Valentino Cassanelli e Sokol Ndreko incassano i dividendi di un anno zeppo di successi: un Lux Lucis nuovo di zecca, incentrato su una cucina fiammante. E le Apuane non sono mai sembrate così belle.
Il Ristorante
Ristorante Lux Lucis
Hanno appena girato l’interruttore del nuovo Lux Lucis, Valentino Cassanelli e Sokol Ndreko, reduci da un anno magico, che ha finalmente colmato ritardi imperdonabili. È iniziato con il doppio riconoscimento a Sokol Ndreko, migliore sommelier italiano per i BIWA e maître dell'anno per l’Espresso, ed è culminato nella stella Michelin, passando per il titolo di Campari Barman of the year assegnato ad Alessandro Pitanti, che ha poi scelto la strada delle consulenze; ma un premio spetterebbe anche alla direttrice Cristina Vascellari, testarda e illuminata.
Il clic ha accarezzato un locale tutto nuovo, compiuto nei minimi dettagli dopo il trasferimento all’ultimo piano dell’Hotel Principe, per la separazione dal ristorante d’albergo, e l’allestimento di una cucina di transizione. Adesso vi fiammeggia una De Manincor disegnata da Cassanelli, con un tavolo dello chef dove i piatti verranno serviti direttamente dai cuochi; mentre la cantina è stata approfondita nel tempo, con parziale esposizione in vetrina, e la carta è stata ampliata di 2 piatti per categoria, oltre ai menu Un tuffo nel territorio (75 euro), Sintesi (60 euro) e La contemporaneità della cucina (95 euro), passibili di abbinamenti a 50, 35 e 65 euro.
“Per me è qualcosa di nuovo: incontrare il cliente all’inizio e non alla fine rappresenta una diversa accoglienza, più utile per entrambi. Anche se l’errore non è concesso data la totale apertura”, commenta Cassanelli. Neppure la vista double face, sulle Alpi Apuane e sulla costa, a volo d’aquila sopra la pineta, è mai sembrata così bella dalla vetrata sulla terrazza: un paesaggio paradossale, che non somiglia a nessun altro. Sembra quasi che sia nuovo anche lui.
E la cucina segue, in rinnovamento sulla scia della scorsa stagione, nonostante la possibile rendita stilistica dopo i riconoscimenti incassati. Nei piatti l’estetica cede sempre più alla semplicità, per un tasso di eleganza invariato. La tecnica prediletta resta la marinatura, che vuol dire passarelle di corda fra ingredienti e testure immaginarie, sulle orme di Nobu, maestro di Cassanelli insieme al tandem Cracco-Baronetto. Mentre è sempre più forte la simbiosi con Sokol Ndreko, uno degli uomini di sala più garbati, puntuali e anticonformisti d’Italia, rara avis nei nidi dei giovani chef. “Ciò che mi preme far trasparire è il viaggio: la materia che parte dal Forte, si tratti di agnello, sgombri o scampi, e percorre il mio stesso percorso, toccando il tamarindo o l’aglio nero, perché ho il male del viaggiatore. Appena posso parto, visito mercati e ristoranti tipici, per carpire qualche tecnica o accostamento popolare: voglio far vivere una serata in movimento, restando fermi al tavolo. Qui e altrove”.
I Piatti
Il menu si articola per opposizioni, anche fra dominanti, con qualche anello di passaggio. Si comincia con il flash-back degli appetizer, che ripercorrono un lustro di storia: il pomodorino virgin mary del 2012, la triglia al pino marittimo, alghe e pinoli del 2013, la carota in infusione prolungata di pepe di Sichuan e Balsamico, strappata dal maiale al latte del 2014, lo sgombro al caffè con cialda di patata viola, crema di lumache e mela cotogna fermentata del 2015, il gambero del Tirreno con ceviche di mango e nervetto soffiato dello scorso anno. Si gustano con lo Smilzo di Vittorio Graziano, grasparossa prodotto secondo il metodo ancestrale dalla bollicina finissima, acido e sapido.
Per benvenuto la perla nella cozza, esempio di ironia per via di enfasi nello scambio di mitile e ostrica, nobile e plebeo, ancor più efficace grazie al food design. Il mollusco è passato nella farina di farro della Garfagnana, che lo asciuga; ma la corretta idratazione è ristabilita dalla finta perla in burro di cacao alla menta contenente acqua di cozza, centrifugato di cetrioli, peperoncino e zenzero che esplode in bocca. In abbinamento Sokol ha scelto un Pecorino 2014 Torre dei Beati, per la sfericità e i profumi di campo.
Segue un’altra metamorfosi marina: il Bianco e nero di scampi, piatto molto complesso costruito sullo sdoppiamento. Da una parte il crostino con scampo crudo, cipolla sotto sale, pomodoro e velo delle chele addensato all’albume, che simula una sfoglia di seppia, più il succo di cipolla ridotto per la salsa; dall’altra il brodo nella tazza spolverizzata di cenere di cipolla, con la bisque delle teste e l’acqua di pomodoro al pepe sancho, in cui immergere i solidi. Gli stessi ingredienti familiari, trasportati dai gesti a Oriente.
L’acidità la fa da padrona nei maccheroncini Martelli, interamente risottati nel Karkadè di hibiscus aromatizzato al timo per il balsamico, più un tocco comfort di pepe e Parmigiano, poi sormontati da un filetto di anguilla cotta sottovuoto e abbrustolita, sontuosa nella sua succulenza. “Uso esemplari di Comacchio da 1,6-1,8 kg, per la giusta grassezza, che vengono marinati in colatura, limone, timo e Balsamico”.
