Da nove alla guida della sua Osteria dell'Orologio, Marco Claroni è oggi uno dei cuochi che meglio rappresentano il litorale romano, con una cucina di mare.
La Storia
Il sorriso di Marco Claroni è di quelli contagiosi,
spontaneo e uno sguardo profondo, soddisfatto, che esprime gioia e ottimismo. Certo, anche il fattore giovane età può intervenire a dare tanta freschezza, ma in realtà si tratta di un sorriso che è di consapevolezza ed entusiasmo insieme. Per incontrarlo basta andare a Fiumicino e chiedere di Marco Claroni, è molto conosciuto in città e tutti vi indirizzeranno all’Osteria dell’Orologio, proprio sul lungo canale, uno dei luoghi più caratteristici di questa parte di litorale romano, con le palazzine ottocentesche del Valadier, l’architetto che per primo si è occupato di dare alla cittadina un assetto urbanistico decoroso ed esteticamente armonioso.


Lo Chef
Se chiederete di Marco Claroni dovrete attendere la fine del servizio, ché lui è impegnato in cucina con la sua brigata a lavorare senza sosta, ma saprete ingannare l’attesa nel migliore dei modi, coccolati dal cibo e dai ragazzi di sala, molto preparati e disponibili. Nel frattempo, vi diamo noi qualche cenno biografico sul cuoco Claroni e magari capirete il perché di tanto contagioso sorriso.


In una realtà tanto ricca di ingredienti e prodotti, Marco si approvvigiona ogni giorno di pesce fresco che gli permette di indagarlo in tutta la sua interezza, in nome dello scarto zero, un’etica che oggi sempre più si fa valore essenziale in cucina senza essere moda. Il principio del “nose to tail eating” che ha lanciato Fergus Henderson – stella Michelin nel 2009, lo stesso anno in cui Marco ha aperto la sua osteria - nel firmamento della gastronomia mondiale, e che nei primi anni duemila suonava come provocazione e allarme contro lo spreco, oggi è uno dei cardini felici su cui si impernia anche tanta cucina nostrana, in nome della riscoperta di gesti connaturati nel nostro dna, e che vuole il ritorno all’utilizzo della totalità dei prodotti, dalle interiora al quinto quarto negli animali, alle bucce e ai semi e alle radici nella frutta e nella verdura. È in questo segmento che Marco sta scavando il proprio pensiero, in nome del rispetto della bontà di quanto il suo territorio gli offre, ed è per questo che tratta il pesce come la carne, acquistando pesci interi che lavora nella totalità, persino le lische. Il fondo bruno di tonno ne è forse l’esempio principe, realizzato con le stesse modalità di un fondo di carne, ma con le lische del tonno, cotte in forno e poi bagnate con vino e aromi, quindi portato in riduzione a partire da 50 litri di acqua.
I Piatti


L’inizio pasto è una piccola bussola per orientarsi nel pensiero claroniano, a partire dalla degustazione dell’olio locale della cultivar olivastra, da abbinare al pane home made di farina di tipo 1, e grissini al burro e alici. Il benvenuto della cucina è un aperitivo all’italiana che vede un susseguirsi di piccoli assaggi che trasfigurano il tipico antipasto di terra direttamente dentro il mare: dalla coppa di testa di polpo – con una gelificazione magnifica che ricorda una soppressata toscana – all’oliva all’ascolana (con avocado fermentato, palamita e buzzonaglia di tonno), il baccalà con arachidi e gel di crodino, il panino con pastrami di testa di ricciola – un vero e proprio salume -, una chip di mais al nero di seppia con colatura di alici e succo di limone. Una rassegna di piccoli bocconi che vuole esemplificare la metodologia che Claroni applica alle sue materie prime e che lo assimila a un norcino del mare, con le carni marinate e aromatizzate come fossero salumi.

