“Fra dieci anni andare in un ristorante di un certo livello, sarà prerogativa di un’élite”. È la previsione di Fréderic Vardon, chef della vecchia scuola, allievo di Chapel e Ducasse. “Dovremo adattarci a una società fondata sul lavoro, che si orienta verso un altro tipo di società, che dice no, bisogna vivere. La questione è semplice: chi pagherà?”
L'opinione
Qual è il futuro del fine dining? Se lo chiede Frédéric Vardon, chef del ristorante 39 V e del bistrot Chez Max, in una recente intervista a Hospitality. “Sono un cuoco della vecchia scuola, ho un percorso abbastanza classico. Ho lavorato in 4 maison, con un apprendistato straordinario in una casa che sfortunatamente non esiste più, chiamata Morot Gaudry. Poi ho lavorato per tre Alain: Alain Dutournier, Alain Chapel e Alain Ducasse. Penso che Chapel sia stato uno dei più grandi cuochi del suo secolo, qualcuno che era molto avanguardista, perché aveva un profondo rispetto della terra e della natura.
Tutto ciò che veniva attinto dalla natura per essere cucinato, era prelevato nel momento ottimale, senza disturbare i cicli riproduttivi. Poi ho avuto la fortuna di lavorare con Ducasse per oltre 18 anni al lancio di nuovi concetti. Mettevamo tutta la tecnica dei ristoranti a tre stelle Michelin al servizio di una ristorazione più accessibile e più moderna. Oggi sembra scontato, ma nel 1997 uno chef a tre stelle Michelin che proponesse costolette di maiale con salsa barbecue, fatta con i mezzi di un tre stelle, era avanguardia. Nel 2008 ci siamo separati perché ho avuto voglia di compiere le mie esperienze e ho incontrato i soci che mi hanno consentito di aprire il 39V. Abbiamo ricevuto la stella nel marzo 2012 e l’abbiamo persa nel marzo 2019. Questo non ci ha impedito di lavorare, anzi”.
“Parlo a titolo personale: quando si apre un ristorante, si apre un’impresa che come minimo deve farci vivere. In più con delle responsabilità nei confronti del personale, quindi un imprenditore deve assicurare il benessere e la sussistenza delle persone che assume. Se ci si focalizza sulla distinzione, si rischia, perché si apre un’impresa affinché duri. Inizialmente non mi sentivo in grado. Inoltre non era fondamentalmente il mio scopo, in quanto imprenditore la mia priorità erano i conti alla fine dell’anno. Sono in attivo? Perdo soldi? Ho retribuito tutti? Michelin dal 1900 fa brillare la cucina francese e non dico che si debba gettare il bambino con l’acqua sporca, ma fondamentalmente non è una guida culinaria, piuttosto fa pubblicità a pneumatici. Michelin ha fatto in modo che la gente che viaggiava, potesse trovare indirizzi dove fermarsi.
Io non serbo rancore per aver perso la mia stella, fondamentalmente lavoro più di prima. Bisogna fare ciò che si sa fare e che si ha voglia di fare, non cucinare per Michelin. Le stelle non vanno mai date per scontate e lo indica chiaramente Michelin. Ma per quanto lo dicano, non necessariamente la gente capisce. Voglio dire che le classificazioni mancano di trasparenza. Io vorrei capire, che ci fossero punteggi. Vorrei trasparenza. Vorrei sapere perché, anche se non fa piacere ai cuochi, Michelin è diventata un vero attore politico e decisore economico della nostra professione, lo trovo pericoloso. Diventa lo Standard & Poor’s della gastronomia. Dico sempre che siamo un po’ sadomaso. Dobbiamo preoccuparci dei clienti che riceviamo ogni giorno, di comprare bene, di rispettare la natura, di fare attenzione all’impronta di carbonio”.
“Siamo in un momento di trasformazione, una mutazione del lavoro che non è finita. Penso che ci troviamo a metà del guardo per diverse ragioni, che sia il costo delle materie prime o quello dell’energia. Penso che fra una decina d’anni andare in un ristorante di livello come il 39V sarà prerogativa di un’élite. Ho l’impressione, forse erronea, che tutti questi ristoranti stellati ed esclusivi scompariranno poco a poco per questione di mezzi. Torneremo alla padella, alla tovaglia a quadretti. Ma oggi colui che serve il mio filetto al 39V costa come il cameriere del bistrot. Dovremo adattarci a una società fondata sul lavoro, che si orienta verso un altro tipo di società, che dice no, bisogna vivere. La questione è semplice: chi pagherà?”
Foto in copertina di Edmond So