Una cucina sorprendentemente personale, che riesce a mantenere una profonda eleganza e, allo stesso tempo, risulta decisamente focalizzata sull’intensità dei sapori: al Gio’s Giuseppe Ricci dà sostanza all’alta gastronomia d’hotel.
L'hotel
Uno degli aspetti più romantici, se si pensa a The St Regis Venice, è il suo essere defilato, nascosto in un angolo quieto, vicinissimo ai luoghi nevralgici di Venezia che si trovano solo a pochi passi di distanza e allo stesso tempo in un beato isolamento. In sintesi, un vero emblema di esclusività. L’ingresso quasi non si nota, è sobrio, in delicato contrasto con il lusso comunque mai ostentato dei magnifici interni che si spalancano allo sguardo una volta entrati.
Terzo hotel di questo marchio della Marriott in Italia dopo Firenze e Roma, è frutto di un paziente e prezioso restauro di quello che fu lo storico Grand Hotel Britannia, la cui prima apertura risale al 1895, anno dell’inaugurazione della Biennale; nota da rilevare, il primo hotel a Venezia ad aver messo a disposizione di tutti gli ospiti l’energia elettrica. Tra i tanti celebri personaggi del passato che qui hanno soggiornato vale la pena ricordare Claude Monet, grande pittore impressionista passato di qua nell’autunno del 1908.
Nel libro “Monet a Venezia” di Philippe Piguet si legge un appunto della moglie Alice, la quale nelle lettere alla figlia scrive: “Le viste dalla nostra camera d'albergo sono le più magnifiche di tutta Venezia e per Monet è tutto ciò che conta!”. Ecco quindi che gli sono state dedicate le Monet Suite, rese ancor più preziose da una serie di splendidi dipinti contemporanei di Olivier Masmonteil in cui celebra la maestria del maestro impressionista francese nel catturare la luce unica di Venezia.
Più di recente l’albergo ha portato anche il nome di Hotel Europa & Regina. Terminati i lavori, nell’ottobre del 2019, l’importante ristrutturazione, con il design curato dallo studio di interior design Sagrada di Londra, ha lasciato spazio a 130 camere e 39 suite distribuite sui cinque palazzi (il più antico, palazzo Badoer Tiepolo, è del XVII secolo) di cui si compone la struttura, molte delle quali affacciate sul Canal Grande con vista su Punta della Dogana e sulla basilica di Santa Maria della Salute. Le aree comuni rappresentano un omaggio a Carlo Scarpa, tra i più grandi artisti ed architetti veneziani; del resto, Venezia e il suo stile veneziano ricorrono ovunque, dai tessuti, alle creazioni artigianali, ai pavimenti in marmo.
Numerose sono le collezioni e opere d’arte da cui gli ospiti sono circondati, tra queste le diverse mostre di artisti contemporanei curate da Gisela Winkelhofer, fondatrice e proprietaria di Edition artCo. Si fa notare per la sua maestosa presenza il "White Chandelier" di Ai Weiwei nel Grand Salone, realizzato a mano e frutto di una collaborazione con i maestri artigiani dello Studio Berengo di Murano: formidabile il modo in cui unisce arte contemporanea e tecniche storiche di soffiatura del vetro, composto com’è da una sfera di luce avvolta da grandi tralci di vetro che si attorcigliano in ampi archi.
Va da sé che un luogo di così grande fascino non può che avere un’offerta di bar e ristorazione all’altezza, curata da Facundo Gallegos, Director of Bars & Restaurant. È quindi assolutamente consigliata una sosta all’Arts Bar per un drink da scegliere tra grandi classici e novità, ancor meglio magari se sorseggiati nell’elegante giardino con una vista senza pari sul Canal Grande.
Il ristorante Gio's
Per nulla scontata invece la presenza di un ristorante, il Gio’s, dove ci si sposta ben oltre la classica cucina internazionale, molto ben fatta ma senza una particolare anima. È in particolare a cena che questo angolo elegante si trasforma in grande luogo di accoglienza gastronomica. Merito di un team che vede a capo delle cucine l’executive chef Giuseppe Ricci, con il quale lavorano a stretto contatto Sirio Mignucci, executive sous chef e l’head chef Iulian Colesnic.
Il percorso di Ricci, classe 1985, è piuttosto articolato, ma il suo amore per l’alta cucina, da come ce l’ha raccontato, non è stato esattamente a prima vista: “Vengo da Vieste, e lì lo sbocco principale è nel turismo, quindi ho fatto l’alberghiero anche un po’ per necessità, perché confesso che da ragazzino non avevo voglia di fare quasi nulla. Così i miei mi hanno detto ‘vai e impara un mestiere’. Dopo il primo anno ho iniziato subito a fare le stagioni come apprendista e mi è piaciuto, anche perché lo chef che ho incontrato in questo albergo, l’unico cinque stelle della zona, era super-appassionato e ha fatto appassionare anche me. A quel punto, sorprendendo tutti a partire da me stesso e dai miei genitori, ho iniziato a interessarmi seriamente alla cucina.”
