Se Allegra è un mix tra la bistronomia parigina e il minimalismo nordico, Calmo è la resurrezione del ristorante elegante con un tovagliato di pregio e la voce soffusa dei camerieri. Pochi scalini per arrivare al ballatoio ed ecco Scuro, il cocktail bar “dark” di Lorenzo Costa. Tre nuovi locali dopo il successo di Ahimè, che abbiamo visitato e vi raccontiamo qui.
Foto di Giulia Nutricati
La storia
Lorenzo Costa è un nerd della ristorazione che ha venduto la sua collezione di videogame rari per avere il primo gruzzolo da investire in un locale, Lorenzo Vecchia è un giovin lumbard che si è accorto quanto si sta bene a Bologna. Due Lorenzi. Una che per un po’ di tempo fa la corte all’altro, l’altro che prima si nega, poi va a vedere e alla fine sai che c’è: mi hai convinto. Due Lorenzi is megl che one. Ne siamo convinti. Almeno stando a vedere e ad assaggiare tutto quello che hanno combinato e che continuano a combinare. Senza asfaltare vite, ma gridando novità. Sottovoce. Già aprire un locale non è semplice. Costa, in un’unica location nella centralissima via Galliera, ne ha aperti tre: Allegra, Calmo e Scuro.
“Da sempre sono un fissato delle colazioni e del caffè. Ho sempre voluto aprire un locale in questo campo. Fare un locale daily, aperto dalle 8 alla sera tardi, dove in qualsiasi punto si potesse fare tutto. Però tu ci andresti a cena dove hai fatto colazione? Potrebbe funzionare bene a colazione e male a cena o addirittura il contrario. Questa è la prima ragione per cui ne ho aperti tre. La seconda è che oggettivamente io avevo voglia di un locale grande, dato che vengo da locali sempre molto piccoli che a un certo punto arrivano a saturazione: non si riesce a stoccare merce, a creare una cantina vini, a prendere altri dipendenti, a far crescere le presenze. Lo stress del locale arriva presto e poi ti blocchi. Locali grandi nel centro di città medievali, sono rari. E ti puoi immaginare che costi di struttura si porta dietro come affitto e utenze.
L’esigenza era quella di non limitare le ore di incasso, come quelle di un ristorante canonico con il quale incassi due ore a pranzo e tre o quattro a cena. Non volevo abbandonare la ristorazione pura fatta di servizio, di piatti, di vino. Sfruttando la grande metratura del locale, abbiamo pensato di ricavare qualcosa che fosse un motorino perpetuo di scontrini. Questo polmoncino è Allegra. Il terzo motivo è qualcosa di strategico e riguarda la comunicazione. Dividendo lo spazio in tre brand riusciamo a fare un lavoro molto più mirato per ogni brand, senza avere qualcosa di caotico con dentro tutto. Così facciamo più fatica all’inizio perché dobbiamo gestire tre account e il tempo per arrivare all’utente finale è maggiore, però abbiamo un’identità precisa per ogni brand e una chiarezza di comunicazione che in futuro può sfociare nella replicabilità. Se arrivasse un investor, in questo modo è più facile aprire un locale nuovo. Il sogno è che a Bologna ci siano altri Allegra”.
Lorenzo è figlio d’arte. Nico Costa è il proprietario della storicissima Trattoria Battibecco, una pietra miliare nella ristorazione bolognese. Dopo il diploma è lì che la sorella più grande per cinque anni lo introduce e lo catechizza al lavoro di sala. Lorenzo decide poi di andare con le proprie gambe. Apre Oltre assieme a uno chef che si era stufato di ambienti troppo rigidi e ambizioni troppo ambiziose. La tradizione viene svecchiata, eppure l’Emilia la fa da padrona. Una trattoria moderna, anche nell’ambiente, nel clima e nei ritmi. Nei due anni prima del lockdown i walk-in aumentano sempre di più. Di conseguenza anche i ci-spiace-ma-siamo-pieni, dato che il locale è di piccole dimensioni. Allora consigliaci un posto dove cenare o dove trascorrere un’ora prima di tornare. Quanto sarebbe stato bello avere un altro locale a pochi passi, magari una vineria con cucina, in cui indirizzare persone che da te ci volevano proprio venire.
