Il cuoco di Piazza Duomo ad Alba che ha portato le Langhe nell’empireo gastronomico, punta sui prodotti del suo ormai leggendario orto, ma è anche un cantore di un territorio che non è il suo (lui brianzolo) ma conosce e ama come un figlio, E ora c’è anche Studio+
Cinquantuno, orto che parla. E’ il numero di ortaggi – uno più uno meno – che militano in quella che è l’insalata più celebre dell’alta cucina italiana, la 21… 31… 41… 51…, piatto manifesto di Piazza Duomo di chef Enrico Crippa, che dentro ci mette ogni giorno cose diverse. Dipende da che cosa ha elargito quel giorno l’orto padre di tutti gli orti di chef italiani, tre ettari all’aperto più cinquecento metri quadri di serre nella tenuta Monsordo-Bernardina dei Ceretto, grande famiglia del Barolo.


Qualche anno fa ero in visita a quell’orto, era una giornata di inverno, si tremava dal freddo, vidi un furgone bianco arrivare di corsa, parcheggiare. Ne scese un Crippa concentrato che non rispose al mio saluto, prese a girare febbrile per la serra in cerca di qualche pianta che gli parlasse e gli dicesse: prendi me, sono pronta.
Lo chef e il ristorante

Si può raccontare Crippa, classe 1971 da Carate, brianzolo di nebbia e ferro, in tanti modi diversi. Come l’elfo della cucina italiana, con la sua anima magra tenuta in piedi dal tanto elucubrare e dalle tante cose da fare (ogni giorno una diversa, ogni giorno una nuova). Come uno dei più brillanti allievi di Gualtiero Marchesi, ma el gran milanès scomparso al tramonto del 2017 ha più figli che piatti a sentire in giro, e quindi meglio lasciar perdere. Come lo “straniero” che ha portato le Langhe al livello che merita a livello gastronomico, perché una terra di grandi vini non va da nessuna parte se non c’è del gran cibo. Come l’uomo che ha iniziato per primo a parlare di cucina vegetale e non vegetariana, ispirandosi al verbo di Michel Bras, e quindi fabbricandosi l’orto di cui sopra che cura e fa curare come un figlio e malgrado ciò si cruccia perché non riesce a trarne il cento per cento degli ingredienti vegetali per la sua cucina, accidenti (ma il 95 per cento sì).

Il ristorante Piazza Duomo si trova al centro di Alba, sopra a una piola magnifica che ha il solo guaio di essere oscurata dal ristorante fine dining, tre stelle Michelin dal 2012, da anni nella Fifty Best (quest’anno al numero 32 ma l’anno prossimo ci si aspetta una avanzata valchiresca, dopo che Crippa ha utilizzato i giorni della Fifty Best torinese dello scorso giugno per accogliere chi conta nel suo ristorante, e pare fossero tutti felici di questa circostanza), e ora accanto allo Studio+, la nuova sala “omakase” alla piemontese che ha sostituito le poche stanze che c’erano prima, dove lui cucina per otto clienti quello che gli garba e come gli garba e pazienza se si deve dividere col ristorante stellato accanto, il tipo sprizza energia da ogni baffo e poi la squadra di Piazza Duomo va avanti che è una bellezza.


Piazza Duomo nasce dall’incontro nei primi anni Duemila tra il giovane Crippa, ancora qualche capello in testa, e la famiglia Ceretto, che andava cercando uno chef di talento a cui affidare un ristorante che si imponesse presto e andasse lontano. Fu Carlo Cracco a suggerire quel brianzolo così giapponese nel suo schivo rigore, pare che quando i due pianeti vennero a contatto Bruno Ceretto, allora scatola nera dell’azienda vinicola, disse bruscamente all’imperturbabile cuoco. “Dobbiamo arrivare in cima in fretta, questo territorio ne ha bisogno e lo merita. Capito Crippa? Capito Crippa? Capito Crippa?”.

E Crippa ha capito, eccome se ha capito. Ha avuto carta bianca e ci ha scritto frasi memorabili. Ha preteso il suo orto e i Ceretto gli hanno donato un gran pezzo di terra sottratta al Nebbiolo. Si è condannato a uscire dapprima mai e poi pochissimo dalla sua cucina, lui non è chef che vedrete in televisione se non per un’ospitata, mai a fare pubblicità a una gomma da masticare, poche consulenze, poche cene a quattro|sei|otto mani, lui è un uomo da spogliatoio, da factory, non si diventa un esempio sui giovani facendosi leggere sui libri o sulle riviste. Ha fatto conoscenza con un territorio che non era il suo, si sono annusati, dati del voi, poi del lei, quindi del tu e ora tubano d’amore.

Crippa soffre a vedere alcune preparazioni, alcuni piatti tipici piemontesi trascurati e moribondi, la finanziera, il carpione, l’insalata bergera, il fritto misto alla piemontese, lui pensa che il futuro del Piemonte sia quello, che il pensiero unico della fassona, dei tajarin, del vitello tonnato, dell’insalata russa (ogni onore e lode a loro, s’intenda) non porti alla fine molto lontano. E’ una questione di trasmissione dei saperi, di consapevolezza, perché il futuro non è invenzione ma un passato che ce l’ha fatta.

