Il Lab 2023 del ristorante Uliassi è un capolavoro di sensazioni ingegneristicamente programmate per il massimo piacere indotto. Dieci assaggi attraversati da una tensione altissima, eppure popolari, in cui prosegue l’esplorazione del vegetale e delle spezie, col concorso vieppiù decisivo di un nuovo elemento della gang.
Il ristorante
Capita di scorrere un libricino, andando al ristorante, e di imbattersi nella definizione perfetta di quello che ci attende. “Sensazioni ideate” si chiamano quegli effetti dell’opera su chi ne fruisce, perfino tattili, come se questa incorporasse qualcosa che è in grado di farci provare fisicamente e risultasse quasi umana nella sua capacità di coinvolgerci. “Tutte le arti risultano di sensazioni ideate, non importa con quale mezzo espresse, purché da esse si produca un effetto diretto di accresciuta capacità vitale”. Forse nessuno in cucina padroneggia queste “sensazioni ideate” (le “ideated sensations” di Berenson) meglio di Mauro Uliassi, e il risultato è proprio questo: un’assurda capacità vitale.
Per riuscirci lo studio è implacabile, la definizione avanzata, con un know-how da nerd nello scibile sterminato della gastronomia. Il progetto della sensazione indotta è una scienza esatta che necessita di innumerevoli prove. “Anche quest’anno ci siamo chiusi dentro il ristorante per quaranta giorni, lavorando nove o dieci ore di fila”, racconta Uliassi.
“I primi dieci giorni ci siamo limitati a discutere, poi siamo entrati in cucina per provare gli accostamenti e siamo passati alla costruzione del piatto. Con la consueta sorpresa che da un’idea potessero partire nuove direzioni, altrimenti impossibili, come per via di serendipity. Ogni Lab è più difficile del precedente, perché superarsi è complicato. Quest’anno poi fino a dieci giorni prima dell’apertura non avevamo niente in mano; poi come sempre, prendendo fiducia, siamo riusciti a costruire cose che piacciono a noi, quindi anche alla gente, secondo la presunzione che abbiamo maturato.
Di solito lavoriamo per estremi, carichiamo e via via scarichiamo, fino al punto di equilibrio, cercando la convergenza fra tutti i sensi e la standardizzazione, per avere ben chiaro cosa mettiamo nella bocca degli altri. Così avanziamo ogni anno in questo viaggio che è cucinare, ogni volta in modo nuovo. Leggere negli occhi dei commensali quello che abbiamo cercato ci dà la sicurezza di vivere bene la nostra vita. In passato non sempre succedeva, forse non sapevamo cogliere il palato trasversale. Ma oggi abbiamo la fortuna di rivolgerci a persone che ci desiderano, funzionali a quello che siamo, che vengono qui per divertirsi, esattamente come noi. Abbiamo i clienti che sogniamo”.
La squadra è rimasta invariata dall’anno scorso: dietro a Mauro Uliassi ci sono Mauro Paolini, Luciano Serritelli, Andrea Merloni, Yuri Raggini, Mattia Casabianca, Andrea Paris e il siciliano Peppino Merlino, che Uliassi definisce “un grande talento”; ma agli incontri partecipa anche Michele Rocchi, che è uscito per seguire la linea deluxe delle crociere MCS.
Mentre in sala continuano a sorridere Catia e Filippo Uliassi, Elisa Cao, Gabriele Merando e Federica Angeloini, insieme allo storico sommelier Ivano Coppari, coadiuvato da Francesca Sileoni.
Del Lab 2022 sono sopravvissuti tre piatti: l’insalata di ostrica con pesto di rucola e borragine, le lumache con friggitelli e origano e l’anguilla affumicata con albicocca, finalmente italiana nel richiamo all’alloro e alla mostarda del cren, che tampona il grasso e spalanca le narici.
Sono il nodo gordiano di uno stile ormai solidissimo, ma dai margini di sviluppo ancora agevoli e generosi, già proiettato verso le prossime prove, che non saranno inferiori. Il costo è di 250 euro senza abbinamenti, con l’alternativa del sempre ottimo menu di selvaggina, più stabile nella composizione, e del menu dei classici (entrambi a 250 euro, il secondo anche ridotto a 230), sempre che non si vogliano pescare tre portate alla carta.
I piatti del Lab 2023
Si comincia con l’ormai classico wafer di nocciole e fegato grasso con kir royal, servito però in mano. È l’unico sopravvissuto fra gli storici appetizer della casa. “Abbiamo valutato che fosse inutile servire cinque sapidità diverse, che andassero poi resettate. Meglio piatti abbondanti”. Poi il burro montato all’aringa affumicata e l’olio al rosmarino bruciato con grissini e cracker.
Strappa subito l’applauso la seppia bianca, grazie alla testura mondiale e all’equilibrio gustativo fra spinte e controspinte, un po’ zimino, un po’ evoluzione del finto lardo e del rancido. “Finora l’avevamo sempre servita sporca, per esaltare il sentore marino, lasciando pelle e interiora. Qui siamo partiti dalla tecnica di preparazione dei polpi in Puglia, non quelli sbattuti sugli scogli per sfibrare, ma quelli lavorati tipo centrifuga con ghiaccio e sale, per inturgidire la polpa. Quindi shakeriamo i molluschi in una bastardella per 4-5 minuti sempre con ghiaccio e sale, in modo che sotto la superficie croccante si crei un’anima burrosa. Seguono una scottatura di pochi secondi in acqua bollente e il passaggio in acqua e ghiaccio. Il risultato è bianco perlaceo, con il fegato tenuto in serbo per il mare oltre l’albumina. Avevamo bisogno di agganciare la seppia a un elemento di contrasto e ho chiamato Piergiorgio Parini, che mi ha suggerito una foglia di vegetale condita con limone e colatura di alici. Quindi la bieta con battuto dei gambi, limone, colatura e miele di Giorgio Poeta. La polpa bianca ci ha ricordato il lavoro sulla tigella al finto lardo e abbiamo ripreso la metafora con il rancido dell’olio al guanciale, più il fegato sotto che riporta al largo”. Autori Mauro Paolini e Peppino Merlino.
