Chef

Ferran Adrià: “Chi si improvvisa ristoratore chiude in meno di 5 anni”

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina ferran adria 1

A due mesi dall’apertura del museo di elBulli a Cala Montjoi, Ferran Adrià riflette a ruota libera sul concetto di creatività. Il tema del momento? I modelli di business. L’intelligenza artificiale? “Vedremo cose incredibili, che però già esistono. A fare le rivoluzioni saremo ancora noi umani”.

L'opinione

Dimenticate per un attimo i segreti per chiarificare un consommé: secondo Ferran Adrià, la prima cosa che dovrebbe studiare chi si iscrive a una scuola di cucina, sono i numeri e la gestione. Uno studio svolto in Spagna sostiene che il 50% dei ristoranti di qualsiasi tipo non superi i 5 anni. Succede perché molta gente quando apre, non sa cosa stia facendo. Quelli che offrono qualità, vantano una buona gestione e un approccio innovativo, possono contare sul 90% delle possibilità di farcela. Qualità, buona gestione e apertura ai cambiamenti”.


“Parlare di ristorazione, ristoranti e bar è qualcosa di piuttosto generico. Ma generalizzare una situazione non è mai bene. I target sono molti e bisogna seguirli. L’importante è conoscere le proprie origini, contestualizzarle e codificarle. Per 400 anni la cucina francese ha tirato la volata della creatività. Verso la metà degli anni ’90 in Spagna, riunendo due o tre generazioni, fummo capaci di compiere una rivoluzione che ha influenzato tutto il mondo. Ma oggigiorno la creatività è universale. Non ha più senso parlare di paesi. Esattamente come succede in architettura, dove si fanno nomi e cognomi. Ci sono nazioni che vantano una cucina tradizionale molto importante e hanno ancora un certo potere. Succede quando la cucina tradizionale e quella creativa sono molto buone, cosicché si crea un dialogo fra di loro. Ma in generale la creatività è planetaria: né nordica né latinoamericana, né spagnola né francese. Appartiene a tutto il mondo”.

@Ben Hidler



La creatività va collegata a un’attitudine. Nel mio caso, in cima alla piramide gastronomica, si trattava di sfidare i limiti dell’esperienza gastronomica. Quindi mi sono domandato il motivo di tutto. Cosa fosse la cucina, come fosse iniziata, il dialogo possibile con la sala, come dovesse essere un ristorante. Il mio posizionamento è stato mettere in questione me stesso e tutto il resto. Così abbiamo superato una cucina di repertorio in cui si eseguono ricette, senza pensare. Ma a livello medio alto restano quelli che propongono una ‘creatività amabile’, gradita alla maggior parte delle persone. Per non parlare dell’uomo della strada. Solo quattro pazzi si dedicano a esplorare i limiti, in modo che i più possano avanzare”.

@Juan Moya



Il problema nel valutare la creatività, ammonisce lo chef catalano, è la mancanza di memoria storica di chi giudica e magari non può sapere se qualcosa è già stato fatto, per esempio il suo menu lungo. Esistono piccole imprese, come elBulli, che sono capaci di innovazioni molto radicali e possono persino cambiare il paradigma di un settore. Ma saranno sette o otto a livello mondiale. Più che ristoranti o luoghi dove mangiare, sono istituti di sperimentazione. Nella cucina creativa, poi, ci sono luoghi buoni, ordinari e cattivi. È come andare per la prima volta in Giappone, molti occidentali restano scioccati dal cibo, perché non hanno i riferimenti per capire. Nella cucina creativa dipende dal bagaglio e dall’esperienza, quindi bisogna giudicare il livello creativo, prima del gradimento. Il tema del gusto è più personale”.


Caviale, Chef Ferran Adrià



In Spagna e in Europa si sta ponendo il tema dei modelli di business nella ristorazione. Ci sono diversi fattori; uno è il rialzo dei prezzi dovuto all’inflazione, l’altro la forte pressione fiscale, che induce a ripensamenti. Non esiste una formula unica, ma ogni posto dovrà chiedersi come andare avanti, a seconda del luogo in cui si trova. Poi bisogna conciliare, nel senso che i giovani cercano impiego nei ristoranti di qualità, ma vogliono lavorare otto ore e avere una vita simile a quella degli altri. E sono d’accordo. Ma non so cosa potrebbe accadere, nel senso che tutto quello che le generazioni precedenti hanno fatto a livello creativo, si è basato molto sullo sforzo. Un ristorante è una piccola impresa e senza sforzo, mi sfugge l’enfasi sulla creatività. Fare un dipartimento di ricerca e sviluppo è molto costoso. Ma quello che sta succedendo, non ha precedenti. Mi sembra positivo che si lotti per la normalità: in Spagna la maggior parte delle professioni lavora otto ore”.

Crediti Vanessa Gomez



Sicuramente nel campo della ‘creatività amabile’ l’intelligenza artificiale farà grandi cose. Non mi è chiaro se ne sarà capace ai massimi livelli, creando cose che non esistono. Alla fine, la creazione è qualcosa che non esiste e mi sembra che si banalizzi la capacità creativa dell’intelligenza artificiale, che agisce per via combinatoria. Vedremo cose incredibili, che però già esistono. Non credo che sarà capace di rivoluzioni, quelle per i prossimi dieci o quindici anni le faremo ancora noi esseri umani”.

Ferran Adrià
“A livello di prodotti, concetti o strumenti non ho visto stravolgimenti. Negli ultimi quindici anni la principale innovazione è stata l’introduzione di cucine tradizionali come la messicana, la peruviana, la giapponese e la coreana, provenienti da civiltà di forte sviluppo gastronomico. Nel mondo non c’è mai stata una simile qualità creativa. Dipende dal fatto che oggi i giovani sono molto più formati, parlano le lingue, viaggiano sul web e vi possono reperire il 99% delle informazioni. Quello che differenzia una persona dall’altra è la capacità di convertirle in conoscenza”.

Fonte: La Nacion

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Foto di Copertina @Pal Hansen

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