La nuova dimensione dello chef Jamie Draper, che finalmente ha dato una svolta alla sua carriera con Melody. Cambiando anche modo di cucinare.
Foto di copertina: Jonathan Wong
L'opinione
L’oasi di pace di Jamie Draper si trova al 100 di Third Street a Sai Ying Pun, sull’isola di Hong Kong. Dopo un inizio carriera trascorso nella frenesia delle cucine londinesi (più o meno raffinate), Draper da Melody, il ristorante dove oggi è Executive chef, ha finalmente, trovato la sua dimensione. Per Jamie la necessità di vivere in un ambiente più rilassato, dove lavorare ed esprimere al meglio il suo talento, è emersa fin dalle prime esperienze, ma per riuscirci è dovuto passare diverso tempo.
“Ho frequentato un anno alla Leiths School of Food and Wine. Avevo 19 anni e non volevo fare un corso triennale. Volevo solo entrare nel mondo reale della cucina. Per un periodo, poi, ho lavorato in una moderna cucina europea realizzando piatti ricercati. Ognuno era responsabile di almeno sei portate e preparavamo 300-400 piatti a sera. È stato molto intenso quel periodo”, racconta al South China Morning Post. Durante quell’esperienza Draper si è confrontato per la prima volta con il noto “atteggiamento violento e competitivo delle cucine londinesi”. Così è stato anche quando ha lavorato al fianco di Albert e Michel Roux Jnr al Roux at the Landau del The Langham Hotel London: “Lì ho imparato a realizzare tutte le incredibili salse francesi della vecchia scuola, ma anche quella è stata una cucina davvero intensa”, prosegue.
Tutte esperienze che lo hanno forgiato e gli hanno insegnato come muoversi nella ristorazione, ma che, ad un certo punto, per il giovane Draper erano diventate “troppo”, tanto da decidere di cambiare rotta. Inizia, quindi, a lavorare in un gastropub nel sud di Londra dove incontra Wayne Parfitt del gruppo Castelo Concepts che gli propone un lavoro da Mr. Wolf ad Hong Kong. Quell’incontro per Draper è stato il primo passo verso la serenità. "Non ero mai stato a Hong Kong, ma dovevo uscire da quello stile di lavoro davvero aggressivo tipico di Londra. Ero esaurito. Quando sono arrivato a Hong Kong, ho percepito subito un atteggiamento molto diverso nei confronti dell’ospitalità. Gli amici che ho adesso nel settore sono davvero molto intimi. Tutti si rispettano e si sostengono a vicenda, non come a Londra. C'è molta più vita sociale qui. Essere ad Hong Kong mi ha cambiato la vita. Per il meglio”. Nel 2019, però, Parfitt muore e Chai e Tom Hall, partner del gruppo, decidono di cambiare l’immagine del locale che da informale diventa più raffinato. Qualche tempo dopo, però, ecco l’incontro che l’ha portato ad essere dove si trova oggi. Da Melody lo chef propone una cucina sempre ricercata, ma attraverso piatti più semplici e confortevoli, realizzati in un ambiente che ama definire “più zen”.
“Mi sono imbattuto in Adam Simmons, che con Ravi Beryar gestisce diversi locali, un mercoledì sera a Happy Valley; gli ho semplicemente chiesto cosa stesse facendo e lui mi ha parlato di Melody. Le mie orecchie si sono drizzate. Sembrava interessante, quindi il giorno dopo sono venuto a vederlo e ho pensato: "OK". Non avevo intenzione di lasciare il Mr. Wolf, ma ci sono decisioni a cui non pensi troppo, come è stato quando mi sono trasferito qui a Hong Kong”. Melody è un ristorante concepito come una casa, composto da ben cinque stanze (cucina, sala da pranzo, sala musica, lounge e giardino) dove si incontrano cibo, bevande e musica. Draper confida come da Melody, dove vige il motto “Hospitality for Soul”, abbia voluto adottare l’approccio “less is more” e di come siano di ispirazione i suoi colleghi cinesi.
"Adoro guardarli tirare fuori tutte quelle magiche bottiglie di salse e in cinque minuti realizzare piatti incredibili mentre io vengo dalla scuola francese, dove ci vogliono circa tre giorni per creare delle salse. Osservandoli ho capito che non si deve necessariamente lavorare in quel modo. Si può lavorare in modo più intelligente, più semplice e per preparare comunque cibi deliziosi. Essere a Hong Kong mi ha fatto comprendere che stiamo solo cucinando cibo, non salvando vite umane. Non è necessario che la carota si trovi esattamente in un determinato posto. Quando ho iniziato a lavorare qui non mi ero ancora staccato da quell’orribile aggressività londinese che negli anni mi aveva davvero ferito ora, invece, non mi appartiene più. Sono molto più tranquillo. Sto semplicemente cucinando cibo, cercando di costruire ricordi e di far divertire le persone.”