A Viareggio al numero 18 c’è il Ristorante Da Pino, punto di riferimento della città da esattamente 40 anni.
La Storia
La Storia del ristorante Da Pino a Viareggio
Sono belle le città di mare, sono i luoghi di confine per eccellenza, tra l’orizzonte liquido in cui il sole sorge o tramonta, e la terra con le sue pianure e le sue montagne. Sono il luogo del compromesso tra l’uomo e la natura, in un bilico eterno nel tentativo di combatterne la forza pur piegandosi al ciclo vitale che impone. E sono il luogo in cui converge una moltitudine di diversità, in un incontro che è continua mescolanza. Forse è anche per questo che chi vive nei posti di mare ha sempre storie rocambolesche da raccontare, vissute direttamente o indirettamente, basta saperle cercare sui moli tra i pescatori, o nei vicoli delle città vecchia.
Per chi davvero volesse vivere una di queste storie nel racconto di chi le ha vissute, basta andare a Viareggio, in via Matteotti. Al numero 18 c’è il Ristorante Da Pino, punto di riferimento della città da esattamente 40 anni. All’ingresso sembrerà di entrare in una casa, con un vecchio bancone da bar, e fiori freschi e le credenze in legno con le porcellane Ginori, e tavoli ben apparecchiati. Due sale da pranzo ai lati, una più grande, l’altra più intima, per le occasioni speciali, con un grande tavolo ovale in legno e un centrotavola all’uncinetto. Ma soprattutto ci sarà ad attendervi il padrone di casa, Pino, fondatore del ristorante e capostipite di una famiglia che oggi lavora con lui alla seconda generazione.
La storia di Pino (ma il cui vero nome è Cosimo) Artizzu inizia nel 1944 in Sardegna, nel piccolo comune di Siurgus Donigala, in una famiglia numerosa; carattere inquieto, a 17 anni viene espulso dalla scuola dei Gesuiti e decide così di imbarcarsi volontario in Marina per poter iscriversi alla scuola per sottufficiali di Taranto, ma nel frattempo viene chiamato da dei cugini che vivono a Torino e hanno bisogno di un aiuto come lavapiatti nel ristorante in cui lavorano, la cui proprietaria è una signora di Viareggio. Durante il suo soggiorno torinese uno dei clienti del ristorante, già proprietario dell’allora Hotel Ristorante Baghino di Viareggio, chiede a Cosimo di andare a lavorare stagionalmente da lui, e Cosimo accetta, ignorando completamente che Viareggio fosse una cittadina toscana e non una strada di Torino, la Via Regio.
Così, dagli anni 1962 fino al 1968 Cosimo detto Pino, si divide tra Viareggio in estate e Milano in inverno: sono anni in cui Pino impara a riconoscere il pesce di qualità e a cucinarlo, impara che a Milano sono molto in voga gli antipasti caldi espressi, ancora sconosciuti a Viareggio in cui ancora dominano le insalate di mare, i paté di cernia, i gamberi in salsa aurora. Ed è così che piano piano Pino inizia a portare a Viareggio la moda milanese dei calamaretti bolliti con olio e limone, le zuppette di frutti di mare, gli scampi al vapore con i fagioli, e negli anni in cui lavora da Bonelli, il ristorante del mitico Gusmano Del Carlo, e dal Bombetta, la sua Aragosta alla Catalana, piatto tipico di Alghero che in Versilia ha rivissuto una grande epopea negli anni 70 e 80, sicuramente grazie a Pino. Nel 1979 si presenta la grande occasione di avere un ristorante proprio, così con la moglie Patrizia (conosciuta a Viareggio e sposata nel 1974) riesce a rilevare il vecchio Ristorante Da Giorgio e tutta la famiglia si impegna nella costruzione del nuovo locale. La cucina è quella che Pino ha imparato negli anni, con il pesce come protagonista del menu, la bottarga di muggine di Cabras che Pino ancora va a comprare direttamente in Sardegna, rigorosamente “con l’unghia”, quella punta bianca che è un’appendice della pancia che viene poi rovesciata e messa a essiccare tutt’uno con le uova.
