A Torino lo chef Luca Andrè usa la carne stampata in 3D, REDEFINE MEAT, dall’”anno zero” (quando sul mercato si trovavano solo i primi “prototipi” del genere). Oggi racconta il prodotto e la filosofia di cucina che ad essa si lega, fra etica e tecnologia avanzata.
Crediti fotografici: Soul Kitchen
Lo chef
Mancava un approccio tecnico per capire come cucinarla e tagliarla eppure lui già la studiava. È in carta dal giorno 0 da Soul Kitchen, insegna gastronomica guidata all’ombra della Mole Antonelliana dallo chef Luca Andrè, vegano da 26 anni, da quando era appena diciassettenne.
Lo abbiamo incontrato e con lui abbiamo affrontato temi scomodi e capito il perché di certe scelte: “Se parliamo di tecnologia nel mondo alimentare dovremmo fare un discorso più ampio, a partire dalla produzione delle materie prime. Oggi la tecnologia, nel bene e nel male, c’è ma andrebbe differenziata. C’è quella fatta per avere un prodotto di qualità e quella che bada solo alla quantità. Pensiamo a tutte le tecnologie applicate alle coltivazioni e agli allevamenti intensivi. È stato coniato un nome: FoodTech, identifica le soluzioni innovative e le startup che fanno leva su tecnologie digitali per la produzione, conservazione, lavorazione, confezionamento, controllo e distribuzione del cibo. Quando iniziai a fare il cuoco 25 anni fa c’era già, non così diffusa, non se ne parlava ma c’era. Pensate alla sosa: quella è tecnologia, probabilmente la rivoluzione gastronomica iniziò in quel momento.
Poi c’è la tecnologia legata alla stampa. Sembra qualcosa di futuristico, di finto, poco sano, anche se parlando con chi questi prodotti li realizza, la loro visione è opposta. La tecnologia della stampa gli ha permesso di omettere determinati ingredienti per arrivare a delle consistenze e texture precise. La stampa 3D, nel caso della carne, ha permesso di inserire sul mercato un prodotto valido da un punto di vista del gusto, delle consistenze e di pulizia dell’etichetta. La carne vegetale stampata è la cosa più tech della quale avrete sentito parlare ma si sta facendo una grande ricerca anche sulle panne vegetali, sui burri, le margarine. Le aziende devono creare prodotti da commerciare, standardizzati e con una scadenza precisa. L’industria alimentare è fortemente tecnologica, altrimenti sarebbe artigianato”.
Perché ha smesso di mangiare carne e derivati?
“Ho finito la scuola alberghiera e dopo tre giorni lavoravo nel mio primo ristorante stellato, al Passone, a Montevecchia, in Brianza. La mia fu una scelta dettata solo ed esclusivamente da un richiamo etico. Ho un background legato alla scena punk americana degli anni ’80, si parlava molto di vegetarianesimo, esplose negli anni ’90. Iniziai a leggere i primi libri. Uno mi svoltò la vita: Ecocidio di Jeremy Rifkin, una requisitoria contro un costume, quello del consumo di carne, che ha caratterizzato l’intera storia dell’uomo. Diventai vegetariano ma sentivo di essere in un limbo. Era una via di mezzo dove non mi trovavo comodo, così decisi di eliminare i derivati diventando vegano. È stato facile, vivevo da solo, potevo cucinare ed ero in grado di farlo. Ho evitato quel passaggio che molti hanno del… “cucina mamma, come si fa!”. Per fortuna nessuno della mia famiglia ha mai provato a farmi cambiare idea, considerando che non c’è neppure un vegetariano in tutto l’albero genealogico”.
Oggi è un cuoco vegano alla guida di un ristorante vegano che serve carne stampata in 3D. Lo stesso ristorante scelto più volte da Djokovic, famoso anche per la sua alimentazione.