Non da meno i ricci, la cui granulosità appena accennata sposa quella nitida dei fichi secchi, di cui si prelevano i semi, raschiati a freddo e conditi con la menta, che apre le narici, sopra un brodino dei gusci. “I ricci sono fenici, sapidi, iodati, ci puoi appiccicare tante situazioni, purché siano in equilibrio. Noi li serviamo freddi in modo che si scaldino in bocca senza scivolare e rilascino via via le molecole olfattive. Nell’ordine arrivano sapidità, dolcezza del fico, iodato e balsamico per la lunghezza, che amplifica gli altri elementi”. Autori Mauro Paolini e Peppino Merlino.
Ma qui Uliassi cala un altro asso: Macchia adriatica. Sembrerebbe l’ennesimo capitolo di una lunga saga, la descrizione dell’habitat nel genere del paesaggio gustativo, applicato questa volta alla pineta. Invece spariglia per la capacità di estrarre sensazioni marine da ingredienti di terra, ma puramente vegetali, per via amara anziché sapida. Ci sono il cardoncello per la masticazione, i mirtilli e le more leggermente essiccati per la dolcezza, i pinoli reidratati per l’aromaticità resinosa, soprattutto il luppolo in forma di olio, spuma e foglie fritte: quanto è amaro il mare. Autori Luciano Serritelli e Andrea Merloni.
Forse meno stordente sotto il profilo gustativo, ma irresistibile per carica pop, stile nachos e salsa piccante, è la pasta all’assassina, che Uliassi ha conosciuto casualmente da Checco Zalone, passato a pranzo e desideroso di fargliela provare in albergo. “Da tempo ci intrigava l’idea della pasta ripassata con la tostatura del pomodoro e abbiamo trovato la quadra. I fusilloni di Pietro Massi vengono bolliti per 35 minuti, in modo che diventino morbidi, senza perdere struttura, poi tostati in padella e sotto la salamandra, per ottenere una crosta croccante sul cuore morbido. La logica è quella dell’arrabbiata, ma di peperone rosso al posto del pomodoro, che con ’nduja, paprica e olio di falso pepe cuminoso aggredisce, si stabilizza e sfuma; più i cristalli di aglio tostato e l’insalatina di prezzemolo sul modello del taboulé per la nota cuminosa, quasi di coriandolo. Il risultato è una bocca incandescente, che nelle foglie di shiso trova la freschezza erbacea che allevia e profuma, in liaison aromatica”. Autori Mauro Paolini e Peppino Merlino.
Sorprende il rognone trifolato con gamberi rossi e noce moscata, che varia felicemente lo schema del sesto quarto di mare. “Siamo sempre più concentrati su come creare il gusto. Qui in particolare siamo partiti dalla combinazione di limone, rosmarino e noce moscata. Già sapevamo che il rognone con le sue note di ammoniaca sposa frutti di mare affini, ma è la noce moscata a elevare il contrasto. Non l’avevamo mai usata e ci ha stupito per la capacità di trasformarsi, agganciandosi a ingredienti nuovi, mentre in Italia viene usata sempre negli stessi modi, contrariamente all’Asia. Per noi una grande sorpresa”. Autori Luciano Serritelli e Andrea Merloni.
L’agnello doveva essere in origine una costoletta di cinghiale. “E ancora lo vorrei così, perché non ho mai amato quel selvatico, sempre stufato, spesso troppo magro; invece le costolette ci sono sembrate buonissime e spero ancora di trovare quelle giuste”. Sul piatto con un’insalatina di cipolle croccanti, pralinato di nocciole e ciliegie ghiacciate, che è “un match dove ogni elemento tenta di prevalere”, l’olio e l’estrazione di vaniglia Bourbon, le olive essiccate sulla carbonella per una sensazione quasi di baccello. Autori Yuri Raggini e Andrea Paris.
La pasticceria, firmata da Mattia Casabianca, negli ultimi anni è sempre migliorata e risulta ora pienamente convincente. Per predessert una stratificazione di classica crema al limone di Sorrento stile tarte au citron, sorbetto e granita aromatizzata al rhum tipo daiquiri, con una nota di liquirizia sul fondo per l’effetto Liuk.
A chiudere il ripescaggio di un grande classico, il Saint Honoré, rivitalizzato nel gusto. Ci sono la pasta sfoglia e il biscotto di nocciole e cioccolato, poi le due creme alla vaniglia e al cioccolato e caffè, i bignè piccolissimi ripieni di crema di liquirizia e una salsa di arancia amara all’Ocoo in contrasto, che vira verso i sentori della radice.
Foto dei piatti: @Thomas Quintavalle
Foto dello staff di cucina e del personale di sala: @Lorenzo Cicconi Massi
Foto di Copertina: @Lido Vannucchi
Indirizzo
Ristorante Uliassi
Banchina di Levante, 6, 60019 Senigallia AN
Tel: 071 65463