Ma Pino è anche amico dei pescatori, e il pesce va sempre a comprarlo sul molo di Viareggio, principalmente dai “retinai”, quei pescatori che escono in mare la sera, gettano le reti per poi toglierle la mattina dopo e trovare così calamari, sparnocchi, triglie, sogliole – una pesca ben diversa dallo strascico, ché le reti si depositano sul fondo e restano ferme fino al giorno dopo. La mattina i retinai gli telefonano e gli portano il loro bottino, la sera invece arriva la pesca di fondale, e fino a qualche anno fa Pino aveva anche un orto a Piazzano, sulle colline camaiorese nel versante lucchese, con un oliveto che è ancora suo e che altri curano per lui dandogli l’olio che si trova solo nel suo ristorante. Ma Pino da sardo qual è, ama il mare ma porta nel sangue la terra e i sapori della campagna per cui l’elemento vegetale ha la stessa importanza del pesce, per cui si reca ancora di persona a raccogliere erbe e a selezionare le verdure nell’orto.
Oggi la seconda generazione della famiglia è ancora raccolta attorno ai genitori: il figlio Marco ha preso le redini della cucina, affiancato da Alfredo che è marito di Federica, nipote di Pino e donna di sala, mentre l’altro figlio Riccardo oggi lavora in altre realtà ristorative della Toscana, dopo avere imparato tutto dal papà.
I Piatti
Il menu di Da Pino parla il linguaggio della grande tradizione marinara, in armonica continuità col passato che Marco rispetta e valorizza con passione. “Della ristorazione di oggi non mi piace che non si usino più i coltelli ma solo i frullatori, e sento usare parole strane come croccantezza e sapidità, e mi capita di parlarne spesso con il mio amico Aimo che in estate passa sempre a trovarmi. Amo usare il girarrosto, il pesce alla brace è imprescindibile, e in occasioni speciali cuciniamo anche il maialino” racconta Pino.
Il crudo è un antipasto che è in carta per soddisfare la clientela, e il pescato locale offre mormora, ricciola, branzino, gamberi rossi, gamberi biondi, sparnocchi (così si chiamano le mazzancolle a Viareggio), scampi, accompagnati da pomodoro invernale merinda e cipolla. Ma per Pino il pesce crudo è soprattutto quello che mangiava da giovane con i trabaccolari marchigiani di San Benedetto che avevano fondato il quartiere della Darsena dove abitava anche Pino: nel pomeriggio, in pausa dal lavoro, si univa alle loro merende, un secchio d’acqua pieno di pesce che mangiavano crudo insieme al pane che portava Pino.
Da più di trent’anni in carta ci sono gli Scampi al vapore con bottarga di Cabras, olio evo di Castagneto Carducci (un ingrediente molto importante nella cucina di Pino) e fagioli schiaccioni di Pietrasanta, con una cucchiaiata di maionese realizzata con 4 uova e un tuorlo per ogni litro di olio, con limone e aceto. “Non amiamo gli ingredienti esotici come la curcuma o lo zenzero, non ne abbiamo bisogno, abbiamo un patrimonio nostro da conoscere e valorizzare, come ad esempio questa bellissima bottarga dei muggini degli stagni di Cabras, tagliata rigorosamente in petali, a dare quel suo aroma unico di mandorla, accanto alle note dolci e salate”.
Marco ha voluto riprendere l’insalata di mare in una chiave più attuale, seppure in continuità con il passato, sfruttando il pesce – in questo caso la seppia – nella sua totalità, senza scarto: dall’arancino al nero, al caviale di seppia, la polpa cotta al vapore e l’accompagnamento di un’insalatina di ravanelli e puntarelle, per cui anche il pentagramma gustativo è rispettato in tutte le sue note dominanti, e le consistenze mostrano tutto il rispetto per una grande materia prima.
