Non ha ripensamenti Daniel Humm, che rivoluzionando il suo tre stelle in chiave vegana ha ritrovato la gioia della cucina ed è stato consacrato da Michelin quale stella polare per i giovani chef. “Grazie al covid e al focus su un unico ristorante, sono tornato in cucina e finalmente mi sento felice”.
La notizia
“L’undici è sicuramente il mio numero. Mi ricorda che c’è sempre una nuova porta da aprire, non conta quanto possa sembrare impossibile”, fantastica Daniel Humm, che nel 2011 ha ottenuto per la prima volta tre stelle e undici anni dopo ha rivoluzionato la proposta di Eleven Madison Park in chiave vegana. “Non avrei mai pensato che avremmo ottenuto le tre stelle, mai in un milione di anni. Credevo fosse impossibile. Poi ho iniziato a riflettere su quella cifra”, prosegue senza nascondere la soddisfazione per la riconferma.
“Creare qualcosa che nessuno abbia mai fatto prima è incredibile e non so quando mi potrebbe ricapitare una simile occasione in futuro. Eccitarsi così dopo tanti anni è la sorpresa più grande. L’energia e la motivazione qui sono elettriche. Onestamente, quando ero considerato il numero uno del mondo, non c’era premio che non ricevessi. Ma non ero felice, perché mi sentivo spinto in così tante direzioni differenti. Tutti mi chiedevano di aprire ristoranti in posti diversi. Troppe cose mi distraevano dal lavoro che volevo veramente fare. Quando la pandemia ha colpito, il mio mondo è tornato la cucina. Ho capito che il mio linguaggio era il cibo, che può suonare forte ed è pregno di significato”.
“Abbiamo nutrito persone in difficoltà, mi sono riconnesso al lavoro in modo nuovo e quando è diventato chiaro che EMP avrebbe riaperto, ho preso l’impegno con me stesso di usare questo linguaggio a fin di bene, affinché le cose cambiassero. Il nostro sistema alimentare è a pezzi, quindi come professionista mi sono sentito in dovere di parlare. Ma volevo anche creare futuro, usare la mia energia per rendere magica, bella ed eccitante la cucina vegetale, così ho deciso di cambiare tutto”.
La fama del ristorante, primo al mondo nel 2019, era dovuta a una cucina opulenta e lussuosa, tutta caviale e manzo kobe, cosicché la svolta fu accolta dagli habitué con un certo scetticismo. “Ci sono state molte controversie. Dopo il nostro annuncio, in tanti hanno pensato a una manovra mediatica. Dicevano che la dieta vegana mi stesse rovinando. È difficile essere criticati. Le persone hanno paura del cambiamento, ma penso che quando fai qualcosa che è in fondo al tuo cuore, sia sempre una vittoria. L’idea di essere il migliore cuoco del mondo mi faceva sentire vuoto. È una cosa così sciocca, visto che esistono tanti grandi chef. Mi sembrava che il nostro lavoro non meritasse un simile riconoscimento. Non credo che il momento in cui sei acclamato dalla critica, coincida necessariamente con quello in cui dai il meglio di te”.
“Mettere in carta un nuovo piatto di caviale o foie gras col tartufo nero mi annoiava. Tutte queste cose non sono più il vero lusso, sono vecchie idee. Possono essere costose, ma non rare. Non è che non siano più buone. Ma per me l’ingrediente più lussuoso è il tempo e se posso avere un’esperienza unica, disponibile in un unico luogo, è il lusso”. Dopo le stroncature iniziali, la critica sembra averlo seguito, tanto che Gwendal Poullennec, direttore internazionale delle guide Michelin, ha scritto che insieme alla sua squadra Humm sta fissando gli standard per la cucina plant-based e che oggi EMP, unico tristellato vegano del mondo, rappresenta per i giovani chef la stella polare nella traversata verso la sostenibilità.
La ricetta è originale: Humm combina tecniche di diverse parti del mondo dove il vegetale è importante, come l’India e il Giappone, di cui ha esplorato le tradizioni ospitando un monaco a New York. E si concentra su un unico locale, senza velleità imperiali. “Il nostro slogan è sempre stato ‘make it nice’, ma oggi credo sia piuttosto ‘make it matter’. Bisogna fare la differenza. È incredibile pensare che siamo ancora all’inizio del viaggio. Vado piano, in modo che ogni passo conti. Mi sento di nuovo come all’inizio della mia carriera, quando si trattava solo di creare. So che il mondo guarderà a ogni piatto che facciamo. Invece in passato il successo era tale, che non stavo più in cucina. Grazie al covid e al focus su un unico ristorante, sono rientrato e finalmente mi sento felice”.
Fonte: hauteliving.com
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Foto di copertina: © DANIEL KRIEGER, The New York Times