Cristina Bowerman (1 stella Michelin) al ristorante Glass Hostaria di Roma: una cucina contaminata di stampo americano, dalla creatività insonne.
La Storia
La Storia di Cristina Bowerman
Ulisse cuoco? È donna e ha i capelli rosa. È stato un viaggio ininterrotto la vita di Cristina Bowerman, partita dal bar pasticceria di nonno Domenico Pitullio (erroneamente Vitulli all’anagrafe) in quel di Cerignola alla conquista di tutto e tornata finalmente in Italia nel venticinquesimo, inedito canto della sua Odissea. Al Glass Hosteria di Fabio Spada, per la precisione, conglomerato di ferri torti e lamiere corrose dalla sofisticata atmosfera post-industriale, assediato dal roman sounding arruffone, dove ha trovato la consacrazione.
“La passione per la gastronomia c’è sempre stata, anche se ha saltato una generazione e francamente non pensavo ne avrei fatto un lavoro. Piuttosto ho scelto il liceo linguistico, perché volevo fare l’interprete, e poi Giurisprudenza, che ho completato con il massimo dei voti per poi passare a lavorare in uno studio molto noto in Puglia”, racconta.
Negli Stati Uniti però la vacanza in solitario dura 15 anni, con il biglietto di ritorno accartocciato nel cestino, prima a San Francisco, poi nella California meridionale e a Austin. “Perché mi sono sentita come Alice nel paese delle meraviglie: una di loro, tanto che dopo la separazione ho voluto conservare il cognome del mio primo marito. Ho trovato una scusa per restare in un paio di corsi di perfezionamento all’università, poi mi sono organizzata, ho venduto il vendibile, ho scovato un appartamentino e un lavoretto. Ed è stato così che sono entrata per la prima volta nella cucina di un ristorante, per la precisione libanese. Per tanti anni ho lavorato come grafica, anche per la ristorazione, mentre prendevo la seconda laurea in Culinary Arts all’università di Austin, presso la scuola del Cordon Bleu. Negli Stati Uniti quello del cuoco non mi sembrava più un lavoro manuale, ma una professione, in largo anticipo sull’Italia”.
Di ritorno a Roma nel 2006, alla sua prima stagione da chef presso il Glass la cucina salpa subito verso il resto del mondo: contaminata come piace Oltreoceano, anche grazie a viaggi che continuano a nutrirla. Ma sul curriculum gli stage sono appena due, da David Bull e Angelo Troiani. Come spesso accade ai semi-autodidatti è lo studio a contare, con l’approfondimento dei fondamenti scientifici della cucina attraverso la lettura e sistematica consultazione di Harold McGee e Sandor Katz; mentre anno dopo anno l’impegno è quello di continuare a formarsi attraverso brevi corsi o stage nei migliori ristoranti del mondo. E si moltiplicano gli impegni: i locali tematici Bir & Food e Romeo, consacrato a pizza e gelateria, recentemente traslocato (senza i fratelli Roscioli) in seno all’Aventino; ma anche la carica di Presidentessa degli Ambasciatori del Gusto.
Sul piatto continua ad avvertirsi la Francia passata per Austin, nell’importanza delle salse e in particolare dei fondi, sempre presenti in linea per quanto variati e rifunzionalizzati, ma anche nella predilezione per il feticcio foie gras. Una classicità abilmente contrastata dall’infuriare delle contaminazioni globali, fra cui la cuoca scova costanti inopinate con piglio da antropologa, vedi l’esaltazione dell’umami. “Perché amo tutte le cucine e so che nessuna è superiore alle altre. Ogni popolo mangia in modo differente per ingredientistica e articolazione del pasto, eppure sussistono punti di contatto. Per questo, ad esempio, mi sono divertita ad applicare le stagionature del mole a un’icona della romanità come la coda alla vaccinara. Collaboro da anni con un’artista, Daniela Papadia, che ha creato un arazzo riproducente il genoma umano sul quale abbiamo servito i miei piatti a Rebibbia: la cucina è universalistica perché il corpo umano è sempre lo stesso”.
