al Castello di Fighine in Toscana. Insomma, ne ho fatta di strada: ho lavorato da Pipero al Rex, al Cappero di Crescenzo Scotti (stella Michelin delle Isole Eolie), al Giudecca 10 dell’Hotel Cipriani, all’Opificio a Padova, ho gestito un locale a Fontana di trevi, e ho girato il Vietnam e la Thailandia. Rientrato in terra natia, con mia moglie e la bambina, mi guardai attentamente attorno, per farmi un’idea della situazione: c’erano tantissimi imprenditori, che si adattavano esclusivamente alle richieste della clientela e seguivano le tendenze del momento pur di guadagnare. A novembre 2022 incontrai 'il socio', era venuto a lasciare il curriculum al Carducci Bistrot. Lo riconobbi subito e lo contattai; senza saperlo prese il mio posto quando abbandonai La Caravella e Silvano Urban, strano scherzo della vita, e fui proprio io ad ospitarlo nella capitale inglese quando venne per una consulenza, soltanto che in quel periodo ero troppo impegnato, ed ebbi solo il tempo di consegnargli le chiavi dell’appartamento senza poter scambiare due chiacchiere. Il destino ha voluto farci riunire!”.

“Avevo 14 anni quando ho cominciato ad approcciarmi al settore, spinto dal professor Roberto Sterlicchi, quest’ultimo credeva che fossi maggiormente portato per la cucina, anche se da sempre appassionato di mixology. Tornato in Italia, dopo la breve parentesi all’estero, venni preso da Guido, a Rimini, come capo partita. Nel 2020 ho collaborato con Marcello Rossi sulla costa adriatica, poi ho dato una mano a Enzo di Pasquale, e infine ho deciso di mettermi in proprio. Purtroppo, l’avventura non durò molto a causa della pandemia. Il resto è storia”, dichiara Davide.

Dopo un intenso susseguirsi di eventi, gli intrepidi hanno trasformato quello che era un pub in un gourmet, restituendo alla location un’identità e ridimensionandola: si passa dagli 80 coperti ai 25. Così l'inaugurazione avviene a febbraio 2023!
I piatti
L’entrée di benvenuto è stata tutt’altro che timida, ci hanno servito tarallo pepe, sugna e mandorle; carpaccio di melanzana macerato nel succo di barbabietola, alla base una maionese alla curcuma, arachidi e fiori edibili; mousse di olive nappata con olio al prezzemolo; cannoli ai vegetali; pizzette cotte al vapore, ricotta, crema di carote e lardo di colonnata; la rivisitazione di un classico locale, evergreen pasquale, l’agnello cacio e ovo, collocato in dei gusci adagiati su della paglia, e arricchito con della spuma di pecorino; noci e gorgonzola, a richiamare il logo della Locanda. Tutti piccoli finger food, scenograficamente impeccabili, super abbondanti, con cui avrei chiuso direttamente - in bellezza - la serata.


In accompagnamento un calice di Trento DOC Brut Millesimato Endrizzi, dell’olio Rabottini di Chieti, dei grissini al peperone crusco e due differenti tipologie di pane, ai mirtilli e ai fichi, nocciole e cioccolato fondente, ovviamente home made.


Una butter candle mi ha letteralmente spiazzata, è stata una piacevole sorpresa, della quale non ero stata avvertita. Una coccola nei confronti dei commensali, specialmente per quelli che si impressionano facilmente.

Proseguiamo con un prosciutto d’anatra marinato al caffè con foie gras, lenticchie soffiate, e melograno in due consistenze, neve e chicchi. Anche in questo caso l’estetica sbalordisce, la composizione è armoniosa, i colori sono accesi e vibranti, come anche i sapori.

La capasanta scottata con salsina e chips di topinambur, brunoise di funghi e consommé di porcini, chiaro e intenso, è il piatto che forse meglio rappresenta la filosofia dei due giovani ai fornelli, “Il nostro scopo non è quello stravolgere, preferiamo seguire la scuola del maestro Heinz: pochi ingredienti ma puliti, massimo tre/quattro”. L’accostamento è studiato per esaltare senza sovrastare, ben costruito, giocato su equilibri precisi e morbidi contrasti.

Gli antipasti terminano con le animelle glassate al fondo bruno e profumate alla salvia, lucide e invitanti in superficie, vellutate nel cuore. La tecnica nobilita il prodotto, che di per sé viene considerato una frattaglia, facendo parte del gruppo del quinto quarto. Ci si sposa molto bene un Marramiero Altare, Trebbiano d’Abruzzo DOC.

Di primo propongono il loro cavallo di battaglia: fagottelli ripieni di liquido cacio e pepe, sopra gamberi di Mazara, lime e fiori eduli. Ci consigliano di assaporarli in un solo boccone, e così facciamo. L’effetto esplosione è garantito!

Il filetto di cervo con vin brulè, coulis di lamponi, sedano rapa, castagne, lamelle di tartufo bianco e fondo bruno, è tenero e rosato, vuol dire che la cottura è stata eseguita alla perfezione. La freschezza e l’acidità si scontrano con la dolcezza, avvolgendo le papille gustative. Sul finale la sensazione è gradevole, di certo prevale quel solletichio tipico dei frutti rossi.

In vista della conclusione, un sorbetto all’ace, racchiuso in una sfera di cioccolato bianco, e un gelato al fiordilatte con crumble al cacao, sale Maldon e un filo di extravergine. Ma ciò che mi ha davvero colpita è stato il panettone artigianale con zabaione e aria di caffè preparata in diretta davanti ai nostri occhi, che condensa e magicamente atterra nel piatto come una gocciolina di pioggia, ispirata al dessert-nuvola di Jordi Roca.

Bocconotti montoriesi, parrozzo e moscato completano la degustazione, riportandomi indietro a quando da bambina, sotto Natale, ero solita sgattaiolare in prossimità della penisola in marmo, allungando la mano nei vassoietti in cartone, sotto i tovagliolini decorati, per rubare qualche leccornia, inebriata dalla fragranza che riempiva il soggiorno di casa, e della gioia di quegli istanti.

“Cosa vi aspettate dal futuro?”, domando sempre sull’uscio della porta già con indosso il cappotto. “Ci farebbe piacere cooperare maggiormente con le personalità di spicco del luogo in ambito enogastronomico”. E Gianluca aggiunge: “Attualmente sto seguendo la ristrutturazione di un casale a Faiano, che presto diventerà un progetto concreto, con camere annesse, accessibile ai disabili, dotato di comfort, in pieno stile toscano. Nel frattempo, continuiamo a regalare attimi di felicità; è quello che ci ha permesso di entrare fra le novità della Guida Michelin”.
Contatti
Locanda San Michele di Gianluca Ricci
Indirizzo:
S.S. 491, 3, Contrada Camerale, 64049 Tossicia (TE)
Telefono:
+39 3314658909
E-mail:
g.ricci89@gmail.com