Così nasce il pensiero del progetto Ahimé, quello in cui Lorenzo Vecchia è lo chef nonché socio. Un nome inusuale, un’interiezione che viene emessa quando senti tutto tranne che la gioia. Eppure da Ahimè accade il contrario, la gioia è servita calda e te la porti pure a casa. “Lorenzo Vecchia era tra i giovani chef che osservavo con interesse. Con il suo ristorante a Pozzuolo Martesana ha avuto alcuni alti e bassi negli anni in cui nella mia testa iniziava a concretizzarsi Ahimé, vineria con cucina. Allora non pensavo di inserire una cucina così strutturata come poi è avvenuto con Lorenzo. Allora gli ho scritto un lungo messaggio spiegandogli tutto, chiedendogli come stava e come era messo. Lui mi risponde con un messaggio altrettanto lungo che iniziava proprio con “Ahimè”. La prima parola, del primo messaggio. Quando dovevamo decidere il nome del locale, ci è sembrata una buona idea chiamarlo con la prima parola che ci eravamo scambiati”.
I nuovi locali: Calmo, Scuro, Allegra
Per Allegra la genesi del nome arriva da un fallimento. Dall’eredità di un fallimento. Correva marzo 2020 e Ahimé era quasi pronto per l’apertura. Se non avete la memoria corta vi ricordate cosa è successo. Lorenzo e i suoi ragazzi pensano a una distribuzione vini, per tamponare le chiusure forzate. Mettono il carro davanti ai buoi e iniziano dal naming, dal logo e da ciò che serve per creare un po’ di buzz attorno a un microbrand. Quando però capiscono che per avviare l’attività serve un acquisto di vini piuttosto ingente, parcheggiano tutto. Fino a qualche mese fa. Allegra nasce così. Nel logo una stilizzazione di un naso e di una bocca sorridente, elementi che nelle degustazioni vini sono abbondantemente usati e citati. Quel segno grafico ben si presta per rappresentare anche una bakery moderna in cui la cordialità fa parte del menù.
Durante l’anno di cantiere del “triplete”, Lorenzo si siede spesso al computer a pianificare, scrivere e risolvere imprevisti, stendere menù. Si siede all’interno di una cooperativa sociale vicino a casa sua, che ha un po’ di coworking. Mesi seduti a un tavolo. Davanti ad una porta antincendio, il cui cartello sovrastante recitava “Spazio Calmo”. Googla e scopre che quella dicitura si riferisce a una sala speciale, ignifuga, che deve essere presente negli edifici che ospitano persone con difficoltà motorie e che non possono compiere l’esodo in caso di incendio. Insomma un rifugio, come quello che Lorenzo pensava per il suo ristorante. Uno spazio in cui stare bene, in cui staccare da tutto e da tutti.
Calmo occupa la superficie maggiore della location che i tre locali condividono. Una grande apertura sul muro lascia più che intravedere la cucina dalla sala. I soffitti sono altissimi. Il buio prevale sulla luce. Sui tavoli la Tetatet di Groppi. Dal soffitto pende la lampada Moon di due metri di diametro, sempre di Groppi. Lorenzo la tiene alla minima intensità di luce dimmerabile. Vuole che sia una presenza, non che illumini. Lorenzo è pure un nerd dell’oscurità - ogni riferimento a Batman è puramente casuale. Le pareti color quasi mattone, riflettono il buio.
Un club anni ‘90 e la cena potrebbe essere solo il prologo allo spettacolo che deve venire. Il giorno seguente dai grandi lucernari del soffitto la luce del sole entra senza chiedere il permesso, eclissa la luna del designer e disegna uno spazio totalmente diverso, più industriale, più artigianale. Se Allegra è un mix tra la bistronomia parigina e il minimalismo nordico, con legno e palette fredde, Calmo è la resurrezione del ristorante elegante con un tovagliato di pregio e la voce soffusa dei camerieri. Pochi scalini per arrivare al ballatoio ed ecco Scuro, il cocktail bar che prende il nome da un angolo del carattere di Lorenzo Costa, quello più dark, quello che “sono uno che fa fatica a parlare con le persone”, quello che preferisce iconizzarsi in altri mondi.
