Dove mangiare in Italia Ristoranti di tendenza

Grow: i fratelli- prodigio che elevano la selvaggina nella “Lombardia contadina”

di:
Martino Lapini
|
copertina grow

Il menu di Grow trasmette un messaggio potente e quantomai attuale: la natura non è un fornitore. Due fratelli brianzoli, un fine dining nella “campagna selvaggia” e la rara capacità di ribaltare gli schemi con cognizione di causa.

Foto di Lido Vannucchi


La storia

Forse per la prima volta il teschio di un daino appeso alla parete non è un trofeo. Non è la vanagloria dello schema predatore-preda, non è il potere messo al muro come a dire vedi-cosa-sono-in-grado-di-fare, non è nemmeno il passatempo che diventa gossip, aria, vanto. Non è la mimetica in cui nascondersi. Forse per la prima volta è un segno di rispetto, è il simbolo di una scelta radicale, la testimonianza che l’etica verso la natura e il pianeta deve tornare a quel passato dove niente ti era dovuto, nemmeno la bellezza o la violenza della natura.

matteo e riccardo vergine 1
 

Matteo e Riccardo Vergine sono i proprietari di Grow. Due fratelli brianzoli atipici che in quel di Albiate conducono uno dei locali più estremi d’Italia. Atipici perché totalmente fuori dagli stereotipi del brianzolo. Fino a Carate c’è la Brianza antropizzata, poi si torna 50 anni indietro. Ci sono boschi e campagne. Albiate è proprio all’inizio di questa faccia selvatica della Brianza, di cui si conosce purtroppo solo quella dei mobilifici e degli imprenditori self-made con il porschettino. La Brianza diversa e selvatica è quella di Matteo e Riccardo.

matteo e riccardo vergine 2
 

“Il nostro obiettivo è mostrare che non c’è solo Milano. Che in Brianza c’è una preziosa parte di Lombardia verdeggiante e contadina. Vogliamo provare a far tornare i nostri clienti a un mondo primordiale, quasi privo del grande sviluppo a cui ci siamo abituati. Oggi vogliamo tutto subito. Non ci soffermiamo a pensare se costa troppo o troppo poco, se stiamo forzando la natura, cosa c’è dietro. Lo vogliamo il prima possibile. Questo, secondo noi, è sia contro la natura dell’uomo che contro la natura stessa. Ti porta a non apprezzare le cose che fai, tutto diventa un passaggio e quindi superfluo”.

grow restaurant 2
 

Da Grow non entrano gli animali di allevamento, no manzo, no vitello, no maiale, no pollame. Solo carne cacciata e selvatica. Solo gli animali interi che riescono a passare dalla porta. Lo stesso vale per il pesce. No pesce di mare ma solo pesce pescato da un'unica persona nei fiumi e nei laghi di Lombardia. Per le verdure la produzione è propria con un orto a Briosco e un altro curato dai ragazzi dell’In-Presa di Carate, scuola di formazione che anche lo chef Matteo Vergine ha frequentato. La selvaggina e la carne di grandi ungulati per Riccardo e Matteo erano una passione. Poi sono diventati l’unica scelta possibile.

Matteo e Riccardo Vergine2
 

Quando abbiamo pensato di aprire il nostro ristorante, giravamo per gli allevamenti, ma ci mancava sempre qualcosa. Non siamo cacciatori, ci piace accompagnare le battute di caccia. Quando provi quelle carni capisci che c’è un abisso anche con il miglior allevamento d’Italia. Prendi anche una beccaccia o un’azavola di allevamento, le loro carni tirano verso il dolce, non sono così selvatiche e intense. Perché nell’allevamento non ci sono i vermi. Anche a casa e con la nostra famiglia facciamo così, solo selvaggina. Prendiamo l’animale intero, lo lavoriamo tutto e ce lo dividiamo. Un po’ come si faceva una volta. E la carne non è divisiva come si pensa, adatta solo a certi palati, è delicata. Le regole di oggi sulla caccia hanno migliorato tutto il processo di fruizione e conservazione della preda, un tempo i cacciatori non dovevano avere tutte le attenzioni che ci sono oggi, perché non c’erano regole precise. Purtroppo i cacciatori comunicano solo l’uccisione animale, solo il trofeo, non spiegano che magari è un anno che ci stanno dietro, che ci sono delle regole, che ci sono tante persone dietro all’abbattimento e ai controlli”.

