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Pulejo: come si mangia nel nuovo ristorante di Davide Puleio a Roma

di:
Francesca Feresin
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copertina pulejo

Si riconnette ai ricordi con apparente e disarmante semplicità, Davide Puleio, nella sua nuova insegna capitolina. Piatti eleganti, dritti al punto, da affondare intorno alle atmosfere boschive di un salotto di casa sono gli elementi fondanti di un’insegna che brilla di curiosità.

Pulejo Ristorante

La storia


L’ultimo ricordo della cena. L’ultimo gusto, impresso nella mente. Sta lì, sotto quel candido tovagliolo. È una madeleine al burro nocciola: uno schiaffo dolce e fragrante, emblema di una cena di Proustiana fattura.


Ero alla tavola di Pulejo, il nuovo ristorante nel quartiere Prati di Roma aperto lo scorso 31 marzo da Davide Puleio, chef e patron di un’insegna capace di innescare memorie vivide e quanto mai sinestetiche.


Sono sempre alla ricerca di nuove idee e abbinamenti, ma resta viva la memoria del mio passato.” - Così Davide si presenta ad inizio cena, annunciando chiara e tonda la filosofia della sua cucina, basata su frammenti di un passato fatto di casa, lavoro e viaggi, dove i ricordi diventano piccoli pezzi di un puzzle da assemblare in modo progressivo e che vanno a costituire e a formare l'intera cena.


Ma quali sono queste tessere? Cosa c’è da assemblare e costruire?
A 21 anni battesimo di fuoco a Il Convivio Troiani, nella Capitale. Poi Texture a Londra, Noma a Copenaghen e di nuovo Roma da Pipero con Luciano Monosilio. Poi il treno per Milano, dritto nella cucina de L’Alchimia come chef. La stella Michelin arriva dopo appena un anno e mezzo di lavoro. Sono tanti i mattoncini da riunire, pesanti come macigni, carichi di vissuto da traslare su pentole e fornelli. Bisogna partire. E dopo la pandemia, e mesi di girovagare, ecco alzarsi l’insegna di Via dei Gracchi.


Il sogno era quello di tornare a casa: lavoro da sempre per avere un ristorante mio, nella mia città. Ora finalmente sono qui”. - dice fiero lo Chef, tra le mura di un luogo che ha tutte le dimensioni di un salotto.

Il ristorante


Una trentina i coperti, distribuiti in 200 metri quadrati di spazio, intimo, nascosto e movimentato da giochi di luci e volte alte. I divani, le poltroncine, le applique sparse qua e là assieme ai cromatismi affettuosi delle pareti color bosco e dei tessuti contribuiscono a creare un ambiente rilassante, che mette a proprio agio. Far star bene. Ecco l’obiettivo di Davide e della sua squadra.



Accoglierti in una casa diversa da quella che hai, ma che magari desideri, mangiando piatti concreti, veri, dritti al punto, ma impossibili da riprodurre perché fondati su quell’ingrediente segreto, irraggiungibile, qual è il passato personale. Farti sentire a tuo agio in un luogo che mai avresti toccato e attraversato prima d’ora. Portarti in una dimensione privata, ma comunque sempre tangibile. Nessuna utopia. Questo è il bello di Pulejo.


Un bello filtrato dalla vita, dalle risonanze e gli eventi che l’hanno caratterizzata.
Dai peperoni freddi delle bollenti domeniche d’agosto ai risotti all’onda oro Milano passando per i fondi e le cotture di vecchia scuola, tutto tratteggia e dà forma, consistenza, colore e sapore al mondo interiore di Davide e della sua squadra. Che non lascia indietro la sostenibilità e la ricerca di materia prima locale e di stagione, esaltata con guizzo estetico e creativo.



Perché in fondo il cibo non è altro che il pilastro della società in cui viviamo, la chiave interpretativa della nostra vita, un linguaggio con cui comunicare. In questo caso dal sapore potente, esplosivo, incontrollato ma comunque semplice e decifrabile. Nei contrasti di sapore puliti dell’animella, ostriche alla cenere e bieta, confortanti del merluzzo, mugnaia, alloro e caviale che sa di passato ma anche di presente, o decisi della crema di latte al midollo che bagna i ravioli di pomodoro arrosto, dalle profondità gustative che vogliono solo essere esplorate, si disvela il viaggio di Davide Puleio via piatto.

Raviolo, pomodoro arrosto, crema di latte al midollo e battuto di manzo



Il tutto all’interno di un universo raccontato con rigore e professionalità da Simone Cavaterra, fresco di 6 anni all'Hassler e un passaggio al Fat Duck, e da Mattia Zazzaro, reduce anche lui da esperienze dello spessore di Pinchiorri. Mani giovani, menti aperte, che approcciano alla sala con assoluta leggerezza e semplicità, destreggiandosi tra la finitura di un piatto, magari grattugiando del buon parmigiano reggiano 36 mesi su un “peperone come manzo”, e la presentazione di una bottiglia prestigiosa.



