All’indomani dell’ennesima apertura, il grande chef basco rende omaggio ai suoi giovani collaboratori. “Martin Berasategui non sono io, siamo noi. Questa è la generazione migliore di sempre. Io stesso mi sento un eterno apprendista, insegno ma nello stesso tempo imparo moltissimo”.
L'opinione
Il re della cucina spagnola si chiama Martin Berasategui: è lui lo chef più stellato del paese grazie a sette ristoranti, che in tutto fanno dodici stelle Michelin. Ma il suo pallottoliere non smette di girare: primo basco a mettere piede a Dubai, si appresta a inaugurare a Marbella e a Ibiza; ma c’è anche una nuova casa a Madrid presso il Club Allard con attigua “taverna informale”, Madrì Madre a cura di Iñaki Rodaballo. Per lui è il secondo tentativo di sbarco, dopo la breve e sfortunata parabola di Etxeco a cavallo della pandemia.Il messaggio è di ottimismo, ma anche di gratitudine, tanto verso i maestri, genitori e zia su tutti, che nei confronti di una squadra sterminata. “Questa cosa che nessuno ti regalerebbe niente, è la grande bugia della cucina e del mondo”, sorride. “Mi sento un privilegiato per essere stato scelto per questo nuovo progetto di club in una città che va a razzo. Se nella vita hai la fortuna che ho avuto io, devi solo ringraziare. Darò tutto quello che ho, con il mio squadrone guidato da José Mari Goñi e Benito Duràn in sala, trasmettendo le conoscenze di 48 anni di professione e veicolando questo piccolo universo Berasategui, che abbiamo portato il giro per il mondo. Lo faremo con entusiasmo, con gli occhi brillanti, a maggior ragione dopo gli anni duri che ci è toccato vivere in pandemia. Martin Berasategui non sono io, siamo noi. E non ci risparmieremo. Se li meriteremo davvero, arriveranno ottimi risultati dall’umiltà assoluta”.
Ci saranno i classici dello chef, come l’intramontabile millefoglie di foie gras e anguilla o le cocochas di baccalà, accanto a un’offerta più democratica. “Non capirei un marchio di abbigliamento che non proponesse linee distinte per tessuti e prezzi. Sarebbe molto ingiusto dedicarsi solo al lusso e non trasmettere 48 anni di bagaglio gastronomico ad altri format. Penso a un ragazzo di vent’anni, un universitario che magari può spendere 20 euro a settimana, tuttavia merita cura e potrebbe diventare un futuro cliente degli altri ristoranti. Ma anche a un anziano, che ha già fatto abbastanza per noi. Dare una mano nelle cucine dei pensionati o delle scuole, disinteressatamente, mi piacerebbe moltissimo”.
“La mia generazione viene da un’epoca in cui non c’erano scuole né altro. I gourmet passavano per vedere cosa accadesse negli altri paesi e siamo stati capaci di attirare un turismo gastronomico, che nessuno si sarebbe sognato. Bisogna andare avanti, con forza e tenacia, coniugando la professionalità dei senior con la freschezza della migliore generazione di sempre, i nostri giovani. Sarebbe ingiusto dire che solo in passato si sono fatte cose davvero importanti. È stata la semina dell’odierna età dell’oro. C’erano cuochi divini: Joan, Santi, Ferran… Ma nessuno deve dubitare che il presente e il futuro della cucina spagnola siano assicurati. Il meglio deve ancora venire e bisogna dirlo senza paura, pigrizia o vergogna”.
“La generazione migliore è quella dei giovani. Bisogna insegnare loro il cammino della passione, l’anticonformismo. Dobbiamo tenerceli stretti, costruendo un paese migliore. E se falliranno, la colpa sarà nostra. Non ho mai visto gente simile, avrei voluto avere un centesimo delle loro qualità. Sanno tantissime cose, hanno fame, freschezza, formazione. E la generazione successiva sarà ancora migliore, è sempre stato così. Io stesso mi sento un eterno apprendista, insegno ma nello stesso tempo imparo moltissimo. Nel mondo bisogna ascoltare di più i giovani”.
Fonte: Esquire
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