Il menù è cortissimo, così corto che se arrivassi con tre amici affamati potresti anche dire “prendiamo tutto”. Il team? Un gruppo di giovani svegli e appassionati. Ma, soprattutto, con Trattoria della Gloria si compie la rivincita del ruolo sociale delle insegne tipiche meneghine.
La storia
Mentirei se vi dicessi che i pregiudizi sulla Trattoria della Gloria stavano a zero. Rocco Galasso l’avevo inquadrato dai tempi di Enoteca Naturale e bollato con l’etichetta di “oste naturalista integerrimo”, Tommaso Melilli, lo chef scrittore che pensa di essere ancora a Parigi e che cucina solo nostalgia. E Luca Gennati? Su Luca i miei retropensieri non avevano abbastanza dati. Però due su tre fanno la maggioranza. Per recensire un ristorante puoi cavartela con poco, rischiando il minimo. Rimani in superficie, confermi la prima impressione e passi al prossimo. Oppure puoi metterti ad ascoltare e ad osservare. Lasciandoti saziare dalla realtà che non ti aspettavi, che un’altra volta presenta il conto, che vale assolutamente la pena pagare. Quello che ne deriva mi auguro sia ciò che di più lontano possa esserci da una recensione.
Sulla rive gauche del Naviglio - in quella parte di naviglio in cui la movida sfuma e fa meno baccano - c’è questa trattoria new wave, che ha ridonato i fasti conviviali alla trattoria di quartiere. In via Mario Pichi la Gloria era una trattoria storica che prendeva il nome dal nome della proprietaria che la conduceva assieme al marito. Chi ne sorveglia i muri adesso e chi prova a dargli una nuova storia, sono tre spettinati, tre letterati, tre amici. Una nuova scapigliatura che rompe con il recente borghesismo della trattoria moderna, che se ne frega delle regole e delle nuove regole del business ristorativo. Tommaso, Rocco e Luca sono davvero tre letterati e, ad essere bastardi sulla carta, non si capisce perché non siano ancora falliti.
Rocco: “Io e Tommaso abbiamo studiato Lettere ma a un certo punto abbiamo mollato, Luca invece è arrivato fino in fondo. I conti del ristorante li tiene Luca. Fossimo stati solo io e Tommaso, saremmo naufragati presto. Luca ha fatto lettere economiche (ride), ha preso il master in cui devi usare meno lettere possibili. Si è trovato a occuparsi dell’amministrazione e si è rivelato molto capace. Luca tiene i fili. Io e Tommaso abbiamo la nostra personale organizzazione, che in pochi capiscono (ridono entrambi)”.
Luca: “Il fatto che coltiviamo altro ci apre tante prospettive e ci fa tenere lo sguardo aperto, non ci fa incagliare nei temi della ristorazione. Spero si percepisca in sala. Durante il servizio, poter parlare in sala di tante cose e anche dei piatti in modo diverso, è una cosa in cui credo molto. Tutti e tre abbiamo studiato Lettere, sembriamo tre pirlotti però una quindicina di anni di esperienza ristorativa sulle spalle li abbiamo”.
Tommaso ha già scritto parecchio sulla storia di questo mestiere, rischiando forse che la sua penna offuscasse la sua pentola. Ha divulgato il dietro le quinte dell’ambiente cucina. Ora si è un po’ stufato. Il punto non è solo cucinare, ma piuttosto la compenetrazione di questi 15-20 mestieri che coesistono in un locale: matematico, chimico, antropologo, carpentiere, psicologo, risorse umane, sociologo, idraulico, elettricista, chirurgo. Di questo tratterà il suo prossimo libro. Intanto sta alternando letture molto diverse tra loro. The art of the restaurateur e On the menu di Nicholas Lander, da un suggerimento di un critico gastronomico finlandese e Intermezzo di Sally Rooney, da un suggerimento di Tik Tok, caso editoriale del momento.
Ai tre soci lavoratori si aggiungono altri tre soci, di cui due non operativi: Margherita Bacci, norcina in Toscana e Pietro Biancardi, proprietario della casa editrice Iperborea. Chi aiuta sui conti è Roberto Bellino.