Dimenticate la classica bottigliera, Scuro è un grande tavolo laboratoriale grigio con sedute ai lati. Un setting a cui siamo poco abituati, e che chiama bevute che non si possono prendere alla leggera. Del resto come potresti quando non trovi quello che ti aspetti. Scuro è il regno di Pietro, mixologist che “cucina” cocktail, usando spesso anche gli “scarti” della cucina di Calmo. Se gli chiedete un classico non è detto che ve lo faccia. Noi abbiamo scelto A casa di Ale, un drink creato con grappa al fieno, radicchio e verjus. Il risultato è una componente liquida uniforme, in cui non riconosci una miscelazione, potrebbe provenire tutto da una medesima bottiglia. La sensazione è quella di un tè rinfrescante, di un tonico.
Scuro per noi è anche un altro laboratorio, come quello di Allegra, non richiama la classica convivialità dei locali dove andare a bere, piuttosto un’ossessione chimica, per i p(assaggi) di stato. Laboratorio dicevamo. Pensandoci Lorenzo Costa ce l’ha lì, la fabbrichetta di un nuovo pairing per il suo ristorante e le sue colazioni. Noi ci proveremmo. Per Calmo e anche per Allegra sarebbe un “servizio” in più, di eccellenza e diversificazione. Che linguaggio aziendale, scusateci. A proposito di Calmo, la sensazione generale è quella di una cucina di intensità. L’aurea di Lorenzo Vecchia si sente anche quando non c’è. Costa non voleva creare la classica brigata con un comandante e vari capi partita, con il rischio di essere alla mercè della volatilità degli chef. Lorenzo Vecchia conduce Ahimé e contemporaneamente c’è sempre anche per Calmo, nonostante non sia sempre presente in cucina.
“Non mi sento di fare alta ristorazione, almeno non ancora, ci mancano ancora diverse cose. Anche io so stare in sala ma non sono un grande maitre, se mi dai da sfilettare un pesce non lo so fare, se mi dai da lavorare una cosa alla lampada non lo so fare. Ho altre doti, so costruire le squadre, tenerle insieme e so far girare l’economia dell’azienda. Poi un piatto che lo togli da qua e lo metti in uno stellato, quello sì ce lo abbiamo già”. Se per sintesi la vogliono definire come cucina nostalgica elevata alla modernità, non abbiamo niente da obiettare.
La brigata di cucina è giovanissima e per lo più composta da persone che hanno seguito Costa dopo Oltre. Gli altri sono amici di amici che hanno chiesto di unirsi alla brigata perché desideravano un posto di livello, ma tranquillo. Il problema della ricerca del personale? Qui non pervenuto. C’è una ragazza che frequentava Oltre come cliente e poi ha chiesto di lavorare per loro nonostante fosse già impegnata nella partita di pasticceria di Berton. Il sommelier è un un ex cliente di Oltre, appassionato di vino, che ha “pregato” Costa di fargli fare una prova, andava bene anche pulire solo i bicchieri. L’aria di club che si respira in questo ex laboratorio e bottega di orologiai la fanno le persone. Forse il tempo lavorativo qui scorre quasi come un tempo libero. Il rigore del servizio e del cucinato trasmettono leggerezza. La tensione è condivisa, quindi anche quella trova una o più spalle su cui scaricarsi. Merito di Lorenzo che ha impostato una conduzione poco gerarchica, imprenditorialmente friendly. Lui dice che dovrebbe arrabbiarsi di più, perché non sempre tutto fila dritto. Ma proprio non ci riesce. Spera sempre che qualcuno ci arrivi e se proprio non riesce ci arriva lui, anche se è il capo.I piatti, i cocktail e i lievitati sono la cartina da tornasole, in qualche modo.