riccardo vergine
 

Sicuramente lo fanno Matteo e Riccardo, con la loro scelta così radicale. Da cui deriva il problema di garantire quella carne tutto l’anno. Star dietro al calendario venatorio sarebbe impossibile, soprattutto nel caso degli ungulati. Per questo dopo un inizio di attività in cui trattavano solo selvaggina volatile, i due fratelli Vergine hanno scelto l’azienda agricola faunistica Sant’Uberto, che ha impostato la tracciabilità dei grossi ungulati e quindi una filiera diretta e controllata con i cacciatori. A livello legislativo sono stati i primi a regolamentare il ritiro, la certificazione e la vendita dei grossi ungulati per chiunque.

matteo e riccardo vergine 3
 

Negli ultimi anni la selvaggina è aumentata parecchio nei boschi di Lombardia, complice il lockdown. L’assenza del lupo - il grande regolatore -, tornato nei nostri boschi solo da un paio d’anni, e la mancanza di una nuova leva venatoria, ha condotto l’Unione Europea a permettere a determinate Case di Caccia di convertirsi anche in centri di lavorazione e vendita della carni. Matteo e Riccardo collaborano e si riforniscono da quella delle Prealpi Comasche, che possiede anche un laboratorio. Il capitolo caccia è qualcosa di cui non possiamo riportare tutto. Quello che abbiamo imparato di interessante è questo: il cacciatore esce per una battuta di caccia e abbatte un capo. Entro due ore deve presentarlo alla Casa di Caccia. Un veterinario visita l’animale abbattuto e certifica che non ci siano malattie o problematiche riguardo al suo consumo. Il veterinario conserva una parte delle interiora per eseguire analisi più approfondite.

grow salami di selvaggina
 

Se la Casa di Caccia è anche un centro lavorazioni carni - così come la Sant’Uberto -  l’animale subisce controlli più approfonditi, va spellato in poco tempo e conservato in apposite celle frigorifere. Il progetto di Grow era nato perché ci fossero tre persone in cucina e due in sala. Tuttavia Grow, come tanti altri, è nato sotto il segno del Covid. Che invece di crescere non sia regredito, se non addirittura mai nato, è merito della caparbietà e della forza tranquilla di Matteo e Riccardo. Oltre che del pane.

grow pane e salame
 

Il progetto iniziale era di 28 coperti. Una settimana prima del covid ci consegnano il locale finito. Abbiamo bloccato subito tutti i contratti. Asporto impensabile e i primi due mesi fermi. Nel 2020 abbiamo lavorato tre mesi, con un quindicina di coperti, perché era un must farlo. Con il secondo lockdown è arrivata la vera mazzata psicologica. Ci siamo guardati di nuovo in faccia e poi abbiamo pensato che ad Albiate non c’era la panetteria e anche che nessuno dei paesi intorno usava il lievito madre. La risposta è stata pazzesca, per un anno abbiamo avuto la fila fuori. Il pane lo facevamo di notte. Due tipi, più focaccia e pizza in teglia, arancini e panzerotti”.

matteo e riccardo vergine 1 2024 01 11 01 31 30
 

Oltre a salvare il progetto, il pane è stato il miglior volantino pubblicitario possibile. Mentre la gente acquistava i lievitati, Matteo e Riccardo raccontavano del Grow che sarebbe venuto e molto sono tornati per provare cucina e servizio. Il pane continuano a farlo per il ristorante e anche per la clientela esterna al sabato mattina. Il 2022 è stato l’anno di rodaggio, il 2023 quello della conferma che il progetto regge, per ora solo con i due fratelli e con 8 coperti in sala. Potremmo dire che è lo scenario più sostenibile. Solo due dipendenti, solo due stipendi e due fogli di contributi. Eppure il confronto è quello che anche Matteo e Riccardo continuamente cercano. Matteo non riesce mai a uscire in sala. Riccardo segue il fratello in cucina in tutte le preparazioni. Di contro Matteo accompagna Riccardo in tutte le incursioni da produttori vinicoli. Il bisogno è stato quello di instaurare un canale di dialogo con altri giovani come loro. Come con i ragazzi di Trattoria Contemporanea di Lomazzo e con Davide Caranchini di Materia.

matteo e riccardo vergine zucca
 

La cucina 

Ad Albiate in un’unica via ci sono sette trattorie. Tutte propongono quello che il brianzolo abitudinario pretende: ossobuco, cassoela, bolliti, risotti e qualche preparazione che prevede anche piatti di selvaggina come la lepre in salmì. Aprire una trattoria di paese non è mai stato nelle corde dei Vergini, a maggior ragione per via del contesto appena descritto. Nelle loro corde c’è sempre stato un progetto di alta cucina che non prevedesse la ricerca della qualità e della tecnica a prescindere dagli scarti prodotti e dalla metodologia di allevamento o reperibilità. Secondo Matteo e Riccardo, l’alta ristorazione oggi non può che essere etica.