Che lavoro è il cuoco oggi? Che figura il ristoratore?
Appoggio sul bancone lo statement della serie The Bear “Every second counts”, aspettandomi un rigetto piuttosto netto. Una negazione del mainstream da parte di chi, sempre a prima vista, si presenta come alternativo, di quelli di cui diresti che non si abbonano alle piattaforme di streaming per principio. Le risposte mi spiazzano, che bello.
Tommaso: “Quella frase è vera, racconta questo mestiere, la cucina in particolare e la fase dell’ansia che la sala subisce. Viene presentata come “ogni secondo può permettere di fare una cosa in più”. Dirò una cosa un po’ meno motivazionale. Io ci vedo tutti i secondi che perdiamo per una serie di varie ed eventuali che vanno da la-merce-che-non-è-arrivata-in tempo, l’alluvione -in-cantina ecc. Ogni secondo che perdiamo in cose che avremmo potuto fare. E che pensiamo di fare domani. Questa è una visione sicuramente meno idilliaca e più realistica delle cose. Io sono qua adesso a parlare con te e ci sono un paio di cose che non farò oggi pomeriggio, ma è normale”.
Luca: “Non è una cosa da rincorrere come fossimo il bianconiglio, per noi è molto importante esserci in quel secondo, è l’unico modo per poter essere anche lento in questo lavoro e anche per divertirti e per non fare stronzate. Perché se quel “ogni secondo conta” viene mal interpretato, cioè che non ti interessa chi hai davanti, chi riceve il piatto, ecco, questa è la cosa peggiore che può succedere in un ristorante. Il fatto che non ci sia mai uno sguardo verso chi è seduto al tavolo. Se ieri ci hai visto “perdere” tanto tempo accovacciati ai tavoli a parlare è perché veramente quei secondi che sto dedicando ai clienti contano, perché ogni mio secondo può cambiare la serata di quel tavolo”.
Il locale e l'esperienza
Dobbiamo ricordarci di affiggere alla Gloria il cartello con la frase “Every table counts”. A parte il facile ecumenismo, effettivamente è quello che noti quando vai a mangiare da loro. Rocco e Luca che si fermano ai tavoli e che a un certo punto si accovacciano. Un tipo di linguaggio del corpo che porta con sé l’accomodarsi al livello di chi è seduto, per ascoltare meglio e per farsi ascoltare meglio. Parafrasando Pavese verrebbe fuori “servire con lentezza”, la cosa più antimilanese che ci sia. Alla Trattoria della Gloria non esiste il doppio o triplo turno serale. Quando ti siedi al tavolo è tuo fino a quando non ti alzi. Il vino non lo scegli, tendenzialmente lo desideri e lo esprimi. Rocco sceglie per te, al 90% ci azzecca.
Il menù è cortissimo, così corto che se arrivassi con tre amici affamati potresti anche dire “prendiamo tutto”. I piatti cambiano di frequente. Tommaso cucina in base a quello che trova al mercato e dai suoi fornitori. Segue le stagioni e non butta via niente. Non di rado propone dei fuori carta, “inventati” proprio per dare profondità e zero waste alla spesa fatta. Luca e Rocco te lo leggono negli occhi, se un fuori carta può esserti proposto. Un bancone e un banco bar sono dedicati a un servizio più snello e veloce. Molti entrano così alla Gloria, passavo di qui e ho sentito come uno sfarfallio dei sensi. Questo permette ai ragazzi di avere due lavori e due entrate allo stesso tempo, di aumentare i ritmi, di avere un po’ più di adrenalina in circolo, senza incasinare le cose. Le persone al tavolo percepiscono che possono chiacchierare con Rocco e Luca senza pensare di dare fastidio. Alla Gloria servire torna a essere l’atto più amorevole e umano che esista, quello in cui è più importante far felici gli altri che sé stessi. Come un assist nel calcio.
