“Lo faccio perché mi piace, non ho alcuna intenzione di continuare per preservare la tradizione”. Così Yosuke Miura, esponente della terza generazione, racconta il ristorante di onigiri più antico di Tokyo: 16 coperti ambitissimi, dove la polpetta di riso è religione.
La notizia
Nel centro storico di Tokyo, a pochi passi dal complesso templare Sensoji, Cnn è andata a visitare un’altra istituzione giapponese: Onigiri Asakusa Yadoroku, il più antico ristorante di onigiri della città. Qui la tradizionale polpetta di riso dal cuore di pesce, avvolta nell’alga nori, viene approntata dal 1954 ed è ormai nelle mani della terza generazione. “La ragione per cui la mia famiglia ha intrapreso questo business è semplice”, spiega Yosuke Miura, che fin da piccolo ingollava polpette di riso al posto di biscotti o merendine, rientrando da scuola. “Mio nonno non lavorava e mia nonna faticava a far quadrare i conti”. Fu lei ad avere l’idea di aprire il locale ed è una genesi che spiega l’origine del nome, dove Asakusa sta per il quartiere e Yadoroku identifica la casa numero sei, ma allude anche a una persona sfaticata, in giapponese “roku”.
“Penso che le polpette di riso siano il cibo più tipico, che tutti mangiano in Giappone, dai bambini agli anziani. Probabilmente non esiste un giapponese che non le abbia mai provate”, prosegue Miura. Di fatto gli archeologi sostengono che qualcosa di simile fosse consumato già nell’era Yayoi, fra il 300 a.C e il 250 d.C., forti di un presunto fossile; mentre dipinti e racconti provano come fosse comune fra i lavoratori e i viaggiatori, per l’agevole consumo con le mani, in chiave di street food. Cosicché nelle prime scatole bento, risalenti al XIX secolo, non poteva mai mancare.
Oggi Onigiri Asasuka Yadoroku, con i suoi 16 coperti, è un’attrazione anche turistica, grazie al bib gourmand della guida Michelin. “Per una deliziosa polpetta sono necessari appena tre ingredienti: un buon bilanciamento di alga, riso e guarnizione”. In particolare la nori della casa arriva solo da Tokyo, il riso viene scelto ogni anno dopo l’esame di campioni provenienti da tutto il paese, appena raccolti a inizio autunno (attualmente il Koshihikari della prefettura di Niigata, che l’ha spuntata su una trentina di competitor), le guarnizioni sono una dozzina, tutte raccolte in secchielli pronti per l’uso. È sufficiente modellare in una forma triangolare il riso con l’ausilio di uno stampo, inserirvi l’elemento prescelto e avvolgere il tutto nell’alga. Al cliente l’onigiri arriva in un cestello di bambù, con la raccomandazione di mangiare rapidamente perché la nori non si inumidisca.
“Oggi tutto il mondo conosce la parola ‘onigiri’, cosicché in un certo senso sono lieto che abbiamo ottenuto qualche forma di riconoscimento”, prosegue Miura. Fra i suoi punti di forza, oltre alla praticità di consumo, c’è l’adattabilità, tanto che egli stesso ha approntato una versione con formaggio, pomodoro ed extravergine per il padiglione giapponese all’Expo di Milano. “La tradizione non è un dogma, penso non sia male incorporare ingredienti legati alla cultura del posto. Non deve trattarsi per forza di salmone o di tonno alla maionese”.