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Clare Smyth: "Se ricevo recensioni negative non dormo la notte"

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina Clare Smyth

Prima e unica tristellata del Regno Unito, Clare Smyth definisce le critiche il suo carburante. Mettendosi in discussione nel profondo, ha ideato la sua nuova cucina, che riscatta e celebra i giacimenti nazionali.

La notizia

Clare Smyth ha la fama di essere una dura: prima e unica tristellata del Regno Unito, è stata soprannominata la “Thatcher della cucina” per la sua determinazione d’acciaio. Se le fosse mancata, difficilmente sarebbe riuscita a farsi strada nella brigata del suo mentore, Gordon Ramsay, e poi a concepire la sua nuova cucina britannica, fondata sul prodotto locale, tanto inventiva quanto dettagliata, al tempo stesso tecnica e comfort. Solo per servire una torta di asparago modellata sul turione intero, ha commissionato a un argentiere appositi stampi, che le arriveranno fra un anno. “Si tratta di centrare l’espressione più pura del prodotto, di trarne il meglio che si può”, dice. “Penso che niente possa superare la natura”. Il suo signature, del resto, è un’umile patata nelle sue sembianze di banalissimo tubero.


Smyth, eletta cuoca migliore del mondo dai 50 Best nel 2018, è entrata alla corte di Ramsay appena ventiquattrenne, quasi vent’anni or sono, ma è tuttora in continuo contatto col suo maestro, che non lesina consigli e raccomandazioni. È stato proprio lui a paragonarla alla lady di ferro e di fatto la gestione della cucina, dove si affaccendano 22 cuochi, ha una disciplina militaresca fin nell’outfit: visi ben rasati, calze nere e scarpe appena lucidate. Anche se Smyth sostiene di preferire atmosfere più calme e rilassate rispetto a quelle del suo “boss”. È seguita un’altra esperienza decisiva, con Ducasse al Louis XV. Tanto che di fatto la matrice è francese (i testi sacri di Escoffier troneggiano in sala, vero feticcio dello chef), ma la sfida è quella di emanciparsi da una storica subalternità, riscattando l’identità e i sapori nazionali.


Perché cucinavo ricette francesi? Perché comprare piatti francesi? Perché acquistare qualcosa che non fa parte di ciò in cui mi identifico? Dovrei piuttosto guardarmi intorno? La Gran Bretagna produceva la migliore porcellana del mondo: era un pilastro della nostra economia. Ma oggi nel comparto la disoccupazione galoppa. Perché non manteniamo le professionalità e il lavoro nel paese? Si tratta di qualcosa in cui voglio investire. Potrei comprare piatti più belli in Francia? Sì, ma perché dovrei?”


Di fatto è stato Ducasse, sedendo per la prima volta alla sua tavola, a farle notare la mancanza di cucchiai per le salse, che ai tempi non poteva permettersi. Appunto di cui ha fatto tesoro. “Quando ricevo una critica negativa, non ci dormo sopra, mi ossessiono e a volte può volerci tutto un fine settimana per elaborare la cosa. Ma devo stare da sola, senza parlare con nessuno. Sarò lunatica, ma è il mio carburante per migliorare”.

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La prima dote di uno chef è per lei la gola. “Immagina di avere cucinato un arrosto. Potresti avere un’estremità più colorata dell’altra. È la reazione di Maillard. Che gusto ha quella parte? E l’altra? Allora prendi piccoli assaggi: è troppo amaro? Non lo è abbastanza? Devi essere curioso. Affondi il cucchiaio in tutti i fondi: è salato? Dove posso metterlo?”. Chissà cosa avrà provato, perdendo il gusto nel marzo 2020, quando il sintomo da covid non era stato ancora registrato.

Fonte: newstatesman.com

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