Dall’evoluzione del menu vegetale, che esplora il potenziale nascosto di elementi infraordinari della tavola come le foglie, al nuovo concept dell’Hotel Bulgari di Roma, dove la tradizione è sempre più contemporanea: Niko Romito racconta il suo approccio alla cucina del futuro.
L'intervista
Nella generale flessione della cucina italiana secondo The World’s 50 Best Restaurants, ad avere sostanzialmente tenuto sono stati due cuochi della stessa generazione: Riccardo Camanini e Niko Romito. Forse il secondo paga un po’ la sua indole schiva, abruzzese, poco incline alle manovre di redazione, perché la pregnanza cartesiana dei concetti, più che mai attuali, e gli esiti dirompenti che ne distilla meriterebbero ben altri piazzamenti, che probabilmente arriveranno.
In questo momento chi ama il food non può non provare il menu vegetariano del Reale, laboratorio avanzatissimo di una coerenza implacabile, dagli esiti quasi miracolosi. Il lavoro sulle foglie, elemento infraordinario della tavola, che qui acquista un volume monumentale con afflato quasi etico, e lo studio dei terziari vegetali, sorta di inconscio più o meno tecnologico dell’ingrediente, che viene portato alla luce come per via di psicanalisi, rappresentano passaggi degni di entrare nella storia della cucina italiana.
Attraverso quella serratura, infilando la chiave giusta, le ricette di sempre possono essere ricondotte all’interno del singolo ingrediente, scoprendo la ratio che ha ispirato la tradizione: vedi l’umile scarola, da cui Romito ricava senza sforzo i sentori dell’oliva nera, in una concentrazione di polifenoli che fa schizzare gli strumenti di laboratorio. Una ricetta non in nuce, ma ex nuce, che suona come una dichiarazione d’amore alla cucina italiana, dotta e popolare: Marchesi oltre Marchesi.
Cosa ti ha portato a focalizzare la tua creatività sul vegetale?
Ho sempre amato lavorare il vegetale e studiare come dei processi di trasformazione complessi potessero farne emergere sapori e profumi nascosti e permettessero di ottenere nuove strutture. Abbiamo la fortuna di vivere in un paese che ci offre una varietà immensa di vegetali, molto presenti nella nostra tradizione, eppure trovavo che non avessero abbastanza dignità dal punto di vista gastronomico, che si prestasse troppo poca attenzione alla loro trasformazione, lasciando inespressa gran parte del loro potenziale.
Il lavoro del cuoco per me consiste proprio nel riuscire a trasformare prodotti comuni, come una carota o una cipolla, in qualcosa di unico e straordinario. Realizzare un menu degustazione interamente vegetale non si iscrive in un trend e non ho intenzione di eliminare le proteine animali, ancora presenti alla carta e che mi sento libero di reintrodurre nei prossimi menù. Ma era anche un modo, per me, di richiamare l’attenzione su questo potenziale incredibile del vegetale.
Come riesci a creare nuovi menu su ingredienti che cambiano così velocemente?
Ho menu che durano circa 3 mesi e che si evolvono in corsa, seguendo la stagionalità. Se un vegetale, un frutto o anche una carne o un pesce non sono più disponibili, cambio il piatto. Anche la carne e il pesce hanno stagionalità da rispettare e questo tema non vale solo per il vegetale.
Come ti procuri le tue verdure?
Da qualche anno lavoro con un attento selezionatore di verdure locali, Alessandro La Valle. Confrontandomi con lui quotidianamente mi ha introdotto a temi nuovi, legati ai cicli agricoli e alla micro stagionalità. Non basta cercare una patata Agria coltivata nella Valle del Fucino, è importante avere la migliore patata del Fucino, e quindi seguire la sua messa a terra, l’esposizione, l’irrigazione e magari cambiare versante in momenti diversi dell’anno. Da Celano a San Benedetto ci sono delle patate eccezionali coltivate solo con acque sorgive e Alessandro le cerca con cura e dedizione assoluta.
Qual è stata la reazione del pubblico?
È stata ottima e inaspettata. Ha avvicinato, dopo un primo e per fortuna molto breve periodo di diffidenza, pubblici nuovi e ha stupito. Ha portato molti giovani.
