La gloriosa scuola catalana ha deposto anche a Barcellona i suoi figliocci bistronomici: è libero lo stile di Antonio Romero, che rimbalza da una sponda all’altra del Mediterraneo per un pieno di gusto e di contrasti da Suculent.
Foto di Carles Allende e David Egui
Il ristorante
Dal barrio gotico, alveare di casupole all’ombra della maestosa cattedrale di Barcellona, l’atmosfera trascolora non poco via via che si percorre il lungo Carrer de Sant Pau, affollato sui due lati di botteghe dove si mescolano le etnie e risuonano gli esotismi. È il quartiere di Raval, in cui il brilluccichio turistico cede ad atmosfere scapigliate e bohémiennes, fino all’omonima rambla, che Botero ha reso celebre con il suo grasso gatto dalla faccia di bronzo. Un capolavoro di ironia a passeggio sotto l’alberata, sul cui dorso scivolano i bambini.
Qui basta scendere qualche scalino per accedere ad altre atmosfere conviviali, schermate dagli sgabelli del bar a mo’ di speakeasy. Si chiama Suculent e dal 2012 vi risiede il talento di Antonio Romero, uno che di strada ne ha fatta tanta prima di diventare chef patron. Originario di Castellon, ha compiuto la sua esperienza più formativa a elBulli, dove si è fermato tre anni, familiarizzando con lo strumentario delle nuove tecniche e assimilando una filosofia del gusto quasi giapponese, imperniata sulla riconoscibilità dell’ingrediente. Ma ha sgobbato anche alla Maison Pic, di cui ama rievocare il perfezionismo e la pasticceria, nei Paesi Baschi da Akelarre e Arzak. “Oggi il mio stile di cucina dipende dal mio modello aziendale, quindi qualcosa di più tradizionale, ma ben fatto, in un ambiente casual. Continuo ad amare il gastronomico, ma vedo che la gente si diverte di più nei bistrot”, taglia corto.
E in effetti Suculent (mot-valise di sucar e lent, inzuppare piano in catalano, che evoca succulenze golose) è un esempio in piena regola di ristorante bistronomico, non (ancora?) stellato, eppure accolto fra le dicoveries di The World’s 50 Best, tanto “educato” e tecnico nella proposta gastronomica, quanto sciolto nelle atmosfere e amichevole nei prezzi.
La saletta rustic-chic, con i tavoli in legno e le sedie impagliate, le pareti colorate da piante, vasi e libri che sanno di casa, brulica di ospiti attenti e gioviali, fra cui potrebbero nascondersi i migliori chef di Barcellona. Qui si muove con nonchalance Pedro Garrido, direttore di sala venezuelano dal calore latino.
I piatti
I menu sono due: i classici della casa a 65 euro e il menu Suculent, con le ultime ricette di stagione, a 85; più l’eventuale pairing a 40 o 50. Attinge da una carta di circa 300 referenze, dove non manca il vermouth locale. L’aperitivo della casa tuttavia è l’Adonis allo Sherry, che scorta appetizer golosissimi come la crocchetta di anatra che esplode in bocca, tanto immediata quanto slow nella preparazione, che richiede arrostitura del volatile, preparazione del fondo e besciamella. Quanto lavoro per un unico boccone! Il concetto di Suculent è imperniato sulla cucina mediterranea, con piatti che in un quartiere multietnico come Raval lambiscono il Maghreb e pure l’Italia, recentemente citata da un vitel tonné. La Francia, tuttavia, è vicina e fa capolino nelle tecniche e nelle salse con accenti classicisti mai peregrini. Data la metratura succinta della cucina, che si intravede sul fondo, le esecuzioni sono artigianali e spesso espresse per un pieno di gusto. “Dopo elBuilli e la Maison Pic, è stato come toccare terra di nuovo. Ma se il cliente è felice, lo sono anch’io”.
Sono delicatissime le alici marinate con la spina e poco aceto per 40 ore, in modo da ottimizzare la testura, sposate a gelatina di arancia e acqua di olive verdi. Come il ceviche di gambero rosso, solitaria eccezione alla regola della mediterraneità, perciò attenzionato dall’amico Adrià, ma richiestissimo dalla clientela. Fresco, vitale e piccante, vira verso il Messico per via di mais e avocado, mentre le teste alla brace portano una diversa testura e un gusto umami affumicato.
Altri piatti non hanno ascendenti noti, randagi come il gatto di Raval. Per esempio il carpaccio di barbabietola arrosto con anguilla affumicata e beurre blanc, un po’ giap per l’aceto di riso e la salsa di soia, dove dolcezza, grassezza e acidità ingaggiano un corpo a corpo sul palato. Altro vegetale protagonista è il fungo maitake, dalla testura di cartilagine sotto i denti, che sposa la piñolata, un pesto di pinoli, pecorino, timo e rosmarino, per un’escursione nel sottobosco.
Il piatto firma di Romero, però, è la steak tartare servita sull’osso col midollo alla brace, copiatissima anche in Italia, guarnita di pommes soufflées. Dove lo spunto viene da un piatto di elBulli con le seppioline e il rafano; poi è stato rielaborato con il foie gras (“ma la testura non mi convinceva”) e finalmente la battuta, in modo da spingere il gusto del manzo attraverso il manzo stesso. Un bel concerto di cremoso e croccante, grasso e acido, crudo e cotto, che inonda il palato.
È un classico, in Catalogna come in Francia, la razza al burro nero o nocciola, la cui salsa viene qui spinta dalla pasta di nocciola al Thermomix, con il purè di patate al limone e aceto balsamico a sgrassare. Per la sponda maghrebina, poi, arriva il collo di agnello al miele caramellato, senape in grani e ras el hanout, con il suo sugo e un contorno di quinoa balsamica al coriandolo e menta.
Dopo le fragole ripiene di cioccolato bianco con yogurt e gelatina di rose, chiude la cheesecake di Brie alla vaniglia di Tahiti con gelatina di Muscatel, immancabile formaggio col vino dolce a fine pasto, dall’intrigante punta di sapidità.
Contatti
Suculent
Rambla del Raval, 45, Ciutat Vella, 08001 Barcelona, Spagna
Telefono: +34 934 43 65 79