“Ho sempre voluto fare il cuoco, sin da piccolo, a 5 anni cucinavo con nonna e zia mentre i miei amici rincorrevano un pallone. Abbiamo aperto Soul Kitchen a Torino nel 2013, molti pensavano a noi come ad un ristorante vegetariano, almeno sino a qualche anno fa e questo perché Google e il mondo social non identificava i ristoranti vegani, se non con l’etichetta “vegetariani”. Oggi è stata inserita la specifica corretta. Alcune preparazioni poi traggono in inganno ma questo è il bello del nostro lavoro. Il mio obiettivo è portare la cucina vegana allo stesso livello di considerazione della cucina onnivora: siamo il 2%, contro il 98%. Non ho fastidio a confrontarmi con chi cucina carne e pesce. C’è stato un periodo in cui i media hanno cavalcato tanto questa diatriba. Mi invitarono a Porta a Porta ma preferì declinare. Non si può ridurre tutto a: “è giusto che io mangi le banane, è sbagliato che tu bevi il latte”. Se sei vegano non sei per forza una brava persona. La scelta alimentare è slegata dallo sviluppo cerebrale”.
E oggi come va?
“Oggi la comunicazione di massa si è legata ad altri discorsi che non riguardano più solo il cibo, come l’ambiente. In Italia siamo troppo radicati alle tradizioni, come se non volessimo abbandonare determinate cose per non offendere i nonni. Siamo più campanilisti, forti del fatto che non tutti i Paesi hanno una cultura gastronomica come la nostra”.
Quando hai iniziato a cucinare la carne stampata in 3D?
“Era il 2022, stavo facendo una consulenza sia tecnica, per la parte di laboratorio, che di studio del menu, a Roma, in una Hamburgheria vegetale ai Parioli, da Impact Food. Alessandro, il titolare, un grande viaggiatore e studioso dei fenomeni legati al mondo del cibo, mi parlò di REDEFINE MEAT. Li aveva conosciuti a Londra dallo chef Pierre White, uno dei pionieri nell’utilizzarla. Fu il primo ad avere questa nuova carne in Europa. Così andarono a Londra e riuscirono a farsi dare un po’ di quella carne proprio da uno dei manager di Pierre White. La pagarono come cotta e la portarono via cruda. Quello fu il mio primo approccio: era gennaio 2023. Un prodotto molto diverso da quello di oggi, erano i primi campioni, era più selvatica, mancava un approccio tecnico per capire come cucinarla e tagliarla. Era un aspetto importante che non era stato sviluppato.
Se hai in mano un buon pezzo di carne e sai come cucinarla e tagliarla tiri fuori il meglio. Con questa “nuova” carne doveva funzionare allo stesso modo. Era un prodotto lanciato sul mercato da un format inglese legato alla griglia, ancora oggi il loro ricettario è molto british. Mi è servito un anno di prove per trovare la quadra. È stato da noi il Ceo e il responsabile commerciale Italia di REDEFINE MEAT, il loro entusiasmo mi ha colpito. Avevamo messo delle basi per un’ipotetica collaborazione, tutto rallentato da quanto poi accaduto in Israele. Dovevamo andare in sede da loro poi ci fu l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Lì c’è una sorte di Silicon Valley legata al mondo del food tech dove stanno sviluppando prodotti per il mercato di tutto il mondo. Oggi REDEFINE MEAT ha più di 500 dipendenti. L’azienda è stata spostata in Olanda, dove è nato il secondo polo di produzione, anche per abbattere i costi oltre che per la possibilità di spedire in Europa tramite ruota e non tramite aereo”.
Ai clienti piace la sua carne 3D?
“È in carta da un anno. Si, piace, anche perché l’hanno migliorata tanto. Sono partito come un neofita, avevo in mano l’ingrediente e dovevo capire cosa farne. Arriva in formato da 300 gr, congelata. È fatta con 3 proteine: patata, soia e grano, con una base grassa di olio di cocco. In cottura una parte si scioglie, l’altra resta all’interno. Il colore arriva dalla barbabietola. È lì il vero studio, abbinata alla parte di aromi naturali e assaggiata dalla pipetta ha il gusto “vero” del sangue ferroso, realizzato sintetizzando aromi. Questa la vera magia!”.
Se non le piace la carne perché usa la carne REDEFINE MEAT?
