Stessa tecnica, più improvvisazione. Torna a Piacenza uno dei più grandi talenti della cucina italiana: ecco come e cosa si mangia da IO, Luigi Taglienti.
IO Luigi Taglienti
La storia
Non si può dire che sia stato fortunato, Luigi Taglienti, cuoco perennemente in odore di consacrazione, travolto dalla slavina degli eventi. Dopo l’esperienza a Portofino, nella sua amata Liguria, torna con un locale dove è per la prima volta patron nel centro di Piacenza: “IO, Luigi Taglienti”, ospitato in una falegnameria dismessa dai mattoni a vista, tutelata dalle Belle Arti.
Rappresenta il prolungamento ideale della Galleria Volumnia di Enrica de Micheli, esposizione del design italiano a partire dagli anni ’50, ambientata in una chiesa cinquecentesca sconsacrata. “Di qua e di là, lo stesso racconto di italianità. Non l’ennesimo ristorante in un museo, ma una realtà che si pone oltre e accanto”.
A essere cambiate, però, non sono solo le coordinate satellitari. Il format questa volta non è da gastronomico puro: Taglienti lo definisce con formula azzeccata “soft gourmet”, nel senso che offre una cucina di ricerca, perfettamente riconoscibile nella sua autorialità e nella sua grana gustativa, tuttavia in chiave più amichevole e in forma leggermente semplificata.
“Parlando con gli appassionati e con gli addetti ai lavori, ho riscontrato il desiderio di approcciare l’esperienza gastronomica in modo nuovo. Che restino il dettaglio, il metodo, il servizio e la mentalità di cucina, ma i contenuti diventino più schietti e naturali, il linguaggio leggibile senza eccessive pressioni. Insomma, che si faccia ricerca, ma senza ostentazione e a prezzi più accessibili. Qualcosa cui in fondo stavo già lavorando: penso al filetto alla Rossini, alla lasagna, al mio studio sulla cucina italiana”.
Il ristorante
Anche il modus operandi si è giocoforza evoluto nella nuova location, assai meno metropolitana e cosmopolita, prossima piuttosto ai giacimenti rurali e gastronomici dell’Emilia felix. Se il ristorante conta una sola saletta con dehors sui toni dell’ottanio, la cucina ha spazi misurati, che non consentono stoccaggio.
Da qui una cuisine du marché che sembra riportare Taglienti indietro nel tempo, agli insegnamenti appresi alla Palme d’Or di Cannes da Christian Sinicropi, allievo di Ducasse. “Lavoriamo con i produttori della zona”, dice. “La sera ordiniamo, la mattina riceviamo e in giornata è tutto esaurito”. Non sono dettagli da poco: non significano solo iperstagionalità e trazione vegetale, sotto il sole della Costa Azzurra e della vicina Liguria; ma anche e soprattutto flessibilità e apertura all’improvvisazione, dote che Taglienti ha nelle mani come pochi chef in Italia.
Può trattarsi di adattare i piatti agli arrivi del mattino, oppure di venire incontro a clienti allergici o intolleranti; altre volte sono gli habitué a richiedere un fuori carta o è lo chef a improvvisare variazioni per costruire sequenze ragionate. Il menu degustazione comunque non manca: nelle parole di Taglienti si colloca a metà strada fra il territorio e i classici, con piatti come il foie gras d’oca in sfoglia di lattuga al vapore, la lasagna tradizionale con veste di limone verde, la manzetta piacentina con la sua salsa, peperoni e pompelmo rosa, la terrina ai 3 cioccolati per una chiusura vintage (58 euro).
Ma in questa fase creativa sono frutta e vegetali a ispirare composizioni ficcanti, dove l’acidità di sempre innerva l’eleganza del contrasto, i bocconi sono sempre calibrati senza perdere audacia, l’impiattato buca per forme e colori. Fra le cotture si è fatto strada il vapore, il cui purismo è variabile della sensibilità del cuoco nel regolare fiamme e distanze. Mentre protagoniste restano le salse, che cercano la quadratura fra estrazione e liquidità, per non sporcare il palato.