La carta del Reale è poi ricca di piatti di pesce e carne e quindi non ha precluso a nessuno di costruirsi un proprio percorso.
Quali sono le peculiarità gustative e di struttura del vegetale estivo rispetto alle altre stagioni?
In estate la frutta porta dolcezze e acidità molto interessanti. Le aromatiche sono più intense e la varietà della verdura è incredibile.
Anche in questo menu prosegue lo studio delle foglie, che reputi il punto più alto del precedente?
Certo. Per fare un esempio, ho introdotto in un piatto storico, Misticanza e mandorla, delle varietà di vegetali selvatici nuove. Il piatto ora sottolinea ancora di più la parte tattile dell’esperienza, oltre agli amari e alle note balsamiche, si hanno ruvidità inaspettate, intensità e masticabilità. La foglia è protagonista in un piatto che d’estate è buonissimo, la Scarola arrosto. Il vegetale, meno acquoso, è in questi mesi più saporito e il piatto evolve.
Su quali altri aspetti ti stai focalizzando? La frutta è più protagonista?
La frutta è importante e usata anche col salato è spesso un interessante contrappunto acido, dolce e/o cremoso. Oltre che nel dolce Prugna, panna e alloro, la frutta è presente in un nuovo piatto Riso, peperone verde e mela, nell’Aspretto di pomodoro e fragole e in un piatto storico, Cocomero e pomodoro. Là dove c’è la frutta in carta, è sempre con un ruolo insolito, mai legato al dolce ma più spesso all’acidità e alla cremosità.
Il palato estivo richiede minore concentrazione?
Non parlerei di concentrazione, ma sicuramente il palato estivo ha bisogno di maggior leggerezza e di diverse temperature. Per questo nell’attuale menu estivo del Reale, diversi piatti sono serviti freddi, come Riso, peperoni verdi e mela, Cocomero e pomodoro o Aspretto di pomodoro e fragole; altri piatti appena tiepidi come l’insalata di funghi. Ma ciò non significa che i gusti siano meno intensi o meno complessi, anzi. Il lavoro sulle temperature è molto interessante perché queste hanno un impatto significativo sulla percezione del gusto: lo stesso elemento, a temperature diverse, darà sensazioni gustative diverse.
Quindi abbiamo lavorato molto sulle texture, le temperature e la concentrazione del gusto.
Un nuovo piatto molto interessante è Riso, peperone verde e mela. Alla vista ricorda un risotto, ma al primo assaggio si capisce subito che il riferimento visivo non corrisponde a quello gustativo: il riso è servito freddo, mantecato solo con l’amido di riso e polpa di mela acidula, senza burro né Parmigiano Reggiano, con un estratto di peperone verde che rinfresca ulteriormente. Un piatto che reinterpreta il Riso estivo e il riso freddo in modo curioso.
Con Cazzarielli, bieta e limone la pasta della tradizione contadina abruzzese trova una connotazione nuova: la bieta, con il particolare processo di trasformazione, esprime un amaro inaspettato, esaltato dal limone.
Infine Insalata di funghi, un lavoro su un ingrediente povero e spesso senza identità, lo Champignon Crema, che trova un’intensità balsamica e una speziatura unica grazie alla cottura sul fuoco e alla declinazione in varie consistenze.
Che cosa intendi per terziario vegetale e come lo moduli?
Sono quei sapori naturalmente presenti in un vegetale ma non immediatamente percepibili, che riesco a far emergere grazie alla trasformazione e alla stratificazione del vegetale stesso o cercando di sottolinearlo con elementi che ne accentuino il profumo.
I sapori terziari della melanzana, ad esempio, sono la liquirizia o il pepe di Cayenna; in uno dei miei piatti estivi ormai divenuto iconico, Melanzana e caramello di pesca, questi sapori emergono nella glassa che ottengo dalla melanzana stessa; ma li uso anche per completare il piatto, esaltandoli in modo più chiaro. Vado ad aggiungere qualcosa che il vegetale stesso mi suggerisce.
Come si articola il menu, in assenza di “secondi”?