Da lì viene selezionato insieme ad altri tre ragazzi per un’esperienza all’estero e si ritrova a Londra: “Facevamo 120 coperti ma in un modo completamente diverso da come l’avevo visto fino ad allora, trentadue cuochi con una divisione in partite in modalità francese. Sono rimasto colpito e me ne sono innamorato, non era scritto solo sui libri, un sogno”. Rimane al Galvin tre anni e mezzo, accanto a un sous chef che aveva lavorato con Gualtiero Marchesi, Alain Ducasse e Robuchon, dal quale apprende molto sui prodotti. Tramite lui va al Dorchester da secondo chef e lì, dove sarebbe rimasto altri quattro anni, si comincia a capire quella che sarebbe stata la direzione della sua cucina: “I piatti erano esteticamente bellissimi, ma il gusto non si allineava alla mia aspettativa, eppure le tecniche c’erano, così come i prodotti, di qualità incredibile. Ci avrei messo meno bellezza ma più sostanza.”
Giunto alla fine dell’esperienza rifiuta una proposta a Le Louis XV per rientrare in Italia: “Volevo tornare a cucinare a modo mio”. Va dai Santini al Pescatore, ma anche qui le sue aspettative si arenano su una cucina di materie prime eccellenti ma anche di piatti troppo ‘istituzionali’ per i suoi gusti. Una breve esperienza all’Acanto a Milano ed è la volta di Venezia, al Bauer, con Giovanni Ciresa: “Una delle persone che mi ha lasciato di più, forte e con una squadra solida.” Lì gli arriva la proposta del Danieli, dove rimane quattro anni prima di stabilirsi al St Regis. La sua è una cucina sorprendentemente personale, riesce a mantenere una profonda eleganza e allo stesso tempo è decisamente focalizzata sull’intensità dei sapori.
Merito anche di una grande caparbietà che lo vede molto attivo sul fronte di una selezione dei fornitori senza compromessi: “Venezia e i suoi dintorni sono ricchissimi di prodotti, ti devi sbattere tantissimo per reperire quelli giusti ma in questo modo riesci a trasmettere agli ospiti il gusto. Non si può pensare di mangiare le stesse cose che mangi altrove, perché le persone si aspettano qualcosa che si trova solo qui, oltre naturalmente ai classici piatti italiani. E poi la mia idea è di attirare, insieme ai turisti, i clienti locali, perché se capiscono che la sostanza c’è tornano, oltre a vedere un ristorante in albergo sotto una luce differente.” Giuseppe Ricci è anche convinto della necessità di avere una cucina perfettamente organizzata e in grado di far uscire piatti adeguati a prescindere dal contesto: “Non si deve percepire una differenza, ad esempio mangiando al bar a un livello inferiore rispetto al ristorante. E così dev’essere anche per il room service.”
I piatti
Affidandosi al talento di Miriam Jessica Quartesan, wine manager in grado di abbinare con intelligenza calici da una carta dei vini molto ben strutturata, si inizia un percorso qualitativamente significativo, a partire da un crudo di branzino al carpione con ‘cuscinetto’ croccante all'aceto. Dal pesce si capisce subito quanta sia l’attenzione prestata all’ingrediente, che arriva da un pescatore corteggiato a lungo: una texture incredibile, la temperatura di servizio perfetta, le giuste acidità e quello che si trasforma da un piatto solo in apparenza banale in una portata di estrema finezza.
Notevoli i bottoni di pasta ‘povera’ ripieni di baccalà alla vicentina, serviti con calamari spillo e levistico: armonie gustative perfette per bocconi di incisiva, elegante potenza. Molto buona e cotta alla perfezione anche la piovra allo yakitori con pomodori, capperi e crumble di olive taggiasche.
La terrina di faraona padovana con castraure fritte è un piccolo capolavoro in cui la carne del volatile ha consistenza morbida e gusto intenso.
Molto bravo il pastry chef Leonardo Caliari che ci fa concludere con due dolci tecnicamente perfetti e altrettanto buoni: brioche al gin, spuma all'acqua tonica, sorbetto al bergamotto ed elicriso, una rappresentazione del gin tonic in chiave dolce. Eccellente anche la ‘trilogia’ di cioccolati con granola di pinoli e sorbetto al pompelmo, a chiudere rinfrescante. Una nuova, bellissima, tappa veneziana.
Contatti
The St Regist Venice- Gio's
P.za San Marco, 2159, 30124 Venezia VE
Tel: +39 041-2400001