Evita nomi scontati, la guida Michelin, al momento di citare i suoi piatti dell’anno. Non senza fornire spunti preziosi sui criteri di giudizio (comfort è meglio) e su possibili sommovimenti nei punteggi.
I 5 piatti italiani preferiti dagli ispettori della Guida Michelin
Se c’è una critica che da sempre viene mossa a Michelin, è quella di essere opaca nei giudizi. Le stelle vanno e vengono senza alcuna formale giustificazione, gli stessi testi della guida sono a dir poco laconici e lasciano spazio al rimuginio del cuoco insoddisfatto, che continua a chiedersi come potrebbe migliorare. Qualcosa, tuttavia, è cambiato da quando la rossa ha deciso di essere più social, pubblicando articoli, ricette e anticipazioni varie sul suo sito ufficiale.I testi che preannunciano le future ammissioni, in particolare, sono insolitamente distesi e articolati, con tanti spunti sul metodo di giudizio. Ma Michelin ha voluto scegliere addirittura i piatti dell’anno in un recente pezzo, come sempre anonimo. Ed è una selezione che sorprende, visto che dei cinque capolavori decantati, solo uno è firmato da un tre stelle. Comunque la si pensi, una traccia di ciò che prediligono attualmente gli ispettori, ciascuno dei quali è impegnato in 300 prove tavola l’anno.
Il big in questione è Enrico Bartolini, da sempre beniamino della casa, premiato non per i ristoranti a tre o due stelle, ma per la Locanda del Sant’Uffizio di Cioccaro, dove il resident chef Gabriele Boffa ha entusiasmato con il suo classico agnolotto del plin al sugo d’arrosto. Nel piatto, si legge, ambrate gemme imperfettibili per eleganza ed equilibrio.
Segue, in ordine rigorosamente non alfabetico, Giorgio Bartolucci dell’Atelier di Domodossola con i suoi gnocchi ossolani, di cui l’anonimo ispettore loda il carattere deciso e la concretezza montanara, appena sgrossata dalla rilettura contemporanea.
Ma c’è posto addirittura per un ristorante senza stelle, che, come è stato annunciato ad aprile, sarà presente nella prossima edizione, con quale punteggio chissà... È il caso di Alex Leone del milanese Mater Bistrot, che ha fatto centro con la sua anguilla, mosto di fichi, puntarelle e pompelmo rosa. Una semi-classica preparazione laccata, riequilibrata dal contrasto amaro e acido su grassezza e dolcezza.
Ma non è l’unica anguilla, indubbio tormentone delle ultime stagioni. C’è anche quella delle Due Colombe di Stefano Cerveni, che nella composizione di salse e colori strizza l’occhio a Massimo Bottura attraverso il riferimento alla “psichedelia” del suo celebre vitello.
Last but not least, Damiano e Renzo Dal Farra della Locanda San Lorenzo di Puos d’Alpago con un prodotto iconico del territorio: l’agnello. Si tratta di una variazione di tagli e cotture, accompagnata da contorni di stagione, che secondo l’ispettore meriterebbe le due stelle.
Come interpretare questa piccola lista? Michelin sembra aspirare a porsi come trendsetter, attenzionando ristoranti della sua selezione, non ancora assurti nell’empireo. Privilegia il comfort delle ricette classiche o tradizionali, secondo il mood del momento, ma riserva un posticino per proposte giovani e scapigliate. Così è, se a lei piace. E voi cuochi rifletteteci su.