Il magazine statunitense registra il nuovo corso dei ristoranti di cucina italiana nella Grande Mela, dove la tradizione non è più una virtù. “Portiamo in tavola le cose di cui la gente ha nostalgia, presentandole in un modo diverso. Il nostro cibo è italiano al 101%, nonostante gli ingredienti stagionali e locali, interpretati alla newyorkese”.
La notizia
La cucina italiana, si sa, è la più esportata del mondo. E tante volte è all’estero che si conservano o addirittura si inventano tradizioni che poi rientrano a boomerang, secondo quello che è stato giustamente battezzato “pizza effect”. Ora il T Magazine del New York Times registra il nuovo corso dei ristoranti italiani più in voga nella Grande mela, sotto il segno dell’“iconoclastia”.
Per esempio, c’è Daphne’s di Gary Fishkop e Paul Cacici, nuovo indirizzo a Brooklyn dove la salsa di pomodoro non è rossa, ma verde di Chartreuse e innaffiata di vodka, la lasagna arriva sotto forma di chips (Bottura style?), in frammenti fritti sopra una tartare di manzo con tanto di tuorlo marinato alla salsa di soia, la milanese sembra classica, ma è di pesce spada.
Niente di sconvolgente o di mai sentito, eppure abbastanza per sovvertire le aspettative di chi all’estero concepisce la nostra cucina come sinonimo di comfort, da cliente magari abituale de I Sodi o Via Carota, Bamonte’s o Carbone. “New York City ha abbastanza ristoranti italiani classici. Gli chef vogliono fare qualcosa di personale e aprirsi la propria strada”.
Perché Daphne’s non è un caso isolato: sono diversi i ristoranti che secondo il quotidiano farebbero sobbalzare una nonna italiana. Café Mars si preannuncia eccentrico fin dalle sedie di design rosa al bar, griffate Studio Apotroes, e dai neon reminiscenti del Memphis Group. Qui le olive di Castelvetrano arrivano in formato cubico, dentro un dado di gelatina al Negroni. Poi c’è Marie’s, dove lo chef Miguel Trinidad, nominato ai James Beard Award, serve ravioli al formaggio grandi come sottobicchieri e pasticci di ragù di agnello.
Mark Brucato, attore italoamericano nato e cresciuto nella metropoli, che sotto lo pseudonimo di Lil Mo Mozzarella vi ha recensito centinaia di ristoranti italiani, non ha dubbi: “L’atmosfera è tutto. Questi locali italiani di tendenza stanno portando la giusta vibrazione, nel tentativo di fondere cose diverse per distinguersi. Perché il 90% dei menu italiani sono identici”.
Gli chef Scott Tacinelli e Angie Rito di San Sabino e Don Angie parlano di una “new wave di cucina americana italiana” e non si peritano di servire carbonara di pepperoni, crema di mortadella di granchio con i Ritz o tonno croccante con arancini spezzati. Eric Madonna del Bar Madonna, dal canto suo, avanza le sue ali piccanti alla calabrese, le crocchette di coda con salsa verde di sedano o il quasi burger con frico di Parmigiano. “Portiamo in tavola cose di cui la gente ha nostalgia, presentandole in un modo diverso”, insiste. “Il nostro cibo è italiano al 101%, nonostante gli ingredienti stagionali e locali, interpretati alla newyorkese”.