Il celebre e yuppie cocktail di gamberi, torna come un boomer(ang) vestito da Tartare di Gambero Rosso. Niente di speciale se non fosse per l’estratto di teste di gambero messo al posto della salsa rosa, per lo scalogno marinato nell’aceto di lamponi e per il crumble di cipolla fritta. La freschezza del corpo crudo e la sublimazione intensa della testa. Un piatto completo che avremmo subito abbinato, senza paura, con la Rebula di Slavcek, evitando il passaggio leggerino del muscadet di cui non ricordiamo il produttore. Altro gran piatto è il Risotto al piccione. Un carnaroli riserva San Massimo, cotto in brodo di pollo arrosto, condito con un ragù di petti di piccione e di cosce cotte confit nel loro grasso. La mantecatura avviene con il fondo del piccione e burro acido realizzato con pasta di scalogno in riduzione di aceto. Il risotto della festa si mette a fare evoluzioni acrobatiche che ti fanno sgranare il palato in slowmotion.
Passiamo subito a uno dei dolci perché per un piatto in particolare dobbiamo aprire una parentesi graffa, quelle che non si chiudono mai. Il Latte in piedi è la tradizione dessertiana bolognese che viene rimessa in onda non sui canali Rai. Fatto come nonne pasticcere comandano, ma, non diteglielo, aromatizzato al pepe Sichuan e al caramello salato. Pensa te sti nipoti creativi, quando ci si mettono, svoltano senza distruggere. Tradizione o altro che sia.
E siamo al Petto d’oca. “No cbt, o cotture lunghe che sfibrano troppo la carne. Mi piace avere un piatto provocante, una carne che uno deve far lavorare i denti. Federico Orsi si sforza di farle crescere bene, annullarne tutta la muscolarità è un peccato”. Il petto d’oca è scottato in padella di ferro dalla parte della pelle. Raggiunto il giusto colore passa circa tre minuti in forno e poi lungo riposo sotto lampada riscaldante, almeno 12 minuti. Viene successivamente passato in semi di zucca tostati e servito con fondo bruno, riduzione di vino rosso, una pera cotta nelle spezie e il filetto dell’oca reso piccola tartare. Carne tenace non c’è che dire. L’oca non è l’anatra e soprattutto l’oca è di Federico Orsi, sì il farmer che produce anche ottimo vino sui colli Bolognesi. Anche lui è della crew dei Lorenzi e si deve molto anche a lui la stella verde di Ahimè. Un piatto divisivo, perché se sei poco abituato a usare i canini, potrebbe non risultare memorabile. Il gusto c’è eccome, siamo convinti che ci sia anche il modo di preservare la fibra, senza chiedere troppo crossfit alle mascelle.
La colazione da Allegra è stata ingorda, nell’impulso di avere il big picture della lievitazione più esaustivo possibile. In ordine sparso abbiamo provato la torta di rose al caramello salato e soia, il pain au chocolat e la danese alla chantilly. Quest’ultima era perfetta, morso fantastico, friabile, eppure non sbriciolabile, al contrario del pain au chocolat che purtroppo aveva un’intelaiatura troppo fragile e poco elastica, andando a sgretolarsi troppo facilmente. La chantilly gustosa, ma un po’ troppo effetto burro. In generale abbiamo osservato una lieve ossessione per la chantilly e poco credito per le creme pasticcere. Rientra nel format certo, che intende distaccarsi dalle colazioni classiche dei panifici e pasticcerie italiane. Perdonateci il commento personale, forse siamo più nostalgici noi. Almeno alla mattina.
Da nerd riguardo alla torta di rose - le assaggiamo ovunque qualcuno le faccia fiorire - l’abbiamo trovata una grande idea, con una sapidità spinta ma ben bilanciata dall’impasto. Fosse stata cotta un pelo di più al centro sarebbe stata da nostra personale top 3 all’istante. A pranzo l’aria è parigina: toast imburrati al cotto di Zavoli e fontina d’alpeggio, paté en croute, insalata di radicchi con vinaigrette alle acciughe e parmigiano. Suggeriamo un piatto diverso per l’insalata di radicchi. Buonissima, ma la fruizione difficilissima data la dimensione delle foglie. Camminiamo oltre le scale che conducono a Scuro. Lorenzo ci mostra una stanza piena di chicche vinicole che sarà presto una sala dedicata a cene di degustazione, poi il magazzino del vino. Vediamo altre porte. Vediamo già altri progetti nei suoi occhi.