A San Pantaleo, piccolo borgo degli artisti nel comune di Olbia, c’è un’eccellenza riconosciuta e premiata dal paese del Sol Levante. Alla scoperta di Mizuna e dello chef Lugi Annunziata.
Ristorante Mizuna
Nasu dengaku, ma in doppia cottura, sotto la melanzana arrostita, sopra quella fritta con la sua salsa, più una nevicata di fiocchi di katsuobushi; gyoza di wagyu, mazzancolla arrostita allo yuzu fermentato e galletto al miso e miele. Parla così, questo trentacinquenne napoletano: per metà in giapponese, lingua con cui esprime una passione per la cucina con cui ha contagiato i fratelli Vincenzo e Antonio Giacometti.Il loro locale Mizuna, inaugurato nel 2020, è ormai riconosciuto come uno dei migliori ristoranti giapponesi in Sardegna , tanto che gli stessi asiatici vi fanno tappa e il governo del Sol Levante gli ha concesso il certificato ufficiale Jetro, ideato in pieno boom di “all you can eat” per distinguere i ristoranti giapponesi di qualità all’estero. “So che l’organismo che se ne occupa ha la sua sede a Milano, ma gli ispettori passano in incognito e non li abbiamo mai identificati”.
Stupisce, considerato che il Giappone Luigi l’ha battuto, sognato, rincorso da lontano. E un po’ se ne rammarica, ma forse doveva andare così: doveva essere un Giappone ideale, come quello dei pittori ottocenteschi, ricostruito attraverso le stampe portate da esploratori e missionari. “Mio padre lavorava nell’edilizia, mia madre aveva un laboratorio di sartoria. E io avevo in animo di fare lo stilista con lei, ma mio fratello Vincenzo, che aveva fatto l’alberghiero, mi ha trascinato con sé. Ho iniziato un po’ per gioco, facendo una stagione in Sardegna, e da quel momento non mi sono più fermato, lavorando in Italia e all’estero, per ristoranti ed hotel cinque stelle”.
Il passaggio fondamentale, tuttavia, è stato il triennio speso a Londra, vera Mecca di tutte le cucine, dove ha assorbito ogni succo dagli chef giapponesi che affiancava. “Per conto mio già manifestavo un’influenza giapponese nei piatti, perché da autodidatta mi ero fissato con libri e documentari. Era sempre stata la mia cucina preferita da mangiare, per l’estetica, la leggerezza, la semplicità raffinata e la cura estrema, a tutti i livelli. Quando a Londra sono capitato nel primo giapponese, però, ho ricominciato tutto da capo. Ero sous-chef e sono diventato commis, ma ho acquisito una formazione di base molto buona un po’ in tutte le specialità. Gli ingredienti, in particolare, erano completamente diversi da quelli che conoscevo: là non si faceva il dashi con un’alga o un katsuobushi qualsiasi, entravano solo ingredienti premium. Poi a forgiarmi è stata l’impostazione del lavoro, improntata alla massima educazione, dedizione, al rispetto per tutto ciò che facevi.
Prendiamo i coltelli: all’inizio portavo i miei, ma ho subito notato che il taglio degli altri risultava più preciso. E dietro di me ho sentito l’executive chef: ‘Luigi, sento che il tuo coltello non funziona dal rumore che produce sul tagliere’. Cosicché il giorno dopo avevo un set giapponese e oggi sono gli unici coltelli qui a Mizuna”. La qualità dei giapponesi a Londra, si sa, è ben diversa da quella degli omologhi italiani. La conferma è arrivata dal secondo locale, che non era più un giapponese tradizionale, ma un asiatico.
Il sogno, tuttavia, restava quello di un giapponese vero e proprio, parcheggiato nell’attesa e finalmente realizzato nel 2020, dopo qualche esperienza in Qatar e in Sardegna, nonostante le turbolenze del periodo. “Eravamo già sull’isola ed è stato naturale restare, per di più in un punto strategico, nella piccola San Pantaleo borgo degli artisti fra Olbia e la Costa Smeralda.
Il primo requisito per il Jetro sono le materie prime, che devono essere autoctone per l’80%, e su quelle Annunziata ha subito puntato: sono stati proprio i fornitori a segnalare all’organismo certificatore l’impiego di ingredienti premium, come la soia artigianale, la carne di wagyu kagoshima e il galletto nagasaki, oltre a zenzero, wasabi, katsuobushi e tant’ altro… Certo il tonno e il pesce fresco possono essere sardi, ma sempre trattati con la tecnica ikejime della sonda nel midollo; poi ci sono le eccellenze che gli stessi giapponesi ci contendono sul mercato, come il gambero rosso siciliano.
Tutto pesce abbattuto secondo la legge italiana, diversamente da quanto accade in Giappone, dove è possibile servire subito quanto acquistato al mattino. Più le carte dei sakè, compresi quelli di alta gamma dal solo cuore del chicco, delle birre artigianali giapponesi e dei tè. Per il Jetro contano anche lo standard di servizio e la tipologia dei piatti nonché delle ceramiche usate, che qui restano fedeli alla tradizione. Ci sono perfino il natto, ingrediente idiosincratico per antonomasia, per quanto non protagonista, e il kimchi alla maniera giapponese, ma di cavolo cappuccio, la cui fermentazione è puro virtuosismo considerata la tenacia delle foglie.
“La vulgata riduce la cucina giapponese al sushi, che per noi rappresenta solo una parte, come la pasta per la cucina italiana. Poi c’è tanto altro. Da Mizuna le vendite al banco dei crudi, sushi e sashimi sono più o meno equivalenti a quelle dei piatti che escono dalla cucina, tutti prodotti interamente da noi”.
E non manca niente: tempura, gyoza, tataki, costine di maiale caramellate… La filosofia cambia un po’ a fine pasto, perché le specialità giapponesi non lusingano tutti i palati. Luigi ha quindi cercato un compromesso con il gusto italiano, senza tradire l’ingredientistica originale, vedi i gyoza dolci con mela arrosto alla cannella, crema al latte di riso, riduzione di distillato di prugne e gelato al caramello salato.
Hanami.(fioritura del ciliegio) Cremoso al cioccolato fondente, ciliegia nera candita, ciliegia disidratata,crumble alle mandorle, sorbetto cherry sour
Indirizzo
Mizuna Japanese Restaurant
5, SP73, 07026 San Pantaleo SS
Tel: 0789 187 2319
Sito web