Da una fiaschetteria aperta nel 1968 dentro il Parco Nazionale della Maiella, la famiglia Tinari è arrivata a conquistare un macaron e i consensi della critica che conta. Ma non è tutto: qui l’alta ristorazione riesce ad essere trasversale e inclusiva.
La storia
Se pensate che la gente sia stufa dell’alta ristorazione fate un giro a Guardiagrele, ché magari cambiate idea. Se ne parla ovunque, nell’ultimo anno si è letto il pensiero personale di tutti sull’alta ristorazione in crisi e sulle possibili cause di questo fenomeno. Le città di riferimento sono sempre Roma, Milano o Firenze, ma sono davvero i grandi centri il termometro dell’alta ristorazione? Perché l’impressione è che altrove non sia difficile trovarsi seduti in sale piene di persone che ridono rilassate e il Villa Maiella, a Guardiagrele, ne è uno degli esempi più eccellenti.
Mentre nel mondo il 1968 ribaltava le fondamenta culturali della società, a Guardiagrele la famiglia Tinari apriva una fiaschetteria nel Parco Nazionale della Maiella. Le rivoluzioni di quegli anni hanno segnato una contemporaneità controversa, fatta di molte idee confuse e di pochi punti di riferimento precisi, ma gli anni ’70 sono stati anche quelli di Gianluigi Morini del San Domenico di Imola, della cucina rubata all’ aristocrazia franco-russa con il filetto alla Voronoroff o alla Wellington, di una gastronomia territoriale portata al lusso nelle cucine di Sabatini a Firenze, Savini a Milano o del Baglioni a Venezia e del Principe di Piemonte a Torino.
In quegli anni nascono i tortellini alla panna della Cesarina a Bologna e nell’Harry’s Bar di Cipriani si sfornano i tagliolini ripassati con la besciamella che daranno origine alle fettuccine proposte da Alfredo a New York. In questo contesto Nonna Ginetta cucinava su via Sette Dolori, nel suo paese di nascita, trippa, lumache e sagne e fagioli, una storia che ancora oggi risuona nelle sale di un Villa Maiella giunto alla sua terza generazione.
Il ristorante
Arcangelo Tinari e Pascal Tinari sono fratelli, il primo ha in mano la cucina e il secondo amministra l’accoglienza di sala sotto l’occhio vigile di papà Peppino. Così i tre Tinari oggi valorizzano la loro Stella Michelin ricevuta nel 2009, senza mai tradire le origini di cui rimangono fieri ambasciatori.
Andare a pranzo al Villa Maiella, che è anche albergo, significa entrare in uno spazio luminoso, ampio, ritagliato geometricamente al piano terrazza della struttura ricettiva. La sala vive di un’armonia candida che riempie gli spazi attorno i grandi tavoli tondi e abitati, tutti in quell’occasione, da persone col sorriso. Quell’armonia si percepisce e l’agio diviene un beneficio coinvolgente. Pascal ha un motto per tutti, “sei a casa tua”.
Per chi ama la cucina e la ristorazione, dopo il flusso di parole soggettive che affermano e negano ovunque il successo dell’alto valore di questo settore, sedersi al Villa Maiella è prima di tutto un’esperienza riconciliante. Qui l’ospite è realmente al centro dell’attenzione e non al centro di una visione. Qui si percepisce che l’obiettivo è l’accoglienza e la massima cura, senza nessuna forma di esaltazione percettiva, se non quella del gusto. Un successo evidente in un’atmosfera che prima ti contagia e successivamente ti conquista con piatti pieni di elegante sostanza.
I piatti
La Chitarra di patate con fonduta di canestrato di Castel del Monte è una gustosa prima corsa, avvolgente e sapida nei suoi giochi di consistenze. La sapidità sarà una costante nei piatti del percorso, ogni volta ben definita e gestita con equilibrio nell’utilizzo di ingredienti naturalmente capaci di essere esaltatori di sapore, come nel Pomodoro a pera con pesto di basilico. Semplice, ma organoletticamente complesso e intenso.
Sorprendente è il Crudo di pecora, infilzato in un fusto di sanguinella a mo’ di arrosticino, con inserti di grasso di maiale nero allevato da loro e insaporita da un cucchiaio di fondo aromaticamente speziato, servito con una crema di mais e con un finale tra amaro, balsamico e piccante dato da una misticanza selvatica. Buono il Farro mantecato con porcini e tartufo, esaltati da una parte di gorgonzola che spinge sui gusti che rimangono in persistenza.
Molto elegante la Sfoglia di saragolla con crema di melanzane e lumache di Vacri, mentre l’Anatra è un colpo di gusto in perfetto bilanciamento tra grasso e ferro, servita insieme a un orzo soffiato che diverte per il crunch a volte eccessivo. Anche in questo caso, la misticanza servita a parte è la perfetta chiusura in pulizia. Il gioco del dessert porta in tavola un piatto di gnocchi al pomodoro, con fiocchi di latte alla vaniglia serviti con pomodorini confit e una spolverata di basilico.
Arcangelo ha la mano accurata e riesce a restituire sapore appagante, mettendo insieme componenti di gusto semplici in maniera complessa. I percorsi degustazione in carta sono tre e guardano tutti a un Abruzzo fatto di montagne forti e colline gentili, con una chiave di espressione gastronomica fortemente identitaria. Questo, qui come in altri grandi ambasciatori di cucine regionali nell’alta ristorazione, significa continuare a parlare di tradizione nelle sale dei fine dining. Una componente che unita a quel “sei a casa tua”, detto col sorriso sincero di chi poi te lo dimostra, permette a chiunque di entrare in una dimensione di agio che bene si plasma attorno all’eleganza del posto. Niente di scomposto, leggiadria in ogni garbata attenzione di un servizio geometrico, piacevolezza di un tempo scelto per essere intelligente.
Peppino racconta tutti i buoni motivi per andare a Guardiagrele, Pascal segue con distinta riservatezza chi ha voglia di conoscere anche solo una delle tante storie che fanno parte del Villa Maiella e Arcangelo indossa la giacca del gusto che ti porti via senza neanche uno sbaffo. Non so davvero quale sia oggi lo stato dell’arte dell’alta ristorazione, se ne leggono e se ne vedono tante e probabilmente hanno tutti ragione, però una cosa è tangibile. Se negli anni ’70 ci si perdeva nelle grandi città per mangiare una salsiccia deglassata al Madeira, mentre tutto esplodeva con frenesia, oggi succede che da quella frenesia si sente sempre di più il bisogno di fuggire. Stancano le storie che non hanno più una storia e fuori dai grandi costi e dalle incredibili ansie da prestazione, dettate dalla comunicazione massiva, con ricercata facilità si può trovare ancora l’aria buona e la buona (alta) cucina che conquista tutti. Come a Guardiagrele.
Indirizzo
Villa Maiella
Via Sette Dolori 30 66016 Guardiagrele, Abruzzo
Tel: 0871 809319
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