Sulle colline sopra Cesenatico, a Longiano, brillano da due anni le stelle di Alberto Faccani, autore di una cucina territoriale e stagionale dall’encomiabile rapporto qualità/prezzo, in un contesto agreste e rilassante.
La storia
Arriva appena un sospetto di salsedine, a Villa Margherita, dimora privata convertita in struttura ricettiva nei colli sopra Cesenatico, a Longiano. E il mare si intravvede in lontananza, oltre i sorrisi verdi dei pendii, fra cui si acquatta l’azzurro di una piscina in mezzo alle macchie odorose di ginestra. “Conoscevo questo posto da quando ho curato qualche catering per i proprietari, molti anni orsono, prima della ristrutturazione”, ricorda Faccani. “C’è questa pace, vedi fino a San Marino. Nessuno potrebbe immaginare che a pochi chilometri dal caos della Riviera ci sia un’oasi del genere”.
Le potenzialità sono ben diverse da quelle del locale di Viale Trento, dove pure nel 2008 lo chef aveva spostato la stella Michelin conquistata tre anni prima, per poi raddoppiare nel 2017. Qua ci sono camere ariose e luminose, il cui connubio con l’alta cucina e il paesaggio attira un pubblico internazionale. E Alberto Faccani è nato ragioniere, prima di convertirsi in chef autodidatta di successo.
“Perché i miei, che mandavano avanti un’azienda agricola e una fabbrica di tubi in plastica, volevano che prima di avvicinarmi a un lavoro manuale, acquisissi una cultura di base. Ma già da bambino, alla classica domanda su cosa volessi fare da grande, rispondevo senza indugi: il cuoco! Forse suggestionato dalle donne di casa. Poi ci sono stati lo stage alla Frasca, con il curriculum ancora bianco, e due anni all’Enoteca Pinchiorri, ai tempi della diarchia Italo Bassi-Riccardo Monco. Un’esperienza che mi ha strutturato, insegnandomi l’organizzazione del lavoro in una grande brigata.
Se quando ho aperto il Magnolia, il primo aprile 2003, eravamo in pochi, dopo vent’anni mi sento di applicare quegli insegnamenti e di aver ricreato ciò che mi era stato mostrato”. L’anno scorso, poi, è arrivata Veranda, ristorante di pesce tradizionale in centro a Cesenatico, che su ispirazione degli asadores baschi propone, fra le altre cose, pesci interi e scamponi alla griglia, tutti provenienti dal mercato ittico locale. Ma è la nuova location, a far brillare gli occhi dello chef.
La cucina del Magnolia
“A Cesenatico ero legato al mercato ittico, quindi facevo meno carne e mi sentivo un po’ limitato. Il piccione se volevo lo inserivo, ma un’animella o un taglio di maiale particolare sarebbero stati inimmaginabili. Qui mi trovo in mezzo alla campagna, ma vicino al mare. Avendo tutto a disposizione, posso coprire i 360 gradi. Ci sono gli artigiani del territorio, che qualche amico collega mi ha aiutato a scoprire: gli allevatori di piccione e di agnello, Zavoli per la mora romagnola, il mattatoio Talamello per le animelle e le ossa dei fondi. E si produce anche l’olio.
Il pesce lo faccio arrivare come sempre dal mercato ittico di Ancona, Cesenatico e Rimini, fino a Chioggia nella stagione delle moeche, attraverso un fornitore che compra su commessa, avvisato il giorno prima o durante la notte. Tutto di giornata. I vegetali sono del comprensorio di Cesena e facciamo pure un po’ di foraging, oltre a coltivare un piccolo orto per le erbe aromatiche”. Il risultato è un concentrato di territorio, che assume forme eleganti e fantasiose, talvolta ludiche su un fondo classico e generoso, di gusto pieno. “Quello che ho capito in tutti questi anni, è che non voglio scimmiottare le cucine degli altri; preferisco i sottoli ai fermentati, una moda che al pari di altre, non avrebbe senso in questo contesto e nelle nostre condizioni climatiche”.
