Harrison Cheney del ristorante Sons & Daughters di San Francisco è l’astro nascente della cucina americana. La guida Michelin ha appena premiato con lo Young Chef Award per la California il suo stile influenzato dal New Nordic e attento alla stagionalità.
“Fin da piccolo sapevo di voler diventare uno chef. Tanti bambini vogliono fare il giocatore di football o di calcio o qualcosa del genere. Ho attraversato quella fase, ma più o meno a 8 anni ho iniziato a esprimere a mia madre il desiderio di diventare uno chef. Per casa avevamo un sacco di libri di ricette, lei cucinava tanto e guardavamo molte trasmissioni in tema. Così non ho mai fatto altro. Subito dopo la scuola ho accettato un posto da lavapiatti. Poi sono andato al collage mentre lavoravo. È stata la mia scelta numero uno”.
“Quando avevo circa 17 anni, ho lavorato in un ristorante islandese a Londra e mi è piaciuta tantissimo la fusione di acidità, brillantezza e leggerezza. In un secondo momento ho conosciuto il movimento della cucina nordica. E mi ha affascinato. Ho lavorato in un albergo che aveva un piccolo orto, dove raccoglievamo i prodotti subito prima del servizio, le patate come le erbe spontanee. Qualcosa che mi ha davvero segnato. Quando poi sono arrivato a Stoccolma, ho sentito che stavo cucinando come dovevo. In generale il modo in cui il movimento New Nordic approccia il cibo, estraendone e facendone brillare la purezza, nonché impiegando tecniche e metodi di conservazione in uso secoli fa, per me è favoloso. Ed è un modo davvero sostenibile di cucinare, che coincide con la mia filosofia del cibo”.
“Il primo passo verso la sostenibilità è l’educazione. È qualcosa che ho davvero voluto che i miei collaboratori imparassero l’uno dall’altro. Lo facciamo continuamente, domandandoci cosa possiamo fare per diventare più sostenibili. Per il menu, si tratta di pensare a quello che finisce nel piatto, ma anche al resto. È molto facile pensare di avere la pièce perfetta, tagliando qua e là. Ma io mi chiedo piuttosto come potrei usare tutto e farlo entrare nel piatto.
Andiamo al mercato contadino due volte a settimana e a foraging una volta. Gran parte del prodotto, soprattutto in finitura, è nostra. Lavoriamo per eliminare la plastica monouso e collaboriamo con gente incredibile, che confeziona grembiuli e ceramiche in zona. Poi c’è la stagionalità, che detta ciò che serviamo. Inizia sapendo cosa cercare e andando al mercato contadino. Stringendo relazioni con i contadini, possono farci sapere quando i prodotti sono al top e sarà facile trarne ricette deliziose. Non usiamo mai ingredienti che non siano pronti”.
“A motivarmi in cucina è la mia squadra, vedere che tutti danno il massimo. Sapere che ci sono per me e io per loro. Me l’ha detto anche il mio secondo: ‘Chef, siamo tutti qui perché crediamo in te’. Avere una squadra in cui credi e che crede in te, è qualcosa di potentissimo. Non ci temiamo e ci prendiamo cura l’uno dell’altro. Abbiamo l’opportunità di fare sempre meglio. Se abbiamo un giorno no, ci ricordiamo che possiamo trarne insegnamenti e migliorare il giorno dopo. Ed è quello che mi spinge sul serio. Ai giovani cuochi consiglio in primo luogo di lavorare per gli chef che hanno a cuore e per il cibo in cui credono. Bisogna scegliere una figura per cui si vuole lavorare. Facendo sacrifici per ore e ore, è necessario crederci. Poi bisogna imparare da tutti i posti in cui si passa. Ho preso qualcosa di buono e di cattivo da tutti i posti per cui sono passato. Abbiamo la fantastica opportunità di diventare persone creative. Quando ti formi da chef, la tua tela è la tua carriera ed è quello che ti rende unico. Oggi per i ragazzi è molto facile affrettarsi e volere tutto subito. Io sono ancora giovane, ma cucino da 14 anni e dico che alla fine ne varrà la pena”.
Intervista dal sito di guide.michelin.com