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Il nuovo menu di Valentino Cassanelli al Lux Lucis di Forte dei Marmi

di:
Alessandra Meldolesi
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Al terzo anno di Hotel Principe, Valentino Cassanelli declina i temi conduttori della giovane scuola italiana a modo suo: spontaneità ed eleganza, con l’accento sulle consistenze e un’estetica che ha pochi eguali in Italia.

La Storia

La storia di Valentino Cassanelli


Si è acceso nel 2012, l’interruttore del Lux Lucis di Forte dei Marmi. Ristorante gastronomico dell’Hotel Principe, fra i più belli di tutta la Versilia. A premerlo il polpastrello chirurgico di Valentino Cassanelli, chef poco più che trentenne di origini emiliane, passato per la scuola di Nobu, che gli ha trasmesso il vizio delle contaminazioni, e soprattutto Cracco-Baronetto negli anni d’oro di via Victor Hugo. Ed è stato proprio lo chef vicentino a spalancargli le porte del cinque stelle lusso, dove finalmente ha potuto fare la sua cucina. “I tre anni trascorsi a Milano sono stati formidabili. Tutti noi avevamo la facoltà di sottoporre le nostre prove a Matteo. Noi le chiamavamo ‘baronettate’, perché risistemava gli elementi sul piatto in un modo semplice e geniale, che solo lui avrebbe potuto pensare”.


Nelle file dei giovani cuochi, sulla strada spianata da Lopriore e appunto Baronetto, i due creativi puri della generazione precedente, Cassanelli si distingue per l’eleganza e per la particolare sensibilità alle testure; per l’adozione frequente di impiattati stratificati e vedo-non vedo, che replicano la sua timidezza e innescano l’effetto sorpresa, come uno spacco nel vestito o i codici violati di Roland Barthes; nonché per tecniche di elaborazione che puntano sull’evoluzione guidata degli elementi, marinature e talvolta fermentazioni in stile “auto cucina”. “Negli ultimi tre anni abbiamo guadagnato stabilità in brigata e confidenza nei nostri mezzi. Il recente trasferimento del gastronomico sulla terrazza dello sky bar, in uno spazio separato dal ristorante d’albergo, segna per noi una ripartenza”.



Con lui, in sala e in cantina, Sokol Ndreko, che mesce fuori dalle righe della sommellerie: gli piace valorizzare punti di evoluzione inconsueti di bottiglie poco blasonate. Perché anche i vini ‘quotidiani’ invecchiando possono riservare sorprese, che nessuno è abituato a roteare nel bicchiere. E sulle punte acide o sapide si muove in surplace, con l’astuzia di un ciclista, “perché i piatti sono già perfetti e il vino non deve interferire, ma regalare pulizia. Cerchiamo l’equilibrio e per raggiungerlo spesso procediamo dal più vecchio al più giovane, in cerca di una potenza crescente, contravvenendo alle regole”.



I Piatti

“Il menu autunnale è uno dei miei preferiti, perché posso contare su elementi dolci e acidi, su profumi di sottobosco e in generale su colori che trasmettono un sentimento elegiaco”, attacca Cassanelli. “Mi piace rispecchiare il territorio, che significa anche l’atmosfera malinconica di una spiaggia vuota a fine stagione, attraverso la pozzanghera viola dell’antipasto iniziale. La sequenza è costruita come una storia: dalla mareggiata iniziale, purple rain, perché il mare a volte può essere viola, all’onda lilla dello sgombro e ai resti abbandonati sulla spiaggia dello gnocco di topinambur, con l’aromaticità invernale dei semi di zucca per la sabbia e un sentimento rassicurante di quiete dopo la tempesta. Poi le proporzioni si rovesciano e la terra ha la meglio sul mare, dentro la montagna fino alla cacciagione. Nel frattempo si inanellano i colori, i gusti e le consistenze, per esempio dello sgombro con lo gnocco, o fra diverse dolcezze. Con effetti di rima”.

 

Appetizer



“Finalmente abbiamo trovato la formula giusta per gli appetizer, che serviamo in uno specchio concavo simile a quelli utilizzati anticamente nei ritratti, come una riflessione su quanto avverrà nel menu. Quindi, nell’ordine, l’ananas marinato alla colatura di alici con alici disidratate, il semifreddo alle arachidi con crosta di Parmigiano soffiata, il pomodorino virgin mary pelato e marinato nello sciroppo con timo, Tabasco, Worcestershire per 3 giorni più una foglia di shiso fritta e passata nella liquirizia; al centro il gambero spritz, biondo e tirrenico, marinato nell’Aperol con arancia candita e gelatina di Prosecco, servito sulla lattuga iceberg, osmotizzata nella soda per una trasparenza che non pregiudica il croccante”. Una specie di cocktail non cocktail di gamberi, che varia il genere dei cocktail testurizzati. La prima avvisaglia di una passione per le marinature destinata a ricorrere nel pasto. “I tempi variano da 3 giorni a una settimana: mi piace lasciare che l’elemento si evolva e coglierlo nel momento più opportuno. Come col cavolo viola, che lascio fermentare per 5 giorni, in modo che il frizzante e l’acidità non prevarichino, né si perda la testura”. A seguire le chips di muffins di verdure come aperitivo croccante: broccolo, patata e barbabietola.

