Avanza il fine dining in Medio Oriente: fra i protagonisti c’è Giorgio Diana, che si prepara a inaugurare il suo ristorante Solaya ad Amman.
La Notizia
C’è qualcuno che in Medio Oriente ha trovato l’America: è Giorgio Diana, chef sardo nei suoi primi 30’s, per 3 anni abbondanti cittadino cairota, oggi trasvolato ad Amman. Recentemente premiato per il miglior ristorante italiano e il miglior fine dining da World Luxury Restaurant Awards, ha automaticamente incassato il riconoscimento quale Best Head Chef del continente africano con il Pier 88 Nile River, uno dei cinque ristoranti del gruppo che ha appena lasciato. Ma è stato anche official chef della manifestazione The Best Chef a Barcellona. Riconoscimenti pesanti, che gli hanno messo le ali. “Cos’è successo? Ho capito che avevo voglia di qualcosa di mio. Avendo girato il mondo, ho sentito che era il momento di fermarsi”.L’approdo non è caduto lontano: il suo nuovo ristorante, chiamato Solaya (che significa passione per la vita e luogo irradiato dal sole), aprirà tra un mese ad Amman, capitale giordana, nel quartiere vip delle ambasciate. “E sarà uno dei top restaurant del Medio Oriente: abbiamo speso in tutto 6 milioni di dollari, 1 milione solo per la cucina, tutta a induzione. La compagnia si chiama Atico e ha ristoranti e hotel in tutto il mondo, da Berlino a Barcellona, al Cairo. Sono entrato come corporate executive chef degli 8 ristoranti mediterranei, compreso quello di Dubai che aprirà l’anno prossimo. E ho carta bianca, perché il proprietario Essam Fakherldin è un grande gourmet, che ringrazio”.
“Non bisogna pensare che la Giordania sia povera: questa è una piccola Dubai dove tutto funziona a meraviglia. Sembra di essere in Germania. E non ho nessun problema a fare la spesa, contrariamente all’Egitto. Alcuni prodotti locali sono eccellenti: faccio il sale da solo, perché l’acqua del Mar Morto ne è composta per l’80%, basta farla evaporare; la carne è molto buona e la selvaggina abbondante, perché in inverno nevica. Qui ci sono tutte le stagioni”.
“Faremo una cucina non proprio fine dining, ma su quella via. Perché agli arabi piace la condivisione. Entrando ci saranno su un lato le vetrinette della cantina a vista, con 200 referenze al piano inferiore, fra cui Barolo e supertuscans; su un altro quelle del dry-aging per la frollatura della carne. Poi il bancone degli affettati, compresi pastrami e bresaola, perché qui ci sono anche i cristiani; 7 tipologie di pane, la Berkel e i formaggi. E ancora l’Oyster bar per le crudité: ricci, gamberi rossi, king crab. In menu solo paste fresche o trafilate al bronzo in casa. La nostra vuole essere una cucina mediterranea italiana con un twist asiatico, penso al tonno alla soia o al king crab con maionese al wasabi”.
120 coperti per una spesa media di 50 euro, 41 cuochi e 9 pasticcieri in brigata, fra cui il pastry chef Marco Tola. Numeri da sogno in una terra dove la ristorazione gourmet si è impennata, aspettando Michelin. “Stiamo cercando di farla arrivare in zona, pare che ci siano già stati contatti con qualche governo. So che sono passati a Dubai, magari un giorno ci sarà una guida per il Medio Oriente”, scommette fiducioso Diana.