I Piatti
Ed è alla maniera di un romanzo di viaggio che si compongono i menu degustazione: il Vegetariano da 6 corse a 85 euro, il Tradizionale… ma non troppo che ne conta 7 a 90 e il Glass, mano libera da 9 portate a 150 euro. Mentre la carta dei vini, a cura di Fabio Spada e Riccardo Nocera, elenca oltre 1000 referenze: sono presenti tutte le regioni italiane e tutte le fasce di prezzo, dai 25 ai 700 euro, con il focus su nebbiolo, Lazio, Toscana, pinot nero di Borgogna, Champagne e riesling tedeschi, tanti naturali e una buona proiezione in verticale.L’aperitivo fa subito vorticare il mappamondo, mettendo in sequenza la pralina di pisco saur nel burro di cacao, il pane di mais arepa al caprino, il nervetto soffiato con foie gras e lamponi, per il contrasto interclassista, il falafel con tahina alla maniera israeliana, il tubero di Harald Gasser con semi di zucca e maionese al loro olio, il latte di tigre con chela di astice. Per un esordio acido che apre il rubinetto ai succhi gastrici.
Fra gli antipasti c’è la variazione di mela (sferificata, fermentata, cotta, cruda e in brodo) di varietà golden e granny smith, associata classicamente alla capasanta arrostita, con l’aggiunta di uova di trota per la sapidità e la consistenza scoppiettante, olio alle erbe e germogli piccanti sempre di Harold Gasser, come tutte le erbe.
La tartare è mista, di manzo, tonno e barbabietola, sul filo della similitudine. Viene servita praticamente senza sale (appena qualche cristallo dell’isola di Ré) con una salsa di alga spirulina a riequilibrare la sapidità, rucola selvatica per il piccante ripreso dalla spruzzata di olio essenziale di zenzero e un uovo di quaglia, quale “mocking” della tartare classica.
Il piccione, con la coscetta a bassa temperatura e il petto appena spadellato, per evitare la nota fegatosa, viene servito con ostriche italiane dalla sapidità spiccata, leggermente scottate e in salsa, una foglia di erba ostrica, bieta o cicoria per il vegetale.
I primi non escludono le paste secche, condite secondo accostamenti più italiani in ossequio alla nostra tradizione. “Ed è l’unico ingrediente che non contamino per una forma di rispetto”. Ma c’è anche la bagna cauda classica, preparata con l’aglio nero fermentato per una bomba di umami, servita con gnocchetti di patate dalla consistenza chewy, pomodori confit, edemame o fagiolini giapponesi, ricci di mare sulla cremosità e tartufo pronto a incastrarsi nel naso.
Oppure l’orzotto, portato a cottura con un brodo di scampi non ridotto, mantecato con un goccio di aceto di mele e pasta stracotta frullata, in stile Scabin, per l’amido e ulteriore sapore. Verticalizzato, nasconde pomodori verdi fritti e scampi, mentre in superficie l’acidità delle fragoline riequilibra la tendenza dolce.
“Sono la donna dei tre”, dice la Bowerman, propensa a togliere anziché aggiungere. Vedi il merluzzo carbonaro con salsa allo shiro miso, più delicato perché a base di riso, fiocchi di katsuobushi e arancia. Ancora una volta sotto il segno dell’umami.
Oppure il capocollo di maiale iberico, cotto sottovuoto e finito sul fry top, servito con una salsa di pistacchi cotti nel dashi, come si usa ancora una volta Oltreoceano per esaltare la sinergia grasso-umami, e una punta di kumquat nero fermentato per il contrasto al tempo stesso dolce e aspro.
È squisito il predessert di foie gras, ispirato al vecchio torcione di Angelo Troiani, marinato in rum, sale e zucchero, poi lasciato stagionare a crudo per 3 settimane in modo da spingere l’umami, infine grattugiato alla maniera di Ferran Adrià e passato nell’azoto per la consistenza e lo chaud/froid. È abbinato ad animelle spadellate, secondo l’usanza classica della frattaglia dopo i secondi, e visciole all’Armagnac di Fabio Stivale, che sgrassano per via alcolica.
Per dessert ci sono la carrot cake, torta prediletta della Bowerman, con gelato al pepe lungo, cremoso di cioccolato bianco per la dolcezza e il caffè nell’impasto, a esaltare la terrosità. Oppure, più classica, la panna cotta all’anice con mousse di lampone, caviale di lime sferificato, menta glassata, biscotto e cialda di zucchero al lampone.
Tutte le fotografie sono di Niko Boi
Indirizzo
Ristorante Glass HostariaVicolo del Cinque, n 58 - 00153 Roma, Italy
Tel. +39 06 58335903
Mail infoglass@libero.it
Il sito web del ristorante