Non c’è iato temporale negli Sparnocchi con cipolla rossa di Tropea in agrodolce e noci, un piatto creato da Pino nel 69, apparentemente povero, ma in cui in realtà la cipolla per la delicatezza con cui viene trattata nell’abbinarsi all’aceto, raggiunge un livello agrodolce talmente elegante da risultare modernissima protagonista del piatto.
Tra i primi piatti ottimi gli Spaghetti ricci e bottarga, una sorta di aglio olio e peperoncini con i ricci arrivati poche ore prima e aggiunti in mantecatura, perché l’imprevedibilità del mare permette anche di improvvisare dei piatti al momento, a seconda di quel che arriva in cucina ogni giorno.
E insieme a un Vermentino Sciala di Surrau, con vendemmia tardiva del 2016, non potrebbe mai mancare la Catalana, quella con le aragoste piccole perché più tenere, fedele all’antica ricetta di Alghero che Pino cucina con lo stesso metodo – ora trasmesso a Marco, certo – fin dagli anni 60, con la speciale emulsione a base di olio evo di Bibbona del 2018, aceto e fegato di aragosta. L’abbinamento con pomodoro (che in estate è rigorosamente il canestrino lucchese) e cipollotti a sgrassare la dolcezza dell’aragosta, è quello che Luciano Zazzeri definisce “l’abbinamento perfetto”.
In questa koinè sardo toscana che è proprio come la parlata di Pino che mescola l’accento sardo con parole viareggine mentre i suoi occhi si animano di una passione che il tempo non può spegnere, il pasto deve per forza finire con un assaggio di formaggi, naturalmente pecorini sardi; due pecorini 100% da latte di pecora, proveniente dall’Ogliastra, uno semistagionato l’altro più stagionato con la marmellata di pere e i fichi caramellati, entrambi fatti da Patrizia. “Per un sardo la pastorizia è essenziale – e i recenti fatti saltati agli occhi della cronaca mostrano l’importanza che ancora riveste questa attività, per fortuna – e non dimentichiamo quanto è forte la comunità sarda in Toscana, richiamata qui per le terre mezzadrili che venivano date in pascolo negli anni 60 e 70, un fenomeno economico e antropologico importante ma spesso sottovalutato, che ha permesso che la pecora sarda sia stata “esportata” in continente e ancora oggi contribuisca a rendere noti e pregiati i formaggi su tutto il territorio nazionale. Un argomento complesso che meriterebbe di essere coltivato e per cui vala davvero la pena riviverlo attraverso il racconto di Pino che si presta volentieri a darne testimonianza.
Il capitolo dessert è il territorio di Patrizia, donna di sala quando Pino era in cucina, e oggi nonna premurosa che si occupa ancora di tutto ciò che fa “credenza” nel vero senso della parola, dall’amore per le porcellane Ginori collezionate negli anni che ancora oggi fanno bella mostra in tavola ma anche nelle vetrinette, fino al confezionamento di conserve, marmellate e dolci. Lei timidamente sostiene che i suoi sono dolci casalinghi, nel tempo ha imparato a farli “a occhio”, ma la zuppa inglese, con quella crema soda preparata con 6 uova – del contadino, beninteso – ogni litro di latte, con quella consistenza soda e flottante, e i savoiardi inzuppati nella bagna, oppure le crostate di ricotta e crema e i dolci del calendario – come le frittelle di riso per carnevale – sono il tocco finale di una cucina antica, senza tempo, e proprio per questo intramontabile, confortante e impeccabile.
Fotografie di Lido Vannucchi
Indirizzo
Ristorante Da PinoVia Giacomo Matteotti, 18 - 55049 Viareggio (LU)
Telefono: +39 0584 961356
Sito web