In abbinamento Aperilux, composto di Petit Beaufort addizionato al tavolo di polvere di liquirizia, olio essenziale di limone ed essenza di assenzio spruzzata da lontano per un’ulteriore freschezza. Un cocktail ma gastronomico e non troppo impegnativo, che non sconvolge la struttura del vino.

 

Purple rain: capasanta, cavolo viola, uva fragola




“Navigando sul mare color del vino verso genti straniere”, scrive Omero. E il mare viola è il protagonista del primo antipasto: “Una quasi monografia sul cavolo, con l’uva fragola e la capasanta. Sotto una pennellata di centrifugato ridotto, poi il cavolo fermentato per 5 giorni sottovuoto in una soluzione di sale e scorza di lime, la capasanta cruda marinata per 6 ore nel centrifugato non ridotto e il sorbetto di uva fragola; al tavolo il brodo di cavolo preparato classicamente, con il ghiaccio e poi a bassa temperatura per 1 ora. In finitura la foglia essiccata, come se fosse caduta da un albero. Mi piaceva l’idea della pozzanghera che si forma alla fine, nelle tonalità stagionali. A inizio pasto, la classicità di un brodo caldo unita all’usanza del crudo”. Dolcezza e mineralità, con un ricordo di choucroute di pesce.

In abbinamento Bibi Graetz Bugia 2006, un ansonica scelto per la sua sapidità, ammorbidita dall’annata.

 

Sgombro al profumo di caffè con crema di lumache e mela cotogna



Il colore viola è il trait-d’union con l’antipasto successivo, sicuramente il piatto del giorno, binario come certi capolavori di Matteo Baronetto. Non si può escludere che una piccola parte di caffeina passi nella polpa del pesce, ricca di acqua, data la cottura a contatto con i chicchi. Ne risulta dinamizzata e agilizzata. “Passo il filetto per 20 minuti in sale e zucchero, per compattarlo e per scongiurare eventuali problemi sanitari, perché io abbatto solo il pesce che servo crudo. Poi lo stendo sul caffè scaldato in una pentola, adagiandolo sulla pelle, incoperchio e faccio andare per 4 minuti a fuoco moderato, perché non voglio sentori affumicati, piuttosto tostati, e la pelle in questo modo resta argentata. Sul piatto c’è anche una panna cotta di lumache brasate con zenzero e sedano e una piccola parte di mascarpone fatto da noi, la cui consistenza ricorda il pesce: quel sodo che si scioglie in bocca; anche le tonalità di grigio sono similari. Da una parte il gusto terroso della lumaca, dall’altra quello torrefatto del pesce. Con qualche goccia di centrifugato di mela cotogna cruda per la dolcezza, l’acidità e l’astringenza, che sgrassano. La cialda di patata, cotta in acqua e aceto, frullata, stesa, essiccata e fritta, non rappresenta una decorazione: è piuttosto il filo conduttore del piatto, per il croccante che ritma la degustazione e per l’acidità”.

In abbinamento Venica Pinot bianco 2007, per aggiungere morbidezza e velluto alla ricchezza del piatto, in un crescendo di struttura e complessità.

 

Triglia al pino marittimo con alghe e mare



Un piccolo classico del Lux Lucis, fuori programma. “È il piatto che meglio rappresenta questo territorio, stretto fra la pineta e il mare. La triglia viene passata in sale e zucchero di canna per 30 minuti, poi marinata in un olio alla resina di pino che trasforma ulteriormente la testura. La cuocio a 42 °C e la servo con polvere di pinoli e di alga wakame, aghi di pino bruciati e alghe candite”.

In abbinamento Terenzuola Fosso di Corsano 2008, un vermentino d’altura surmaturo, complesso, sapido e minerale, con note di idrocarburi. Anche qui mare e montagna.

 

Dopo la mareggiata: gnocchi di topinambur, arselle e semi di zucca



“Una portata di riposo, come l’adagio in una sinfonia. Lo gnocco è preparato con metà patate e metà topinambur, cotti sotto sale per evitare l’aggiunta di farina. Sul piatto con arselle e salicornia sbollentata, simile a rami spezzati, semi di zucca in polvere per la sabbia (fra le firme di Paolo Lopriore), schiuma di pepe per la freschezza e una gelatina di pepe bianco, pepe nero, lemon grass e colatura di alici”.

In abbinamento Theresianer lager e yuzu, per riprendere visivamente la schiuma sul piatto e quella del mare; la lager per la delicatezza e lo yuzu per l’acidità salata che riporta sulla spiaggia.