Tommaso, che ha un archivio in testa e a parlarci sembra davvero un ragazzo di un’altra epoca, evoca il passato e ci fa “colare” il presente. Tommaso: “A inizio ottocento inizia a esserci la prima critica e la prima cronaca dei ristoranti. Era la nuova big thing. Uno che non mi ricordo come si chiama, parlando di gente che viveva nel posto in cui lavorava, condizione piuttosto degradante ma evidentemente di sopravvivenza, scriveva che “le restaurant n'est la maison de personne”, il ristorante è la casa di nessuno. Che sia una casa è incontrovertibile, ma non dei clienti che affittano un tavolo per tot ore. È uno spazio semi pubblico e semi privato, il tavolo è tuo e la sala è di tutti. Però non è nemmeno nostra, noi la sorvegliamo, ne siamo custodi. Quando una persona, un cliente non si comporta bene, non saluta, non ringrazia ecc. è mancanza di rispetto nei nostri confronti ma anche nei confronti del resto di tutto l’ambiente. L’altra sera c’erano 4 persone di nazionalità diverse che si sono presentate per mangiare da sole. Dopo 20 minuti le guardo dal pass e parevano un gruppo di amici, si scambiavano il vino, uno ha preso un boccone dal piatto di un’altra”.
La rivincita del ruolo sociale della trattoria e del bar. In fondo è per questo motivo che sono nati, per rispondere al nostro primordiale impulso a metterci insieme, a prenderci sul serio quando abbiamo bisogno di ridere e di sapere che la pesantezza della vita si sente un po’ meno intorno a un tavolo. Per Tommaso, Rocco e Luca il ruolo dei social, i nuovi place della socialità, non è certo ossessivo compulsivo e, in controtendenza, neanche necessario. Ognuno lì vive in maniera diversa ma tutti ritengono che l’analogico e quindi la realtà reale sia ancora meglio dell’alternativa eterea. I follower ci sono, le cavolate divertenti con instagram le hanno fatte, tuttavia il passaparola rimane il media a cui sono più affezionati. La cosa divertente è che Rocco ha il ruolo di social media manager del profilo della Trattoria e lui non ha nemmeno instagram sul telefono. “Noi siamo qui dentro mentre la vita accade, la vita è qui”. Che bisogno c’è di un’altra vita è il modo per dire che forse vorrebbero godersi ancora di più quella che hanno. Every real life counts.
Giovani, carini ed occupati. Perché non vi rimanga solo questa zuccherosa immagine in testa, parliamo di calcio. Tra una chiacchiera e l’altra scopriamo che Rocco avrebbe voluto fare il giornalista sportivo. Quando chiediamo spiegazione di quella maglia della nazionale che porta il nome di Materazzi, appesa sulla destra entrando, i ragazzi sorridono. Trattoria della Gloria aveva aperto da poco e a Milano sbarca Big Mamma Group, realtà francese della ristorazione che sta spargendo in Europa locali dalla dichiarata e stereotipata impronta italiana. Il nome del locale? Gloria Osteria. Materazzi sta lì, evocando il gesto carino servito a Zidane come segno di un boccone che non è andato molto già ai nostri tre maudit.
La cucina, i piatti e i vini
Quando a Tommaso abbiamo fatto un appunto sulla cottura del rollè di coniglio, definendo il morso un po’ troppo asciutto, lui ha risposto “meno male che c’è qualcuno che ancora ci dice le cose che non vanno”. Accettare le correzioni è un’altra posizione di forza, non vuol dire essere cintura nera di porgere l’altra guancia, ma nemmeno girarsi dall’altra parte, definendosi intoccabile. Stai bene quando la pensi allo stesso modo? Stai bene quando ritrovi la tua comfort zone? Stai bene quando senti parole che conosci, quando ritrovi idee che hai già digerito? Gloria a chi non ama tutto già apparecchiato e a chi si trastulla di gusto quando può dire la sua e poi riconoscere che è meglio quella di un altro. I piatti di Tommaso non sono perfetti, proprio come li vuole il suo creatore. Che si è tatuato Minestrone sul braccio perché da piccolo non gli piaceva e ora le sue versioni di minestrone, squisite, non le toglie mai dal menù.
