“Non alimenti, ma sostanze create per prendere soldi e trasferirli all’industria alimentare”: è questa la definizione dei cibi ultraprocessati coniata da Chris van Tulleken, che dipinge a tinte fosche il futuro della dieta mediterranea.
Foto di copertina: crediti Chris van Tulleken
La notizia
Chris van Tulleken, medico e scienziato inglese, da anni studia ciò che mangiamo, tema cui ha dedicato il bestseller Cibi ultra processati. E non ha dubbi: il destino della cucina italiana è segnato. L’assassino è il cibo ultraprocessato, corrispondente a una definizione scientifica precisa: non si tratta genericamente di junk food, ma di alimenti che contengono ingredienti normalmente non presenti nelle dispense casalinghe, quali emulsionanti, conservanti, coloranti, aromi, stabilizzanti e così via, tipicamente usati dall’industria alimentari.
Per esempio la pizza, oggi emblema mondiale del junk food (ahimè). Nel caso di quella ultraprocessata, la ricetta è stata progettata per indurre a un consumo sempre maggiore, attraverso l’uso di agenti chimici, sale, grassi e zucchero in eccesso. Si tratta insomma di una modificazione che mira a indurre assuefazione, utilizzando gli ingredienti più economici, in modo da incrementare i profitti con la complicità di scienziati prestati all’industria.
Il problema è particolarmente pressante in nazioni come il Regno Unito, dove il cibo ultraprocessato arriva a coprire il 60% delle calorie ingerite in media, con grave pregiudizio per la salute. Ma non è il benessere dei clienti a interessare le grandi industrie alimentari, piuttosto il mero profitto. A giudizio di van Tulleken, questa alimentazione scorretta sarebbe la prima causa di morte prematura insieme al tabacco, provocando cancro, malattie metaboliche, demenza, obesità eccetera. Non solo il cibo viene consumato in eccesso, ma contiene sostanze dannose come i grassi saturi e additivi capaci di alterare il microbioma, mentre mancano i nutrienti essenziali. Spesso si tratta di molecole mai consumate prima nella storia, che configurano un pericoloso esperimento.
“Creiamo questo cibo per rendere le persone dipendenti”, testimoniano i collaboratori delle aziende nel libro. In questo modo il cibo non è più nutrimento, condivisione e amore, ma mero strumento di profitto, costi quel che costi. In Italia gli alimenti ultraprocessati coprono attualmente il 25% delle calorie, meno che in UK, ma le industrie alimentari stanno sferrando l’attacco finale, come prova lo sbarco di Starbucks e KFC.
“Il mio fine egoistico è salvare la cucina italiana, che amo. So che gli italiani lo vogliono. Ma il cibo italiano verrà distrutto dalle grandi industrie alimentari”, dichiara van Tulleken a La Repubblica in un recente video. L’invito è a leggere gli ingredienti, anche al supermercato, e porre etichette sul cibo, tassare quello nocivo, vietarne la pubblicità e le sponsorizzazioni, sul modello di alcune nazioni sudamericane.