L’antipasto dedicato alle bottarghe dà la misura dell’amore del cuoco per le essiccazioni, cui ricorre volentieri per esaltare la componente iodata intrinseca riducendo l’aggiunta di sale nelle preparazioni. Così il pan brioche fa da supporto a burro montato, cipolla e bottarga di muggine, ventresca di lampuga, burro alle alghe e ventresca di spada, con una goccia di confettura di fichi home made – a ricordare in tutto e per tutto prosciutto e fichi – per un’interpretazione plurima del pane burro e alici, in cui l’alice, prodotto da dispensa par excellence, trova ottime alleate e controfigure ideali nelle ventresche e bottarghe che entrano di diritto nella compagine delle conserve cui siamo abituati.


L’omaggio al gambero si dispiega nei due piatti successivi: il gambero bianco, kefir di panna affumicata, cialda a fieno, rinfrescati da cetriolo e cocomero – entrambi di Maccarese – croccanti, e il gambero rosso in tre diverse fogge, la polpa cruda, la testa al forno e il carapace fritto, legate tra loro da una delicata salsa agrodolce di peperone.



E poiché sì, dell’animale non si butta nulla, è anche giusto però capire che non tutte le parti possono avere la stessa lavorazione e cottura: così come per il gambero, anche il tonno contiene in sé infinite possibilità che Marco ben conosce. Ecco quindi arrivare una tetralogia: il tonno e pomodoro in due varianti, la prima una tartare di codella – parte superiore della coda – e panzanella di pomodoro a grappolo con gelato alle erbe, l’altra con una sfoglia di pomodoro camone, riso basmati e schiena di tonno magra con elisir di pomodoro datterino, per proseguire con una ventresca su salsa di pomodoro verde, burrata e bottarga di muggine. Grande ricerca su carne di tonno e carne del pomodoro – che hanno stessa dignità e intensità di sapori, entrambi indagati in varietà, lavorazioni e consistenze – che realizzano giochi di acidità e grassezza molto equilibrati, e che culminano con un coup de théâtre, una sorta di premio per palati valorosi, per golosi amanti dell’estremo.


Un boccone di ventresca con fondo bruno, aceto di riso affumicato tosazu e soya, una sorta di cioccolatino fondente di mare profondo che sfocia nell’umami, dà il la alla portata finale di questa rassegna, la pinna cotta alla brace con fagioli cannellini al forno, intera, da sporzionare e condividere, come una sorta di bistecca con l’osso, davvero straordinaria.

Una cucina bruta che vuole esaltare la materia prima nella sua purezza, ma che sa anche farsi addomesticare nell’estetica per cui Marco si dimostra versatile e al passo con i tempi, come nel caso dell’ottimo Polpo di scoglio, dalla cottura ineccepibile, con patate e pomodori crudi: un piatto ineccepibile e divertente, che si inscrive forse nella vague bistronomica, come nel successivo tonno alalunga scottato, con uovo di quaglia poché, maionese d’acciughe e salsa di lattuga, a strizzare l’occhio alla classica nizzarda, qui vestita coi sapori locali.


Tra i primi piatti, è ancora bistronomico, divertente e gustoso il Raviolo liquido di zuppa di pesce, più tradizionale ma non meno appagante la Tagliatella al burro con alici, fiori di zucca e tartufo, ricco in sapore e senza contrasti, all’insegna della gola.


Tra i secondi ritorna felicemente la forza del mare nella sua purezza, ed è di nuovo cucina bruta, senza fronzoli che distraggano il palato con visioni estetiche: il centrolofo cotto al vapore con erbe aromatiche – salvia, rosmarino e limone – servito con zuppetta al pomodoro e verdure croccanti, in una sorta di rivisitazione dell’acqua pazza originale soprattutto per l’uso del pomodoro a dare freschezza a una carne di fondale, recentemente riscoperta e giustamente valorizzata.


Fotografie dei piatti di Lido Vannucchi
Fotografie della sala di Oriana Majoli
Indirizzo
L'Osteria dell'OrologioVia della Torre Clementina, n 114 - 00054 Fiumicino RM
Tel. 06/6505251 – 347/5179051
Mail gerardafine@gmail.com - osteriadellorologio@gmail.com
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