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Etxebarri: il tempio della “cucina alla brace” eletto 4° miglior ristorante del mondo

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina extebarri

Bufale, orto, galline, microbirrificio e perfino un vivaio per le angulas: la cucina di Bittor Arginzoniz è il punto di intersezione fra tecnica artigianale della brace e materia prima assoluta. “Cerco di fare tutto quello che è alla mia portata”, dice. Nella Spagna postbulliana, una rivoluzione che ha trionfato, contagiando il mondo.

La storia

Bittor Arginzoniz è sopravvalutato? Sì, no, forse. Si può dubitare che Extebarri sia davvero il quarto miglior ristorante del mondo, come asserisce The World’s 50 Best Restaurants, ma di fatto pochi come lui hanno influenzato la cucina contemporanea, riportando in auge, con profondità mai eguagliata, il feticcio della brace, che oggi rinfocola un po’ ovunque.

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Classe 1960, stellato dal 2009, Arginzoniz è totalmente autodidatta. Nato in un casolare senza elettricità né acqua corrente ad Atxa, quando i Paesi Baschi erano un albero degli zoccoli (“in casa si pensava solo al lavoro, non si poteva fare altro che svolgere i compiti quotidiani. Non c’era tempo per divertirsi o giocare. Era lavoro e ancora lavoro”, ha spiegato qui), proprio al fuoco acceso ogni mattino dai nonni e dai genitori per cucinare e riscaldare la casa si è sempre ispirato con struggente nostalgia. “Il ricordo di quel focolare in cucina ti segna con il desiderio di continuare. È un valore che abbiamo dalle origini”. C’è poi stato il lavoro decennale in una fabbrica di confezioni per uova, fino al 1990, quando ha aperto Etxebarri.

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“Quando ero piccolo, era come il bar del paese, dove potevi prendere un goccio di vino o comprare le ciabatte, soprattutto era una drogheria dove la gente del paese acquistava qualsiasi cosa. Dopo un periodo di chiusura e il pensionamento dei titolari, i proprietari si sono accordati per la vendita e l’ho comprato. Il mio primo sogno è stato farlo funzionare da ristorante. E una volta messo in marcia, il mio obiettivo è stato dedicarmi a cucinare alla brace, che era ciò che prediligevo”.

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@Alfredo Caliz

I primi anni sono stati difficili perché partivo da zero e dovevo aprire un cammino. Ho iniziato lavorando i classici degli asadores, come la chuleta, l’orata, il collo di merluzzo e poco più. Sempre lottando per accaparrarmi il prodotto migliore che potessi trovare, combattendo il vento e la marea. A un certo punto ho dovuto cambiare il modo di lavorare con la griglia, buttando il carbone, usando legna e braci indipendenti. Tutto con utensili adeguati per cucinare, ai tempi impensabili. A partire da quel momento tutto si è evoluto per continuare a creare piatti da offrire al cliente, sempre sulla base del perfezionamento quotidiano. Non sono mai stato uno da libri o da giri per ristoranti. Mi piace mangiare, questo mi basta, e non ho mai offerto nulla che non avrei voluto. Solo quando sono sicuro di qualcosa, lo servo al cliente”.

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“Ora in tutto il mondo, ovunque vai, pensano a introdurre la griglia in cucina. A molti sembrerà qualcosa di semplice e primordiale, ma il difficile è centrare il punto di cottura, controllando il tempo e la temperatura di cui ha bisogno ogni alimento. Questo fa sì che sia un mestiere totalmente artigianale”. Arginzoniz va orgoglioso soprattutto delle sue angulas alla brace, che un critico reputava impossibili da preparare. Da lì la sfida. Ma alleva anche le sue bufale per la mozzarella da grigliare, ha orto e galline, produce perfino la sua birra. “Cerco di fare tutto quello che è alla mia portata. Le angulas le tengo in un vivaio fin quando il cliente seduto a tavola non le ordina”.

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