I piatti
Si comincia con gli appetizer: il financier con Parmigiano e limone, la pesca naturale al dragoncello, il lampone ripieno di harissa. Segue quale benvenuto un classico del Lume, l’infusione freddissima di sedano e yuzu alla colatura di alici, che può accompagnare il vegetale insolito, miscellanea stagionale al vapore che diventa un pinzimonio senza grassi o una fonduta in chaudfroid. Certo non è il vegetale di Milano, quando lo stesso ingrediente, che fosse il carciofo o il topinambur, si moltiplicava nel carosello dei micropiatti. “Allora il mio fine era costruire un sistema di condivisione fra gli elementi della brigata, in modo che diventassero un tutt’uno. Quindi, per esempio, la guarnizione di uno gnocco che faceva gruppo. In questo caso si tratta piuttosto di un lavoro istintivo e sensibile sulla materia prima del giorno, di trovare il meglio ed elaborarlo per via istintiva”.
C’è il pane con le fettine di prugna da inzuppare nel succo di insalata di pomodori ai frutti rossi e coriandolo, con il tozzo che resta per metà croccante, fra il crostino e la panzanella, ma alla frutta. E ci sono i fagiolini, burrosi, per nulla resinosi, privati dei semi e cotti al naturale, poi serviti con zuppa di rucola, cimette e ciliegie. Oppure i fiori di zucca, uno crudo, naturalmente speziato, l’altro farcito delle zucchine in carpione delle nonne liguri e passato al vapore. Sono serviti su una crema di zucchina gialla degna di Van Gogh, con la bocca dinamizzata dalla marmellata di chinotto. Piatto che con un ripieno di brandade può accompagnare il branzino. “Il massimo gusto attraverso la semplicità e la sensibilità del cuoco, secondo la lezione di Pierangelini”.
Per Taglienti l’ostrica rappresenta da sempre un feticcio per le sue molteplici funzionalità, da cruda a cotta, perfino strapazzata. In questo caso vela una crema di Parmigiano 24 mesi, ricomponendo l’immagine del momento. Ed è un binomio tanto azzardato quanto riuscito, visto che in bocca permane la dolcezza iodata del mollusco, mentre l’umati di terra sposa quello di mare. Più una punta di succo di limone verde. “Ma se il formaggio fosse stato più stagionato, avrei scelto di grattugiarlo per la nota piccante”.
Ottimi anche gli spaghetti con spremuta di granchio e ragù di anatra. Una “classica” pasta salsata all’italiana, con beurre blanc al cipollotto, più quasi-bisque ottenuta dai carapaci ghiacciati e ragù tradizionale in casseruola sfumato al Madeira. Dove il carboidrato dà il morso, ma finisce per rappresentare un pretesto per l’incontro di condimenti complementari per gusti e testure. Come una finale del mondo Italia-Francia.
Gli scampi della Riviera vengono serviti con biscotto di Genova al basilico di Pra e battuto di pomodoro; volendo evitare le ripetizioni, con ragù di spugnole, harissa e infusione al ginseng, per un esito quasi thai di aromaticità sfumata. Chiude la mela cotta, provocazione riscattata dal focus sulle testure, con la buccia che assorbe l’acidità degli agrumi e si fa carico della Chartreuse ridotta usata per deglassare.
Ma gli ospiti impazziscono per il Gran dessert all’italiana, dove il tavolo entra in condivisione come un carrello di nuovo conio. Sono 6 o 7 elementi super classici: tiramisù, zuppa inglese, babà con zabaione agli agrumi, terrina ai tre cioccolati, savarin ai frutti rossi… più una golosità alle fragoline di bosco e Balsamico che omaggia il maestro Ezio Santin.
Foto: Crediti Fausto Mazza
Indirizzo
IO LUIGI TAGLIENTI
Via Pietro Giordani, 14- 29122 Piacenza
Tel: 0523 604703
mail: info@ioristorante.it
www.ioristorante.it
Chiuso domenica sera e lunedì