 

Ombrina al mandarino affumicato, bietola e tartufo bianco



“A parte le capesante, che sono francesi, uso solo pesce tirrenico e toscano. In questo caso un’ombrina della Capraia leggermente marinata ai mandarini affumicati. Si tratta di frutti acerbi, tagliati a metà e messi ad affumicare con la buccia sul fondo insieme al rosmarino. Nel loro succo, dai sentori resinosi e balsamici, il pesce riposa per 3 giorni e poi cuoce poché; lo uso anche per lessare le coste di bieta, mentre le foglie formano una crema molto ferrosa e terragna. Sul piatto con miso rosso essiccato e tartufo bianco di San Miniato. Nel racconto del menu, la terra che si rimescola al mare”.

In abbinamento Vie di Romans Flor di Uis 2010. Perché dopo la mareggiata tutto è sottosopra: occorre un vino complesso e strutturato, maturo ma ancora potente.

 

Insalatina di senape e tendini di manzo con liquirizia e acciughe



“Ancora un po’ di mare, ma le proporzioni con la terra si invertono. I tendini non sono altro che i nervetti, lasciati nel latte per perdere l’eccesso di vischiosità e rosolati in padella. Sono nappati con un jus di vitello alla liquirizia, che sgrassa la collosità con l’amaro e il balsamico; più la senape in grani, i capperi essiccati croccanti, l’acciuga in polvere e le lische con la testa fritte, l’insalata riccia per la freschezza, l’acquosità e l’amaro leggero. Un’idea di insalata di nervetti, ma senza le verdure sottaceto e a una diversa temperatura di servizio”.

In abbinamento Sawanotsuru Sakè, per il lato floreale e la morbidezza. Viene servito freddo in modo da non prevaricare il piatto con un’eccessiva persistenza.

 

Costoletta di maiale cotta nel latte con carota al pepe di sichuan



“Un’altra portata di riposo, al 100% di terra. La costoletta è cotta dolcemente nel latte, morbida, rassicurante, uterina, come quelle di mia mamma e di mia nonna. Sul piatto con una carota leggermente disidratata al pepe di Sichuan, che assorbe gusto e condimento, e il suo sugo. Più il crunch della pelle di latte disidratata”.

In abbinamento Borgo San Daniele Arbis blanc 2006, per i profumi di latte e di burro che riecheggiano quelli del piatto. Un amore a prima vista.

 

Linguine allo zenzero con cacao e testina di vitello



L’altro classico del Lux Lucis: il lampo di un sorriso sulle garniture dei francesi. “Sotto le linguine c’è una fetta di testina cotta nel court-bouillon, bella fondente, con una consistenza che riecheggia il nervetto. La mia idea era quella di variare aglio, olio e peperoncino cuocendo la pasta nel centrifugato di zenzero. In finitura aggiungo il gruè di cacao per il croccante e l’amaro e i germogli di ravanello per un’altra nota piccante”.

In abbinamento Ronchi di Cialla Schioppettino 2004. Un vitigno autoctono e un vino maturo, morbido e strutturato, rosso ma con l’eleganza di un bianco, fresco e profumato.

 

Germano reale alla melagrana con mais e olive nere



“Il petto di germano, spennellato di jus e riduzione di melagrana, è cotto all’unilaterale sulla pelle, con l’ala ancora attaccata al petto, mentre la coscia viene brasata a parte nel jus, poi nappata di pop corn. La salsa è una crema dolce di mais, con la guarnizione di una pralina gelatinata di fegati e cuore e una riduzione di melagrana per la dolcezza e l’acidità. Completano il piatto le olive taggiasche, essiccate e montate con il loro olio per un sentore amarognolo e vegetale che è anche tradizione”.

In abbinamento Poggio di sotto Brunello di Montalcino 1999. Il gran finale: l’importanza del piatto chiama un vino persistente e complesso, soprattutto elegante, capace di moltiplicare i profumi.

 

Autunno: zucca, cioccolato e porcini



“Dopo il refresh di kiwi, fichi d’India e castagne al vapore, il dessert si compone di zucca asciugata al forno e montata al cioccolato bianco, come una maionese, con la consistenza ariosa di un’emulsione, crumble di cioccolato, gelato ai porcini, riduzione di Chartreuse per la balsamicità e una foglia di zucchero e buccia di zucca essiccata”.

In abbinamento Marco Bianco Moscato d’Asti Canè 1999. Quasi una provocazione: il dolce non dolce richiede un partner delicato, servito nella coppa Asti per chiudere il cerchio con l’aperitivo. Le vigne vecchie danno grande sostanza, con una leggera effervescenza che si percepisce solo a tratti. Un vino a tutto tondo, che invecchiando guadagna complessità mentre conserva la giusta acidità.

Tutte le fotografie sono di Lido Vannucchi

 

Indirizzo

Ristorante Lux Lucis presso Hotel Principe Forte dei Marmi

Viale Amm. Morin 67 - 55042 Forte dei Marmi (LU)

Tel. +39 0584 783636

Mail: luxlucis@principefortedeimarmi.com

Il sito web del ristorante Lux Lucis

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