Da non dimenticare è infatti la cantina che trova dignità di vita nel piano interrato, incorniciata da una struttura di ferro anticato e da un corridoio di ghiaia. Si parte con una settantina di etichette, tra Italia e Francia, grandi classici e qualche chicca più naturale da sperimentare anche alla mescita e attraverso due differenti proposta di pairing, a tre e a cinque calici da abbinare ai due possibili percorsi degustazione, a cinque e sette portate, rispettivamente a 55 e 75 euro. A loro si aggiunge la proposta del Business Lunch con tre piatti ed un calice di vino a 35 euro, dal martedì al venerdì a pranzo.


I piatti


Tre movimenti, tre attimi. Inizia la cena da Pulejo con assaggi incisivi e aggressivi che entusiasmano e fanno scalpitare. Una scala di grassezze, dolci e sapide, che partono dal velo di lardo che avvolge il churros di patata fermentata per arrivare al patè di fegatini di pollo, cipolla di Tropea e maggiorana nascosto tra due cialde di lampone, passando per una, tanto bella quanto aggressiva, meringa di rapa rossa e formaggio erborinato.


Si comincia e non si smette più di star bene. Anche le pause tra una portata e l’altra del degustazione si vedono riempire della gioia di un velo di burro piemontese salato razza bruna alpina spalmato su un quarto di pagnotta a lievitazione naturale, calda e fragrante.

Pane a lievitazione naturale fatto in casa con farina semi-integrale italiana, servito con burro piemontese salato di razza bruna alpina




Un grande classico di Davide, appena modificato nella forma, è il Peperone come manzo, un peperone lasciato ossidare, “macinato” e condito con capperi, acciughe, origano e rucola. È lui l’antipasto prescelto apripista della cena, una creazione quanto mai semplice ed evocativa delle estati romane. Una grattugiata di parmigiano reggiano 36 mesi completa l’opera a tavola, concedendo quel tono umami e appena dolce a un quadro che tocca tutti i gusti e tutti i cuori.

Peperone come manzo



Sicuramente meno comune nel vocabolario dell’italiano medio è l’Animella che qui si cuoce dolcemente nel burro e si vede abbinare con audace lungimiranza ad ostriche affumicate e bieta. Gusti tondi resi quadrati dalle sfumature affumicate della conchiglia e da quelle più erbacee delle foglie verdi.

Animella, ostrica, bieta



Come i tortellini con la panna, ma meglio. I ravioli di pomodoro arrosto, rossi, assoluti, assieme alla battuta di manzo, al basilico e a quella piacevole cascata di crema di latte al midollo arrosto sono un crescendo di sapori, sempre più veraci e diretti che partono dal ricordo dei tortellini alla panna per arrivare a quello della pizza appena bruciacchiata.

Raviolo, pomodoro arrosto, crema di latte al midollo e battuto di manzo



Un altro piatto, figlio di Puleio, dai tempi de L’Alchimia, è il risotto alla milanese con royale di coda alla vaccinara, che qui cambia nome divenendo MI-RO come il treno che unisce Milano e Roma. Ogni cucchiaiata è un viaggio appassionante, morbido, sicuro ma a tratti turbolento. C’è il sedano, il cacao amaro che destabilizzano, focalizzando di nuovo l’attenzione dell’assaggiatore sul hic et nunc.Mangiami con attenzione”, bisbigliano al tuo orecchio.

Risotto alla milanese con Royale di coda alla vaccinara



Una mugnaia, ma alla sua maniera. Un trancio di merluzzo, sodo e saporito il giusto, naviga in un oceano di tecnica e sensibilità, tra alloro, caviale e patate. Pochi elementi per un secondo che chiude la rosa dei piatti salati.

Trancio di merluzzo con alloro, caviale e patate



E mentre si pulisce la bocca con una grattachecca all’arancia con spuma di mandorle, sablè di olive nere e olio extravergine d’oliva, già si sogna il dolce. Una rilettura coinvolgente, stratificata e piena di sorprese del tiramisù dove il caffè diventa una namelaka montata, il mascarpone un gelato profumato alla vaniglia e il savoiardo una frolla al cacao. Sembra tutto ma tutto non è. Arriva il ragazzo di sala, agita un pentolino di rame e versa una colata di zabaione tiepido sulla cima del dolce. La serata può finire qui, con un ricordo tiepido di uovo sbattuto e un augurio ad una strada piena di meritato successo.

Tiramisù



Foto: Crediti Alessandro Barattelli

Indirizzo


Pulejo Ristorante

Via dei Gracchi 31/33- 00192 Roma RM

Orari

Lunedì 19.30 – 22.40

Martedì –  Sabato 12.30 – 14.30 / 19.30 – 22.40

Domenica Chiuso

Tel: +39 068 595 6532

Sito web

 

 

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