Segue un piatto a dominante sapida: la ricciola cotta all’unilaterale, come un salmone, con triplice guarnizione verde. “Volevo un pesce magro, da servire nella sua integrità esaltando la sensazione marina. Ho cercato il vegetale della primavera: quindi la crema di friggitelli un po’ amari, la salsa di salicornia e friggitelli estratti a crudo, il friggitello ripieno di crema di cannolicchi montati all’olio con olive verdi e asparagi di mare, per spingere la sensazione marina. Il tutto sotto un velo di peperoncino jalapeño”. Iodio e clorofilla, qui e altrove. Su entrambi i piatti si beve I Clivi Galea 2011, maturo e complesso, delicato e deciso.
L’intermezzo, per una volta, non punta sull’acidità ma è un vero entremets a base di uova: si tratta di chawanmushi, royale giapponese agli albumi, quindi più gelatinosa, composta di brodo di capperi con infusione di galanga, servita con crema di piselli alla base, estrazione degli stessi a crudo in superficie, foglie di capperi e una puntina di tuorlo marinato al rosmarino col suo fiore.
Il piatto del giorno però è il cuore della macelleria Masoni, carne sorprendentemente erbacea che sembra comprendere nel suo morso l’accompagnamento vegetale. La frattaglia viene marinata per due giorni sottovuoto con salsa tamari e sale grosso, poi appesa in cella per un giorno a fini di microstagionatura. Il “lingotto” che ne fuoriesce è affettato e condito con un’emulsione di chinotto e Seedlip, distillato analcolico di erbe, poi servito con raperonzoli giustamente astringenti, conditi con una salsa di chinotto e limone. Gli stessi ingredienti si ritrovano nel cocktail di accompagnamento alla vodka. “Trovo interessante la consistenza apparentemente tenace, in realtà fondente del cuore, che in questo modo assorbe perfettamente il condimento senza mutare aspetto. Ho un quaderno su cui annoto tutte le marinature, acide e saline, solide o liquide, procedendo per via empirica”.
Segue un altro primo: il risotto cotto in brodo di pancia di maiale con aceto di riso in mantecatura, servito con cavolo rosso condito con olio al tabacco, per un graffio leggero, cotenna soffiata per il croccante e una grattata di burro di arachidi congelato, che sciogliendosi sprigiona i suoi profumi quasi di arrosto, mentre rilascia una sensazione calda e grassa sulla fine della lingua. Suino e crucifere, secondo la tradizione di campagna. Complice nel bicchiere è Le Trame Le Boncie 2013, sangiovese toscano di Castelnuovo Berardenga dalla mineralità rocciosa ed ematica, animale di cuoio e fruttato di mirtilli, acidulo e astringente.
L’agnello da latte della Garfagnana è marinato con gli odori di sempre, aglio, rosmarino e timo, come si fa a Massa prima della preparazione sul testo, poi viene cotto a 62 °C per 12 ore e finito sul barbecue a carbone di legna. Viene glassato con un jus acidulo al tamarindo, che trasporta in Tailandia; mentre la melanzana in stile baba ganush, il caviale tunisino, è ricostruita con la polpa cotta nel burro di acciughe e la polvere di ortaggi bruciati; più qualche puntina di yogurt all’olio di sesamo per l’acidità. Accompagnano il piatto il toast di pane marocco di Montignoso, per una tradizione in viaggio, e la Barbera d’Alba Conterno 2013, fruttata, speziata e morbida di alcol. “Un monumento di pulizia”.
Come formaggio a fine pasto arriva una scaglia al naturale di Parmigiano Reggiano Gennari 90 mesi, per nulla piccante, le cui nitide sensazioni di sottobosco sono enfatizzate dal tartufo nero fresco grattugiato, più un giro di caramello salato e un ravanello marinato in yuzu e lime.
Poi il predessert di crema di mais fresco crudo all’acqua con sorbetto di amarena, meringa acidula alla china di limone e polvere di limone, sul modello popolare della pasticceria gialla all’uvetta.
Il menu si chiude circolarmente su un principio: quello dell’aglio e olio, ironizzando sulla spaghettata di mezzanotte. Quindi il gelato all’aglio sbianchito 6 volte, il lemon curd (“perché mi piace grattugiare sulla pasta la scorza di limone come elemento rinfrescante”), lo sciroppo al prezzemolo, il crumble all’olio e la spuma di peperoncino, per una chiusura delicatamente piccante che risveglia il palato a rischio assuefazione, più una campana bulbiforme di zucchero. Ed è ottimo il Bordelet Poire Granit 2014, sidro di pera millesimato dalla bollicina finissima, morbido e fresco.
Ma ci sono anche dolci classici e cocktail serviti al posto del dessert, di cui vengono enfatizzate testure e cremosità. Per esempio Spoted 67, Sweet Russian e Stranger. La piccola pasticceria rinfresca con la frutta tropicale, servita nei gusci che avanzano dalle colazioni: si compone di caramella di melagrana nella sua carta commestibile, gelatina di pompelmo, pralina di banana, cocco e arachidi, chips di ananas e quinoa, panna cotta al passion fruit e mango fresco marinato.
Tutte le fotografie sono di Lido Vannucchi
Indirizzo
Ristorante Lux Lucis presso Hotel Principe Forte dei MarmiViale Amm. Morin 67 – 55042 Forte dei Marmi (LU)
Tel. +39 0584 783636
Mail: luxlucis@principefortedeimarmi.com
Il sito web del ristorante