E peraltro da qualche tempo Crippa ha anche un’ossessione per il pranzo, è quello a suo modo divedere il “momentum” della grande cucina, quando c’è energia e tempo per digerire e riflettere.
I piatti
Piazza Duomo è un locale classicista, che non punta sulla teatralità. L’unica civetteria alla fine è il rosa delle pareti affrescate con motivi vegetali. I tavoli sono larghi e scopriremo presto perché, la mise en place tradizionale.

Due i menu degustazione: un percorso ben tracciato (Il Viaggio, otto portate, 290 euro), e l’altro non indicato sulle mappe (Seasonal Things, con piatti e ingredienti che cambiano di giorno in giorno, a estro della stagione, dell’orto, di Crippa stesso, 350 euro). Poi c’è una piccola carta (Vorrei), con un pugno di piatti diciamo “signature” da aggiungere alle tracce oppure con i quali disegnare il proprio itinerario: tra essi l’Insalata 21… 31… 41… 51… di cui sopra, la Carne cruda battuta al coltello e la Lasagna di animelle.

Mi siedo e, dopo qualche schermaglia, la tavola viene occupata quasi militarmente da un esercito di piattini: è l’idea di Crippa dell’antipasto alla piemontese, un “piccolo benvenuto”, come lo definisce adorabilmente il cameriere (e se era grande?, penso). Sono diciotto piatti malcontati, roba da mal di testa, roba da gioia infinita, roba da chiedersi: e dopo questo c’è una cena? Ma tutto scivola via con leggerezza, si tratta di bit per lo più vegetali, esercizi di calligrafia gastronomica, acronimi di idee a volte geniali, quasi dei trailer di possibili grandi piatti del futuro. Ne cito alcuni, non in ordine di preferenza, nell’impossibilità di un censimento completo: fagiolini con bernese verde e agretti di campo; rapa daikon fermentata nel miso servita con rucola e parmigiano; tatsoi, un cavolo cinese servito con filikaki e maionese di soia; germogli di amaranto, shiso e fragole, ricotta di pecora e salsa di pomodoro; due cialde di pane con all’interno pastrami di maiale; pesche dell’orto, bacche di goji ed estratto di barbabietola; tacos vegetariano di ceci farcito con scalogno, guacamole e maionese di soia; testina di maiale con bagnetto verde; cipollotto arrostito con sesamo e salsa satai.


L’antipasto è finito, inizia la cena. Prima traccia, una versione crippiana della saor ma senza sardina: un trancio di merluzzo con tempura, la salsa saor con cipolla, aceto e pinoli, cipolla bianca piemontese cotta al cartoccio sale e cipollotto. Seconda traccia, ceci dell’orto (e di dove, sennò?), crema di patate affumicate, olio al peperone e il ras el hanout dello chef (classico mix spezie che nel Maghreb è la cifra stilistica di ogni chef), ribollita in consommé con la stessa spezia. Poi un piatto che induce a un gioco di parole del quale di perdonerete: la trippa di Crippa. Che però abiura alle proteine animali utilizzando come struttura il pistillo del fiore di zucchina, che secondo lo chef ha la stessa consistenza dell’interiora, cotta al pomodoro con un po’ di pepe. Ultimo antipasto: un pak choi dell’orto bollito con latticello, salsa alla curcuma e accanto, da bere, un consommè di triglia e zafferano.


Un solo primo, ma che primo. Una taranta pugliese, dei cavatelli schierati nel piatto come soldatini, mantecati con salsa di pesce, olio al basilico e basilico dell’orto. I cavatelli sono nove ma ho sognato che si moltiplicassero almeno per tre. Infine, a chiudere la parte salata della cena, una rana pescatrice cotta al burro con peperone crusco, salsa di pomodoro legata al burro, pomodoro ananas dell’orto e un brodo-essenza con pesce e verdure dell’orto. Chiusura dolce. Un Omaggio a Kandiskij, tratto dalla piccola collezione di piatti che Crippa dedica agli artisti che lo ispirano. In questo caso trattasi di Cerchi in un cerchio. Un codice di geometrie esistenziali a base di pan di spagna inzuppato nello sciroppo di fiori di sambuco, due sorbetti di fragola e sambuco, composta di fragola, crema pasticciera e a coprire il tutto dei cerchi di cioccolato bianco, cioccolato fondente, caramello, lampone e mandorla.


Chiusura con la piccola pasticceria, un fuoco di fila a raffica di finger sweet: biscotti e praline: biscotto di meliga, crèpe con cacao e liquore 47 di arancia, caffè e chiodi di garofano, pralina di cioccolato e cuore di caffe, mikado di burro con riso soffiato, lampone e cioccolato, torta di nocciola. Chiusura distopica con una bevanda ispirata ad Arancia Meccanica di Stanley Kubrick: il Latte+ con grappa di moscato e vaniglia. La cena fila via veloce, il ritmo, si sa, ormai è un ingrediente fondamentale. Il servizio è soave, diretto con perizia dal restaurant manager, il pugliese Davide Franco. La carta dei vini, che è un grande tributo ai vini di famiglia e del territorio, spazia però in lungo e in largo ed è curata dal “cantiniere” Jacopo Dosio.



Contatti
Piazza Duomo
piazza Risorgimento, 4 – Alba (CN).
Tel. 0173366167.
Sito web: www.piazzaduomoalba.it
e-mail: info@piazzaduomoalba.it.
Aperto a pranzo e a cena, chiuso dalla domenica al martedì. A settembre e a dicembre aperto anche il martedì a cena. A ottobre e novembre chiuso solo l’intero lunedì e la domenica a cena