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Jason Atherton: “L’alta cucina insostenibile? Sciocchezze, c’è sempre chi ama il lusso”

di:
Alessandra Meldolesi
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Nei nostri tempi dilaniati da continue emergenze, se lo sono chiesto in molti: c’è ancora spazio per la ristorazione high end? Nonostante le chiusure celebri rimbalzate dai tabloid, pare proprio di sì.

L'opinione

Nell’infilata delle sfighe che ha travolto l’oasi felice del food, dalle chiusure pandemiche alle guerre internazionali, dall’inflazione alle bollette pazze, fino alla fuga della manodopera specializzata, la domanda è stata ricorrente: quale segmento soffrirà di più? Qualcuno diceva il fine dining (ma i ricchi non sono mai stati così ricchi), altri la fascia di mezzo e quella bassa, per la crisi della classe media e lo smart working.

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Le risposte continuano ad arrivare dal mondo reale: per esempio ha appena annunciato la sua chiusura Deanes EIPIC, ristorante stellato di Belfast, a causa di insormontabili difficoltà economiche. Lo chef Alex Greene ha messo sotto accusa la spirale dei costi ormai fuori controllo, ma l’intenzione è quella di ripartire con un nuovo concetto, incardinato sul rapporto qualità/prezzo. Già all’inizio dell’anno René Redzepi aveva chiuso il suo Noma, preannunciando un Noma 3.0 a venire, concepito come laboratorio per la creazione di piatti e prodotti destinati all’e-commerce Noma Projects. Serrande abbassate anche per il Momofuku Ko di David Chang e lo stellato Contra a New York, a causa delle turbolenze di un mercato sempre più volubile. Ma davvero stanno suonando le campane per la ristorazione high end?

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Un piatto di Jason Atherton @John Carey

Non la pensa così Jason Atherton, chef del City Social a Londra e a Dubai, per il quale si tratta solo di stagioni, che vanno e vengono. “A 52 anni ho attraversato recessioni, crisi inflattive e finanziarie, la Brexit e molto altro ancora. E nonostante ciò i locali stellati non hanno mai smesso di esistere. Alla gente piace farsi viziare in questi posti, è un lusso, come l’alta moda”, spiega a thenationalnews.com.

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@South China Morning Post- Getty Images

A suo giudizio, si tratta di azzeccare la formula giusta per i tempi. Ad esempio riducendo le dimensioni, tanto che il suo nuovo fine dining a Dubai offre appena 22 sedute. In questo modo è anche più facile assicurare la costanza delle esecuzioni e della materia prima. L’attenzione sulle forniture deve diventare ancora più implacabile, in modo da contenere le uscite senza pregiudizi per la qualità.

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C’è perfino chi lamenta di non avere incassato lo stipendio per un anno intero: Soleman Haddad, chef patron di Moonrise, ristorante in stile omakase da 12 coperti a Dubai, è vissuto dei suoi risparmi, cercando di tirare il più possibile la cinghia. Anche i patron piangono, insomma, ma difficilmente rimpiangono, visto che una stella Michelin può essere il migliore investimento per il futuro. E la sua fortunatamente è arrivata.

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