Alberto Bettini di Amerigo spiega il gioco del tartufo: una scacchiera di pedine bianche e nere che cambiano ruolo senza perdere gusto. Anche conservate a cotto, puntualizza Davide Caranchini.
La Storia
Non solo Alba, non solo Norcia. C’è chi non lo sa, ma fra le zone più produttive di pepite bianche e nere c’è l’Appennino emiliano. Tanto che Alberto Bettini, oste patron di Amerigo, storica stella di Savigno, ne ha fatto il suo emblema con lo zampino dei cani di Appennino Food, che produce la linea La Dispensa di Amerigo, ma raccoglie e commercializza anche i preziosi tuberi. Il magnatum pico cambia molto, secondo che cresca sotto un pioppo (sarà allora chiaro e schiacciato), una quercia o un carpino (che lo rendono giallo, irregolare, intenso e durevole), un tiglio (ed eccolo biancastro e penetrante) o un nocciolo (tartufo quest’ultimo di medio profumo, giallognolo e regolare). Cresce da ottobre a gennaio, sempre in occasione di una sofferenza della pianta; il bianchetto o marzuolo da dicembre ad aprile. Poi ci sono i neri: il tuber aestivum (da giugno a ottobre), l’uncinato (da settembre a gennaio), il raro liscio (ottobre-novembre) e il pregiato, dagli aromi morbidi di brandy e cioccolato, disponibile da dicembre a fine marzo.Coprono praticamente tutto il calendario, che finisce per somigliare a una scacchiera di pedine bianche e nere. E per i cuochi non sono necessariamente le prime a vincere il match: delle altre varietà è anzi apprezzata la duttilità nella trasformazione, che consente una maggiore espressione. Da Amerigo ogni tartufo ha le sue ricette, anche nei classici abbinamenti con uova e carboidrati. In tempi di estivo sono tre: la battuta di diaframma di bianca modenese versione finger, riuscito food design con la mano che scalda il tartufo; gli gnocchi per il classico abbinamento con la patata, dove il condimento è ottenuto macinando insieme e lasciando riposare un mix variabile di tuber e Parmigiano, in modo che i grassi animali si carichino degli aromi; una “zuppetta” con patate, funghi e uovo. Il bianco sposa le tagliatelle, il pregiato le lasagne al ragù bianco, il marzuolo, particolarmente potente, lo gnocco ripieno, il liscio lo spaghettino. Ma in dicembre e gennaio si può trovare anche un hit del ristorante: il risotto ai tre tartufi, bianco, nero pregiato e scorzone. Capitolo uova, il bianco finisce affettato sull’albume montato con tuorlo liquido e fonduta di Parmigiano, lo scorzone e l’uncinato sul classico uovo in camicia con i funghi, il pregiato sull’uovo a bassa temperatura impanato e fritto, in salsa tipo norcina e al microplane.
Il chilometro zero, del resto, è da sempre la regola di Amerigo, che opera in una zona vocata come poche. “Ed è bello far lavorare una valle. Da qualche tempo, però, si è seccata la sorgente del salmerino del Corno alle Scale; inoltre abbiamo scoperto che i nostri gamberi di fiume erano solo stabulati in zona. Anziché rifornirci altrove, sul pesce ci siamo dati una gittata regionale: facciamo i molluschi adriatici e grossi esemplari pescati all’amo e affumicati. Ci aiutano ad alleggerire i menu estivi, visto che il nostro è un repertorio più invernale. Ma ci sono anche tante verdure: è la materia prima che decide con la sua stagionalità. Anche le farine sono locali: abbiamo cambiato la ricetta della sfoglia, spessa, chiara e rustica, con le uova di Ginetto e una farina tipo 1 macinata a pietra, come una volta. E viene dal fiume l’argilla per cuocere polli e faraone, disponibili in forma conviviale previa prenotazione. Ma non si tratta di nostalgia, perché prima tanti prodotti di qualità non c’erano. Noi guardiamo avanti”. Né va diversamente in cantina, con una carta dei vini dei Colli Bolognesi a sé, didattica grazie alle sue mappe.
È infatti la coerenza la forza del ristorante, nonostante uno statuto inclassificabile: un po’ trattoria (Amerigo fa parte delle Premiate Trattorie Italiane), per la proposta senza azzardi e per i prezzi (i menu degustazione costano 35, 45, 55 euro); un po’ gourmet, stellato da 22 anni, in anticipo clamoroso su tendenze quali il foraging e la prossimità. Il bambino che sfreccia in bicicletta verso casa tra i tavoli del dehors non se lo domanda: è il chilometro zero del cuore. Bettini del resto non è ingenuo: aggiornatissimo sulle ultime tendenze, lui che viene dalla moda, è stato un habitué di elBulli, ristorante apparentemente agli antipodi, dove per ben due volte ha mandato indietro il celebre tagliolino di gelatina con olio al tartufo di sintesi. E con lui da 3 anni c’è Giacomo Orlandi, generazione Alma, già capopartita da Piège. “Ma voglio rimanere una trattoria, perché sono cocciuto. Mi piace vedere il locale pieno, anche se non supero mai i 50 coperti”.
Sul tartufo però c’è anche chi la pensa (e la cucina) diversamente: per esempio Davide Caranchini, giovane chef stellato di Materia a Cernobbio, che ha riesumato la tecnica classica della conservazione del tartufo a cotto. Usa estivi di Rovenna, sopra Cernobbio, che prolunga fino all’inizio del pregiato. “Ma essendo meno carichi, li spingo con un brodo ottenuto dagli scarti del melanosporum. La prima bollitura salata al 2% viene messa da parte e utilizzata per cuocere mezz’ora a 100°C gli estivi al chiuso, in modo da evitare dispersioni. Da Le Gavroche aggiungevamo il Madeira, la cui dolcezza e ossidazione risultavano un po’ invasive; preferisco dare acidità, anche a fini conservativi, con l’aceto di mele, che è più neutro, fino a un PH inferiore a 5. Chiaramente la consistenza cambia, è più morbida che croccante. Quindi l’uso è a fette dentro altre preparazioni, per esempio un millefoglie di rapa fermentata, indivia confit in olio di noci e al barbecue, vinaigrette al burro nocciola per un’esplosione terrosa”.
Indirizzo
Ristorante Amerigo 1934Via Marconi, 14-16 Savigno - Bo
Tel. +39 051 670 8326
Pagina Facebook