“Non ho eliminato la carne per una questione di gusto ma per etica. A me la carne piace, il profumo della carne alla griglia attrae, solo che io metto davanti a tutto l’etica, anche prima di un gusto che amo. La cosa che oggi più mi manca a livello di ingredientistica? Il mondo della caseina. Mio padre è di Pomigliano d'Arco, mi manca il gusto della mozzarella di bufala che comprava ma non sono disposto a scendere a compromessi con i miei valori. Sul mercato non c’è nulla di simile che sia vegetale. Diverse aziende stanno investito milioni in ricerca per arrivare ad una caseina lavorata in modo sintetico, naturale e con ingredienti vegetali, che conservi quel gusto e permetta determinate lavorazioni. Deve fondere, filare…”.
Quanto costa un piatto di carne stampata in 3D?
“Circa 26 €. Considera che a me costa 70€ al kg. Se provi a comprarla da privato, a Milano c’è un negozio, la trovi a 100€ al kg. Stanno lavorando per abbattere i costi, almeno del 30%. Un prodotto destinato al mondo Horeca. Al momento non c’è apertura verso la GDO”.
Una casalinga sarebbe in grado di cucinare quella carne?
“È come chiedere ad una casalinga di fare il petto d’anatra. È un pezzo di “carne” pregiata, così la vendono e la raccontano i distributori. Serve una certa competenza”.
Quanta ne vende al mese?
“Ne compro 6 kg a settimana: 60 porzioni da 100 gr. Dieci porzioni al giorno, se consideri che siamo aperti sei giorni alla settimana. Parliamo di un consumo mensile di 24 kg al mese”.
Noi mangiamo pollo, vitello, maiale… quanti gusti ha questa carne?
“È come se al mondo ci fosse solo carne di vitello. Esiste solo un “gusto” che corrisponde alla nostra bavetta, la bistecca di manzo. Avevano introdotto un altro formato, poi ritirato dal mercato. Un filetto che in cottura era troppo duro”.
Può essere mangiata cruda?
“No, deve essere portata a 70° al cuore. È una specifica che trovi sull’etichetta. Non so perché ma credo sia necessario perché si scatenino certe reazioni. Ho provato a mangiarla cruda, sembra di masticare gomma, da cotta è completamente un’altra cosa. In cucina la trattiamo, con più passaggi, come quando da ragazzo cucinavo le tagliate di canguro o di struzzo”.
Come si pone nei confronti della carne sintetica?
“Intorno a questo tema c’è molta confusione. Tanti clienti mi chiedono spesso cosa ne penso e che differenza c’è rispetto alla carne stampata in 3D. Quest’ultima è un prodotto di lavorazione tecnologica che utilizza una materia prima vegetale; la carne sintetica è coltivata e parte da una cellula animale che viene trasformata in laboratorio. Da cellula animale, a prodotto alimentare. Vuole sapere se mi interessa utilizzarla? In questo momento non posso rispondere perché mi mancano gli elementi per valutare la cosa. Quando ci sarà il prodotto sul mercato e potremo utilizzarlo, vorrò capire come è stato trattato l’animale da dove tutto è partito. Se gli fai una semplice puntura dalla quale estrai una cellula è un discorso, altrimenti le cose cambiano. E poi quella puntura, la fai una volta e basta? Una volta per razza? Una volta per tipologia di animale? Ci sono già aziende nel mondo, anche in Europa, che la stanno sviluppando. Risentiamoci in un futuro prossimo, quando i tempi saranno maturi e saprò sicuramente risponderle”.
Chef, un’ultima domanda perché la gente mangia gli animali?
“Per abitudine. Perché si fa così da sempre. Perché è nella nostra cultura. Perché la gente crede che sia giusto così. Perché viene comunicato quello. Mi metto nei panni di chi non ha voglia di informarsi e ha come unico scopo andare a cena all’All you can eat. Non gli interessa null’altro che quella convivialità e il prezzo basso. È culturalmente accettato. Ti giro la domanda. Perché in alcuni posti in Cina mangiano il cane? La risposta è uguale. Perché lo hanno sempre fatto, perché la loro cultura lo accetta. Il cinese che mangia il cane non lo vedo diverso da un italiano che mangia il capriolo. Quindi per rispondere alla tua domanda, noi del primo mondo mangiamo gli animali per cultura. Una cultura millenaria difficile da scalfire. Poi c’è quello che spinge la tv, i media e ciò che i supermercati ti vendono: oggi vince il prezzo basso e il pollo a 3 euro al kg!”.