I piatti
Succede in tre menu degustazione, venduti a prezzi straordinariamente amichevoli per un due stelle, forse grazie alla formazione da ragioniere: I 21 anni del Magnolia, percorso al buio composto di piatti storici talvolta rivisti, a 100 euro; Il Magnolia da 6 e 9 portate, con signature o ricette più attuali, a 140 e 165 euro. Li porgono in sala col sorriso la giovane direttrice Debora Fiumi e la sua brigata; mentre in cucina ad aiutare Faccani sono Alessandro e Danilo. Altra colonna è il sommelier Andrea Fiorini, che nella sua vita precedente era un topo da laboratorio, prestato in estate al Grand Hotel di Rimini.
Amministra una carta da 700 referenze, che affianca ai classici bottiglie di nicchia, la nouvelle vague romagnola e qualche naturale dalle aree più vocate, giocando con pairing spesso sorprendenti. Si inizia con un cocktail, perché a Faccani piace valorizzare le attitudini personali. “Ed è arrivato Mattia, rientrato un anno fa dall’Australia. Gli abbiamo dato carta bianca in materia di mixology e lui adesso va a raccogliere il sambuco e le erbe officinali, prepara le sue basi con i prodotti stagionali del territorio, come il prugnolo selvatico e il gelsomino, utilizzando volentieri le bottiglie di Baldo Baldinini”.
Arriva da Chioggia, all’apice della sua stagione, la capasanta scottata, immessa in un domino di associazioni primaverili con gli asparagi, quindi l’uovo ma di muggine (ovvero la bottarga), la mandorla ricostruita e in forma di bagna cauda del suo latte, emulsionato con pasta di aglio e olio in stile Alajmo, più una salsa verde di acciughe e scarti degli asparagi, le cui bucce forniscono il brodo per scottare le punte. Un piatto circolare nelle suggestioni e nello scarto zero, rifinito da micronasturzio e altre erbe del giardino, che celebra il momento.
È ormai un classico il calamaro alla carbonara e tartufo, che in terra di tagliatelle e tagliolini azzarda la pasta di un diverso cefalopode, più idoneo della seppia per dimensioni e testura; quale condimento l’uovo mancante, in forma di tuorlo sferificato per ridurre la taglia, pecorino, guanciale e tartufo nero di Norcia, per venire incontro ai terremotati del 2016.
Qui Fiorini sfodera un Madeira medium dry per l’effetto zabaione, che toglie il frescume, prolunga la dolcezza, si lega al formaggio e al tartufo grazie all’ossidazione, ma anche al mollusco per la sapidità marina.
Sono più recenti gli spaghetti alla chitarra con foglie di senape e scampi, in equilibrio fra dolcezza e tendenza amara. “Sulla strada per Longiano prolifera la senape selvatica, che raccogliamo la mattina. Le foglie più coriacee vengono sbollentate e ridotte in crema, più quelle tenere intere, gli scampi di Ancona, la verbena per la freschezza e una bisque delicata, ricavata dalle teste non tostate, ma fritte”.
Altro signature sono i tortelli di passatelli, o cappetelli, sorta di epitome della Romagna, che stringe nel cerchio di un piatto tre icone del territorio, per un tris sui generis: dentro il cappelletto c’è l’impasto dei passatelli alla noce moscata, cotto nel classico brodo, più glassa di pollo, scalogno marinato, salsa e foglie di stridoli per il rimando alle tagliatelle.
L’animella di cuore di razza romagnola viene cotta classicamente e servita con spugnole farcite di animella, aglio orsino dalla Valmarecchia, spuma di latte affumicato per la liaison con il vitello. “Perché io guardo ai grandi, come Enzo Ferrari, nel rispetto degli artigiani. Ricordo Marchesi, che se doveva cucinare il vitello, usava il burro”.
Chiude un dessert total red, monocromo composto di pralinato al lampone da macinatrice a pietra, gel di rabarbaro e lampone, spugna alla rapa rossa, finto lampone congelato di rabarbaro e lampone, sorbetto di rapa e lampone, cialda di lampone, lampone farcito di purea di rapa rossa e pepe di Timut, per ogni possibile incrocio fra acidità e terrosità, senza appigli visivi.
Contatti
Magnolia Ristorante
Via Pelliciano, 35, 47020 Longiano FC
Tel: +39 0547 81598