La parabola di Sergi Arola, da Ferran Adrià a un tapas bar in Cile, passando per l’impero gastronomico internazionale e un debito milionario. “A 55 anni non possiedo nulla, ma il Cile mi ha dato un futuro”.
La storia
Avevamo lasciato Sergi Arola sotto il flash dei fotografi sul palcoscenico fiammante dell’alta cucina nella sua età dell’oro, acclamato chef del ristorante due stelle che portava il suo nome a Madrid, alla testa di un impero internazionale di quattordici esercizi. Lo ritroviamo ai fornelli (sì, ai fornelli) di un ristorante di tapas tradizionali, Lola Tapas Bar a San Francisco de Mostazal, Cile. Nel paese sudamericano lo chef aveva messo piede per la prima volta dopo la grande crisi del 2008, su invito dell’Hotel Ritz Carlton di Santiago; poi tanti viaggi di lavoro e un legame sempre più stretto, fino al matrimonio con un’infermiera cilena e al trasferimento definitivo nel 2021, con il progetto di ritirarsi un giorno non troppo lontano proprio qui, in qualche angolo sperduto.La Barcellona preolimpica, rimpiange lo chef, era più autentica di quella odierna, seppur meno mediatica. “Allora eravamo politicamente scorretti, ma ci divertivamo”, racconta il discepolo di Ferran Adrià. “Volevamo combattere il sistema. Poi è andata come sempre. I ribelli sono diventati nomenclatura e hanno stabilito una specie di dittatura della creatività”. Qualcuno, tuttavia, prosegue sullo stesso sentiero. “Credo esista un momento in cui se capisci di non essere all’altezza, ti fai da parte e ti rallegri del successo dei tuoi amici”.
La grande crisi gli ha lasciato sul groppone quasi un milione di euro di debiti. “Ma è un argomento di cui si occupano gli avvocati, c’è un processo in itinere. A 55 anni non possiedo nulla. Dopo essere stato quello che sono stato, comprese molte cose che non mi vengono riconosciute, mi chiedo perché le ho fatte”. Dopo la chiusura del due stelle nel 2016 e lo scioglimento della società con l’ex moglie Sara Fort, è sopravvissuta solo un’attività in Portogallo, la consulenza sul LAB by Sergi Arola presso il resort Penha Longa a Sintra.
“C’è una parte della vita che ho già vissuto, me la sono passata alla grande, ma non ho nessuna intenzione di vivere sotto la dittatura delle stelle Michelin e dei congressi gastronomici. Sono super riconoscente, ma non mi soddisfa più. Avevo sempre cercato di modernizzare le tapas e a un certo punto mi sono chiesto: perché invece non eseguirle alla perfezione?”. Ed ecco Lola, locale canonico con bancone e sgabelli, dove su sottofondo rock vanno in scena patatas bravas, tortillas e salumi iberici, senza niente di locale. L’atmosfera, vagheggia Arola, è quella dei bar dove andava con gli amici da ragazzo.
“Il Cile ha qualcosa di straordinario, che mi ricorda la Spagna prima dell’ingresso in Europa. I paesini non sono disabitati, ma posti che producono; ci sono contadini, allevatori, pescatori artigianali. È tutto molto reale”, dice raccontando che qui rivive situazioni della sua infanzia, come andare in latteria o assaggiare con un pescatore i molluschi appena catturati. E la biodiversità, considerata l’estensione, è sterminata, con potenzialità enormi per la gastronomia, se solo qualcuno ci credesse fino in fondo. “Questo è il paese che mi ha dato un futuro”, dice senza rimpianti.
Fonte: El Pais
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Foto: @Lola Tapas Bar