grow restaurant orto
 

Devi pensare a cucinare. Contemporaneamente devi avere coscienza del passato e del futuro di quello che cucini. Provenienza e conseguenze. Definiscono la loro cucina, trapper, come quella dei nomadi americani che si spostavano da nord a sud cuocendo su braci e sottoterra. Hanno tolto il gas, solo fonti di energia rinnovabile. Si sono costruiti uno yakitori. L’induzione la usano per i fondi e le cotture lunghe. Sulle salse sono tornati a come si facevano prima della nouvelle cuisine. Non alcune ore, ma alcuni giorni.

DSCF6101
 

“Noi non inventiamo nulla di nuovo. Cerchiamo di prendere ciò che si faceva una volta con un occhio contemporaneo e con tecniche attualizzate. Ai tempi l’animale veniva usato tutto, si facevamo i salumi, per certi tagli si applicavano le lunghe cotture, per altri le conserve. C’erano metodi di conservazione non totalmente safe, eppure il principio era giustissimo. Le conserve della carne sotto c’era d’api si facevano ai tempi e si fanno ancora oggi. Prima non c’era il frigo e le tenevi sotto terra. Sembrano nuove perché c’è il desiderio di riscoprire il gusto autentico delle materie prime. Da decenni siamo abituati a gusti senza spigoli, senza anima, senza differenze”.

DSCF0747
 

I piatti

Anguilla e anatra e Come una fagianella alla milanese sono due piatti che riprendono ricette lombarde della domenica e della famiglia. Rivisitati da quel nipote che non voleva recitare la poesia davanti a tutti e che poi ha reso quei piatti una nuova lirica. La prima fa rivivere l’anguilla in umido servita con cipolle e salsa verde. Nella proposta di Matteo, l’anguilla è trattata con la tecnica ikejime e poi cotta a campana sulla brace. Mentre cuoce viene laccata con il fondo dell’anatra. La pelle diventa involucro croccante, il primo strato di carne quello per il morso, il resto, beh, il resto è succosità ed elegante grassezza, sferzata da una brezza acida e dall’intensità rancida della brace che genera una sorprendente compulsività dell’atto del mangiare.

matteo e riccardo vergine anguilla e anatra
 

Il secondo piatto è forse quello meno estremo di tutto il percorso. La fagianella è sostituita dal colombaccio selvatico che viene disossato intero e poi rintuzzato con la farcia di una volta: mascarpone, funghi, tartufo e spezie. Dopo la cottura alla brace, breve, il colombaccio con la sua farcia è servito con tartufo nero e olio all’alloro. Bocconi intensi ed ematici, il ripieno facilita il lavoro dei denti a cui non sembra vero di contribuire. Meno estremo, ma non per questo meno boschivo, balsamico, di terra e di fronde.

matteo e riccardo vergine come una fagianella
 

Sono piatti per palati non plafonati, quelli a cui ci siamo ridotti per via di quel tutto e subito che ci ha reso esseri per cui un “no” è inammissibile, un “non si può” quasi un insulto. Il diritto al gusto ci ha condotto quasi alla sua cancellazione, e a crescere con poco rispetto per la natura, gli artigiani e gli agricoltori. Matteo dice non aver avuto un maestro in particolare ma di aver rubato un po’ da tutti quelli con cui ha avuto a che fare fisicamente che da quelli intercettati solo sui libri. Per lo frollature Edoardo Tilli, anche se da lui ci è stato solo una settimana, sulla carne in generale Sergio Motta, conosciuto grazie a un professore di In-presa che gli ha fatto incontrare professionisti oltre e prima della materia cucinata. Assi della preparazione, delle materie prime e del business della ristorazione. Il back-stage insomma.

matteo e riccardo vergine amuse bouche
 

Il primo studio sulle frollature è stato un flop perché abbiamo applicato studi fatti da altri sul manzo. Tanto la carne è carne pensavamo e invece no. Il manzo ha la parte grassa che gli permette di durare a certe umidità e temperature, la selvaggina non ha quel grasso e la sua stagionatura è molto più simile a quella che si fa per i salumi. Un altro problema è la differenza tra i capi. In allevamento compri oggi un manzo uguale a quello di  3 mesi fa e puoi applicare gli stessi criteri. In natura non è così, la natura non è un fornitore. L’animale è fibroso o meno, ha più meno o meno grasso? Inoltre, negli animali selvatici tra maschio e femmina cambia tantissimo. Il maschio in amore a livello di sapore per me è il più interessante, perché ha tutta la parte ormonale che sfaccetta molto di più la bocca. Le femmine sono più tenere e delicate. Il pubblico apprezza di più la femmina, perché il maschio risulta molto più intenso”. Carni del Bosco è un piatto in cui daino e funghi sono i portavoce di un’esistenza ancestrale.

