Nel bistrot Carlo e Camillo del torinese Hotel Sitea Davide Scabin porta avanti il suo studio delle matrici del gusto italiano. “Prima di conoscere le altre cucine, è necessario avere un pensiero italiano, lontano da una modernità gastronomica anonima, sempre più fintamente tradizionalizzata”.
Ritratti di Riccardo Pontiggia
Il locale
Davide Scabin è uno dei cuochi più geniali del mondo: forse l’unico italiano che abbia introdotto concetti radicalmente nuovi nella gastronomia internazionale, come il food design e l’ergonomia del gusto; ma le piste sono state innumerevoli, per esempio in termini di neurogastronomia ante litteram e di standardizzazione di processo.
La sua cucina, tuttavia, non è stata solo avanguardia: ad Almese serviva un coniglio arrosto da urlo, mentre dietro le quinte improvvisava il cyber eggs per Bob Noto e Giorgio Grigliatti. Poi ci sono stati Blupum a Ivrea, Mulino a Vino a Manhattan, Scabeat a Roma e QB a Porta Palazzo: tutti luoghi in cui ha reso un inchino sincero alla tradizione, piemontese o italiana, senza puntare a fare cassetto.
Oggi il doppelgänger retro opera al bistrot Carlo e Camillo dell’hotel Sitea, a pochi passi dal Carignano dove proseguono le sperimentazioni. È intitolato all’incrocio fra due strade, via Carlo Alberto e via Camillo Benso Conte di Cavour, ed è tutt’altro che un format minore: il grande chef tiene moltissimo al lavoro che vi sta portando avanti: l’inizio di una complessa opera di enucleazione delle “matrici del gusto italiano”.
La cucina
L’offerta infatti non è solo piemontese: in carta si possono trovare i piatti più vari, perfino le orecchiette con le cime di rapa e qualche divagazione brasiliana a firma del sous-chef Bobó de Camarâo, oltre a must imperdibili come il carpione piemontese, il carpaccio marinato di fassona con sublime giardiniera, la carne cruda con vitel tonné Vialardi style e l’insalata russa al salmone.
“Non c’è piatto che io abbia realizzato nei miei quarant’anni di attività, dove non si riconosca una matrice storicamente connessa alla mia educazione alimentare, piemontese e italiana, ricevuta dalla famiglia, dagli studi e poi dalla mia ricerca professionale. Negli ultimi quindici anni soprattutto ho cominciato a sentire l’urgenza di raccontare questi tratti fondanti per come sono, quasi a operare una sorta di catalogazione di gusti che stiamo rischiando di perdere e che invece sono il cuore del futuro e dell’evoluzione della nostra cucina”.
Il focus resta comunque in Piemonte, perché siamo a Torino e perché la regione è forse l’unica che vanti una triplice tradizione gastronomica, aristocratica, popolare e borghese, quest’ultima trasmessa dalla penna del Vialardi, inesauribile fonte di ispirazione insieme ad altri antichi ricettari. La materia non può che seguire: pasta Felicetti, carni Oberto, forno di Grano. In progress la carta dei vini, che il sommelier del Carignano Nicola Matinata sta rivedendo insieme a Scabin.
“Nutro il rispetto più profondo per la ‘tradizione’, che per me è la cosa più moderna che esista, in quanto non sta mai ferma. Oggi invece è perlopiù ridotta a qualcosa di immobile e di sacrale. Ma la tradizione è innovazione e contemporaneità: il binomio tradizione/innovazione non ha senso di esistere. Voglio lavorare sulle preparazioni che storicamente identificano la cucina italiana e delle quali stiamo perdendo i tratti essenziali, i codici identificativi. Matrici del gusto che intendo cogliere e fissare perché rimanga una traccia nel tempo, a tutti gli effetti identificative della cucina italiana. Dobbiamo tornare a essere consapevoli di chi siamo e non aver paura di dire al mondo che deve venire a mangiare in Italia.
Prima di conoscere le altre cucine, è necessario avere un pensiero italiano, lontano da una modernità gastronomica anonima, sempre più fintamente tradizionalizzata. Quando propongo l’insalata russa, i plin, le tagliatelle, la coda, lo faccio perché sto creando un catalogo, una sorta di archivio che fissa oggi, qui, alcuni gusti distintivi affinché fungano da parametro. Non necessariamente le ricette autentiche, ma quelle matrici che attraversano epoche e confini, un gusto connotativo, quel ‘cavallo di Troia’ senza il quale il piatto potrebbe essere eseguito da chiunque. È triste constatare che i primi produttori di cultura italian sounding siamo stati proprio noi italiani, quando abbiamo abdicato al gusto sostituendolo con l’idea di gusto. Già nel 2016 ammonivo che l’italian sounding avrebbe finito per insegnare a noi come cucinare per piacere al mondo”.
I piatti
I propositi sono importanti, ma l’atmosfera è festosa e conviviale, il pubblico gremito sui tavolini. Difficile resistere al Tour a Palazzo Madama, che riunisce i tre antipasti tipici della città (22 euro), per poi spaziare dagli agnolotti del plin con sugo d’arrosto, fonduta e salvia croccante (18 euro) ai tortellini emiliani in doppio ristretto di manzo e gallina (perché il brodo è il feticcio dello chef, 16 euro), fino alle squisite bombette con fave e cicoria, alla trippa con fagioli lombarda e alla superba lingua brasata al Nebbiolo con purè (rispettivamente 20, 18 e 22 euro).
Ma ci sono anche milanesi di fassona dai topping fantasia, focacce romane, insalatone e per dolce magari un bunet (8 euro). Tutto fatto il più possibile al momento.
Contatti
Bistrot Carlo e Camillo
Via Carlo Alberto 35- 10123 Torino, Italy
Tel. + 39 011 51 70 171