Fra nuove galassie Michelin e cinque stelle lusso che mozzano il fiato, è il momento della primavera romana. In tavola porta sua maestà il carciofo, alla giudia e soprattutto alla romana. “Ne siamo ossessionati”, racconta Arcangelo Dandini in mezzo alle sue mammole.
Il carciofo alla romana di Arcangelo Dandini
La storia
Gli ha dedicato un’ode Pablo Neruda, descrivendolo come un guerriero protetto dall’ispida cupola sulla polpa pacifica, vegetale armato e brunito come una granata, disposto a falange sulle bancarelle prima che la massaia se lo ficchi nella borsa. Ma se c’è qualcuno che ha regalato immortalità al carciofo, questi sono i cuochi romani, che ne hanno fatto un’icona.
Per esempio, Arcangelo Dandini del ristorante L’Arcangelo, che rappresenta la quinta generazione di una stirpe di cuochi veraci, all’opera da Roma ai Castelli Romani. La sua trisavola si dice già cucinasse prima della costruzione degli argini del Tevere; nonna Velia poi a Rocca Priora mandava avanti la Tavernetta e la Doganella. Tutte case e padella. “Quindi ho assorbito fin da piccolo la cultura della spesa e del territorio, che era pieno di cibo. Pastorizia, cacciagione, erbe spontanee e tutta una qualità diffusa. Da fuori arrivavano solo il Parmigiano e il prosciutto”.
“Operando verso Velletri, figuriamoci i carciofi. I miei avevano anche le vigne, che fino agli anni ’70 erano piuttosto orti dove cresceva di tutto, ulivi, piselli, fave e carciofi, appunto. Si faceva pure la matticella, quando si potava e si lasciavano essiccare i sarmenti al sole. E noi Romani siamo tuttora stregati, perché abbiamo sempre attinto da quello che avevamo intorno. Ma i carciofi erano ovunque, da Cerveteri alla Bassa Maremmana, dalle colline fino al mare. Siamo sempre stati circondati”.
“Il romanesco di Sezze, in particolare, è tardivo. Sempre una mammola, che però inizia quando finiscono gli invernali e arriva fino ai primi di maggio. È quello che si mangia con le fave e il pecorino, il più tenero e il più dolce, di cui è buona anche la barba. Ci faccio una pasta con i carciofi e il pecorino; oppure un ragù bianco di agnello, sempre alla mentuccia che non manca mai, non saprei dire se è la sposa o la sorella. Porta quella nota balsamica che però è più delicata della menta piperita, poi è selvatica. Quando vado da mia mamma Anna e mi cucina i carciofi alla romana, ne mette tantissima, o forse sarà che è appena colta. Ma è un’altra sensazione per noi, che siamo ‘urbanizzati’”.
Il piatto
“Al ristorante faccio i carciofi alla romana con la sua ricetta, non l’ho mai toccata. E sono ortodosso, la giudia non la servo, anche se me la chiedono continuamente. Non ne ho mai fatta una. Perché va eseguita alla perfezione, con due bagni d’olio a temperature differenti, 145 e 175 gradi; poi non amo l’amaro di fondo, nel carciofo cerco piuttosto la dolcezza. La ricetta alla romana è più semplice, si può fare anche a casa. Ma è comunque pensata, con l’aglio schiacciato in camicia, che cede solo la parte dolce, senza sulfureo; l’olio che deve avere un marcatore di carciofo, per spingere, e la cottura esatta, rovesciata. Una razionalità che secondo me arriva dagli Ebrei del ghetto; deriva più dal bisogno che dall’esigenza”.
Nel bicchiere Arcangelo, che da ragazzo è stato sommelier per Aimo e Nadia, non si fa intimorire dai divieti old school. “Per l’astringenza, il gusto un po' amaro e metallico il carciofo ha bisogno di un vino fresco, fruttato, aromatico, che abbia sapidità ma soprattutto morbidezza. Sembra perfetto l'abbinamento con il bianco per eccellenza del Lazio, il Frascati, grazie all’uvaggio di malvasia, trebbiano e bellone, specie se vinificati sulle bucce per una maggiore pastosità. Suggerisco il Frascati 496 di De Sanctis, vino che nasce in una zona vocata dei Castelli Romani, nel pieno del disciplinare storico”.
La ricetta del carciofo romanesco di Sezze stufato, acciughe e mentuccia (detto anche “alla romana”)
Ingredienti per 4 persone
4 carciofi romaneschi
8 filetti di acciughe dissalate
1 spicchio di aglio rosso italiano
16 foglie di mentuccia
1 limone tagliato in 4 parti
½ bicchiere di vino bianco
2 cucchiai di olio extravergine di oliva italiano fruttato intenso (cultivar itrana, caninese ecc.)
3 prese di sale fino
Procedimento
Tagliare il gambo a metà e mondare i carciofi scartando le foglie, fino ad arrivare alla parte più chiara.
Tuffarli in acqua acidulata con limone e ghiaccio.
In una casseruola con il fondo spesso fare andare l'olio, le acciughe, la mentuccia e l'aglio schiacciato in camicia a fuoco basso, fino a disfacimento delle acciughe.
A quel punto disporre nella casseruola i carciofi a testa in giù, salare e cuocere per circa 3 minuti.
Sfumare con il vino bianco e alzare la fiamma al massimo.
Appena il vino sarà evaporato, versare acqua fino a metà dei capolini.
Abbassare la fiamma al minimo e coprire ermeticamente la casseruola, con carta forno e coperchio o con pellicola alimentare.
Cuocere per 20 minuti circa. Aggiustare all’occorrenza di sale e lasciare intiepidire in casseruola.
Nel servizio aggiungere a piacere scaglie di pecorino dolce o caciocavallo, olio a crudo e acciughe a volontà.
Indirizzo
L’Arcangelo
Via Giuseppe Gioachino Belli, 59, 00193 Roma RM
Tel: 06 321 0992
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