matteo e riccardo vergine carni del bosco
 

Una tagliata di daino cosa sarà mai? Un transponder ematico per un bosco umido, in cui i passi affondano. Carne delicata, eppure con la personalità che forse associamo solo al fegato, ma per cui ci ricordiamo che siamo fatti per masticare e non per ruminare. I funghi e le spore hanno un tasso di tostatura che richiama le arachidi tostate e la loro grassezza oleosa, qui più fresca e meno “divanata”. Il fondo di daino ti mette di fronte a un crepaccio e ti fa saltare. Gnocco stracchino daino e abete è un piatto in cui la patata esprime talenti nascosti, che potrebbero incutere timore, soprattutto se uniti allo stracchino all’antica di Marco Previtali in cui la dolcezza non è instillata dal laboratorio e quindi non può prevalere rispetto all’acidità animale. Lo gnocco è cotto alla brace, non aspettatevi che ceda sotto i denti, che si spappoli. Va masticato. Viene servito con caramello di daino - che è come strizzarlo il daino - e la sua bottarga, ricavata dalle bresaole più rinsecchite e quindi grattuggiabili. Chiusura con olio al pino e resina di abete, il momento di freschezza balsamica, quasi medicinale.

matteo e riccardo vergine Gnocco stracchino daino e abete
 

Cioccolato e Betulla è il colpo di coda dell’ungulato. La dolcezza è diluita nella panna cotta da latte dell’Azienda Salvaderi, nella resina e linfa di betulla e dal fondo di capriolo ricavato da ossa particorlarmente frollate, che richiama note di cioccolato mixate a tostatura e tabacco. Menzione speciale anche per il panettone che i fratelli Vergine hanno imparato a fare da Ian Spampatti, giovane fenomeno della lievitazione di Castione della Presolana. Montanaro con elevato spirito d’accoglienza, ha accolto Riccardo e Matteo nel suo laboratorio come mano d’opera, svelando la sua interpretazione del lievitato natalizio. Lo fanno con burro chiarificato e burro di cacao, per creare un’alveolatura più diradata e un morso più croccante. Il panettone è più tosto senza essere asciutto. Proprio niente male.

matteo e riccardo vergine cioccolato e betulla
 
grow panettone
 

Sul vino, la scelta di chiudersi totalmente alla Lombardia sarebbe stata davvero sfidante. Si rimane in Italia però, con una selezione di sole cantine con approccio naturale. Unica concessione, una carta separata di Champagne di piccoli artigiani selezionati. Vino della serata L’Angelo Rosso, nebbiolo valtellinese di Stefano Beltrama, un falegname che si è messo a fare vino con vigne centenarie prefillossera. Abbiamo bevuto la splendida 2018, tesa, erbacea e selvatica, ideale per legare con le carni cucinate da Matteo. Non sappiamo se i fratelli di Grow rimarranno solo in due anche nel 2024. Pazzi come sono potrebbero anche scegliere di non aggiungere nessuno. Valgono per quattro? Per quello che combinano anche per otto. Torneremo a trovarli per una delle loro serate speciali, in cui a pochi prenotati, spiegano un animale a tutto tondo, come fosse una monografia. Pensatela come una verticale, di cervo però.

Matteo e Riccardo Vergine
 

Contatti

Grow restaurant

via San Valerio 4, Albiate, 20847, Italia

Tel: +39 0362 136 0111

Sito web

Ultime notizie

mostra tutto

Rispettiamo la tua Privacy.
Utilizziamo cookie per assicurarti un’esperienza accurata ed in linea con le tue preferenze.
Con il tuo consenso, utilizziamo cookie tecnici e di terze parti che ci permettono di poter elaborare alcuni dati, come quali pagine vengono visitate sul nostro sito.
Per scoprire in modo approfondito come utilizziamo questi dati, leggi l’informativa completa.
Cliccando sul pulsante ‘Accetta’ acconsenti all’utilizzo dei cookie, oppure configura le diverse tipologie.

Configura cookies Rifiuta
Accetta