I miei menu non hanno mai avuto una struttura canonica di antipasto, primo e secondo… L’anno scorso la pasta veniva servita come predessert, con una linguina fredda, limone e peperoncino. L’assenza di proteine animali nel menù degustazione non genera nessun tipo di mancanza, grazie alla complessità che il vegetale riesce ad offrire, non solo in termini di gusto, ma anche di strutture. La Melanzana di cui parlavo prima, viene servita con il coltello della carne, per lo spessore e la texture ottenuti; con la Scarola si gioca su note fondenti e croccanti e anche il Cocomero ha un morso interessante. Il palato e la masticazione sono costantemente stimolati, per questa le strutture sono un elemento centrale nel nostro lavoro di ricerca.
Come si riflette questa esperienza nella cucina dei Bulgari?
Il Ristorante – Niko Romito all’interno dei Bulgari Hotels&Resorts propone una cucina molto più legata alla tradizione italiana rispetto alla cucina di ricerca del Reale, ma una tradizione resa contemporanea proprio dall’esperienza e dalle conoscenze acquisite in questi vent’anni.
La mia filosofia di cucina, la mia idea di essenza, purezza e leggerezza mi hanno permesso di approcciare in modo nuovo i piatti più iconici della cucina italiana e le specialità regionali meno note. Le tecniche di trasformazione sviluppate al Reale ci permettono di attuare questo processo di attualizzazione della cucina italiana. Si ridefiniscono i nuovi classici, rispettando i valori, l’essenza della nostra tradizione ma facendola evolvere secondi nuovi canoni.
La cucina del Bulgari influenza il Reale?
Non direi che la cucina del Bulgari influenza direttamente quella del Reale, anche se può esserci, a volte, la scoperta di un piatto regionale italiano che mi suggerisce delle idee. Ma questo studio sulla definizione dell’italianità mi ha portato ad una riflessione molto profonda che ha contaminato tutto il mio lavoro. Anche il fatto di viaggiare molto, in questi ultimi anni, è stato un grande stimolo: entrare a contatto con Paesi e culture molto distanti dalla mia e lavorare con tanti Chef dal percorso diverso, ha arricchito il mio vocabolario tecnico e nutrito la mia creatività.
Attraverso il Bulgari può compiersi quell’opera di codificazione della cucina che in Italia è sempre mancata? Pensi che sarebbe importante e perché?
Sicuramente la grande forza di questo progetto e ciò che maggiormente mi appassiona, è la volontà di codificare la cucina italiana in tutta la sua diversità. Penso sia molto importante per dare valore al nostro patrimonio e per permetterci di portarlo nel mondo. Sicuramente la nostra varietà, la natura popolare e la dimensione familiare della nostra cucina rendono quest’opera molto complessa, ma dobbiamo riuscire a cogliere i valori essenziali della nostra cultura gastronomica e trasmetterne la ricchezza. Credo che iniziamo finalmente ad essere consapevoli della necessità di questa codifica e c’è chi, con la propria visione, si muove in questa direzione.
A 6 anni dalla prima apertura del Bulgari a Pechino, come si sono evolute le carte?
Il lavoro di studio e di ricerca sulla codifica della cucina italiana regionale ci ha fatto crescere molto negli anni, abbiamo perfezionato le nostre ricette e continuiamo a scoprire nuovi piatti della tradizione, che interpretiamo secondo la mia filosofia di cucina e codifichiamo.
In alcune città, come a Tokyo, abbiamo visto che il menù degustazione è molto più popolare rispetto alla carta e abbiamo quindi cercato di offrire più scelta in questo senso, ma in linea generale l’idea e la struttura dei menu non sono cambiate. È la cucina che continua ad evolvere, seguendo una direzione molto precisa.
Il palato non cambia secondo le nazioni?
In ogni nazione cambia la codifica di ciò che il palato percepisce, perché in ogni paese si hanno riferimenti diversi, una palette di sapori diversi. Se, ad esempio, in Italia l’amaro fa da sempre parte della nostra cultura ed è un gusto che generalmente apprezziamo molto, in Francia non fa parte delle abitudini, per cui fanno più fatica ad apprezzarlo. In Cina è l’acido ad essere meno apprezzato. Ma non adattiamo mai i piatti ad un Paese, non perché vogliamo ignorare la cultura locale, ma perché l’obiettivo di questo progetto è anche culturale, non solo gastronomico. Vogliamo portare nel mondo i sapori autentici della cucina italiana e guidare il cliente nella loro comprensione.
Bulgari Ristorante Niko Romito Roma