La nostra era tiepida e amaricante, le temperature variano in base alla stagione e al tipo di verdure utilizzate. Non facciamo troppo i radical chic o i ribelli con la sigaretta elettronica. Il minestrone è un piatto vegano, il piatto vegano che ci rifilavano le nostre mamme e le nostre nonne. Tommaso, come colto da una sindrome di Stoccolma tra i fuochi, se ne è innamorato e ci ha nuotato dentro, trovando la sua corrente ma pur sempre servendo un ca**o di minestrone. Un piatto per palati adulti, nel senso di capaci di andare oltre al ricordo. Il concetto di piatto è la definizione che diamo a una trasformazione eseguita dal cuoco, che tiene conto della bontà della materia iniziale, insieme al costo di quel piatto e alla relazione tra le persone che hanno contribuito al risultato finale, la brigata in sostanza. Oltre a Tommaso, Rocco e Luca, gli altri “gloriosi” sono Roberto La Malfa, Giacomo Conte, Fernando Chakkrawarthige, in cucina e Giovanni Campana, in sala. Dietro e dentro a un piatto c’è anche la vita della comunità e delle convenzioni intorno al piatto. Dentro questi margini si muove la Tarte tatin di zucca, concentrazione e stratificazione di Delica Mantovana con e senza buccia, servita con mostarda di zucca Moscata, di cedro di diamante e di fichi, fonduta di parmigiano vacche rosse e croccante di armelline - le mandorle dell’albicocca, molto amare.
La masticazione non è “pureosa”, grazie al caramello a secco. Un piatto dal sapore antico, reminiscenza del tortello alla mantovana con più complessità agrodolce, una apprezzatissima rappresentazione dell’autunno della dolcezza, in cui coesistono calore e pungenza. Di carattere più verace e da osteria il Cuore alla brace, radicchio e purè. Un trittico in cui il muscolo che risiede a metà tra pancia e cervello, si fa nutrimento per l’anima insieme all’angelico purè e al diabolico rosso e spettinato, spruzzato di aceto. Tommaso predilige la fiamma viva, far cuocere le cose, qui tuttavia usa il sottovuoto prima della brace, lasciando a 50°C per tre ore le bistecche di cuore. Lo chef ha dichiarato che è un piatto che non mangiamo quasi più, che fa bene e che costa pochissimo. Qualcuno lo aveva già fatto con il diaframma e poi sappiamo com'è andata. Noi intanto ce lo siamo goduti moltissimo.
Sul vino, come dicevamo non hai scelta. La carta non esiste, la carta sono Luca e Rocco. Soprattutto Rocco. Funziona più o meno così. Rocco arriva al tavolo e chiede che vino volete bere. Ascolta i più o meno opachi desideri dei commensali, si eclissa qualche minuto e poi torna con due o tre bottiglie chiuse. Le appoggia sul tavolo e brevemente ne descrive le principali caratteristiche e differenze, anche di prezzo. A quel punto uno o più indici si allungano e il vino viene stappato. La nostra scelta era tra il Cabernet Franc di Ampeleia, cantina che “frequento” molto per il loro semplicissimo Sangiovese Unlitro, e il Tormenta di Manciaciumi, blend etneo di nerello mascalese e nerello cappuccio. La scelta è caduta su entrambe. Personalmente, nonostante un naso non totalmente definito tra echi sulfurei e leggera ossidazione, il Tormenta aveva una beva così slanciata e piacevolmente da arancia rossa che l’ho preferito al sorso alla lunga troppo ridotto e “spiritato” del cabernet franc.
Rocco e Luca più che i vini selezionano le persone che lo fanno. Sono per lo più catalogabili come vini artigianali, evidentemente perché ci ritroveranno persone più interessanti e distanti da dinamiche politiche e di brand. Un vino di Cotarella non l’ha mai bevuto e dice che non lo berrà mai. Mr. Cotarella a questo punto le tocca fare una tappa alla Trattoria della Gloria, tanto il vino lo sceglie Rocco.
Contatti
Trattoria della Gloria
Via Mario Pichi, 5, 20143 Milano MI
Telefono: 02 4547 4710