È un concept spiazzante, quello di Les Grand Buffets a Narbonne, dove i classici e le specialità regionali della cucina francese vengono serviti nella formula all you can eat al prezzo fisso di 52 euro e 90 centesimi. Per Michel Guérard, “il più grande teatro culinario del mondo”, con la lista d’attesa record nel paese.
Foto tratte dal sito web de Les Grands Buffets
La notizia
Siamo abituati a pensare all’all you can eat come una formula squalificata, confinata a pseudoasiatici da battaglia. Al buffet come un polveroso retaggio del passato, sopravvissuto nelle colazioni d’hotel (mentre è la reincarnazione contemporanea del seicentesco servizio alla francese). Scopriamo l’eccezione a Les Grands Buffets, recentemente descritto dal New Yorker in un articolo dedicato: un luogo magico dove l’abbondanza è la regola, dalla torre di astici a 7 piani alla fontana di cioccolato. Michel Guérard lo ha definito non senza ragioni “il più grande teatro culinario del mondo”.
Qui a Narbonne, paesino del sud della Francia, ci vogliono mesi per prenotare un tavolo, ben più ambito che al Mirazur (sul sito leggiamo: “Ci sono pervenute 2,3 milioni di prenotazioni nell’ultimo anno”), ed è perfino d’obbligo rispettare un dress code. A disposizione degli ospiti ci sono solo tipicità transalpine, che si tratti di grandi classici, come la lepre à la royale, l’anatra alla pressa e la pesca Melba, o di ricette borghesi, come il boeuf bourguignonne e la blanquette di vitello, fino a piatti più rustici, ma altrettanto identitari, quali lumache, rane, quenelle di luccio o pissaladière.
Ci sono 9 tipi di foie gras, 5 pâté en croûte, incluso il raro oreiller de la Belle Aurore, 110 tipi di formaggio, offerta record nella ristorazione mondiale, caviale e trippa a volontà, ma secondo protocolli di igiene rigorosi e senza sprechi. Perché le grammature sono esatte e già si sa ciò che andrà via con ragionevole certezza. Lo scarso resto sarà destinato ai dipendenti, che partecipano dei profitti del locale.
L’anno scorso ne hanno approfittato 380mila persone, che hanno sborsato ciascuna 52 euro e 90 centesimi. Bevande escluse, ovviamente, ma i ricarichi sono modesti: per una bottiglia di Champagne capita di spendere 25 euro. Cosicché il fatturato ha toccato la cifra record di 24 milioni di euro. Miracoli dell’economia di scala, che consente di contenere al massimo i prezzi, servendo le stesse cose praticamente ogni giorno a un numero predefinito di clienti. La generosità è la prassi, anche in caso di avanzi da portare a casa. L’unica regola è servirsi un piatto alla volta in determinate postazioni.
Le sale sono 4, sontuosamente arredate e disseminate di tavoli apparecchiati con sfarzo. Perché il nemico numero 1 del patron Louis Privat è la globalizzazione, che fa mangiare ovunque le stesse cose, dissolvendo identità. Per lui questo è il “Louvre della cucina”, più che un’azienda, una missione culturale. Si tratta di trasmettere alle nuove generazioni, traviate dal melting pot e dalla bistronomia, i fondamenti del pasto gastronomico francese.
“La nostra battaglia principale è fare in modo che i piatti non siano corrotti, anche se le ricette non sono registrate”. Altrettanto note le sue perplessità riguardo i voli pindarici d’alta cucina: "Perché mettere una tarte Tatin in un bicchiere da shot?", è la frase che riporta il New Yorker per spiegarne la contrarietà rispetto a certe elaborazioni creative.
Dal 1989, via via che il concetto si precisava, il successo è stato tale, che non sono mancate le proposte di replicarlo, prontamente rifiutate. Ma qualche tentativo di emulazione è spuntato perfino a Parigi, vedi Boulom di Julien Duboué, chef dal pedigree prestigioso, che nel suo locale fa pagare come extra solo gli avanzi nel piatto.