Alain Ducasse a briglia sciolta sulle svolte della sua vita professionale, la ricetta del successo, il fattore umano, la cucina francese e le sfide della gastronomia contemporanea.
La notizia
Nella sua vita Alain Ducasse ha segnato il record delle stelle Michelin, attribuite a diversi stili di cucina e di ristorazione, accomunati da standard di eccellenza. Sarà per questo che da qualche tempo, complice la crisi anche psicologica del covid, guarda oltre i punteggi in cerca di altre soddisfazioni, più democratiche e perfino sociali, immuni dall’esclusività e dall’autoreferenzialità del fine dining.A questa consapevolezza è arrivato dopo una vita di svolte, iniziata da bambino quando ha deciso di fare il cuoco contro il volere dei genitori, che avrebbero preferito lavorasse in campagna come loro. Un’inquietudine che non ha mai smesso di accompagnarlo e che si è tradotta recentemente in un nuovo modello di business, diverso dall’ospitalità pura. “Il secondo momento decisivo è stato quando il principe Ranieri III mi ha affidato la responsabilità del ristorante Louis XV a Monaco. Le stelle che vi ho conquistato hanno fatto una grande differenza per tutto il settore, soprattutto perché fino a quel momento nessun palace aveva servito alta cucina nei suoi ristoranti. Ma per quanto siano stati cruciali, questi passaggi ormai per me sono storia. Preferisco guardare al futuro e menzionare svolte recenti, come l’apertura della Manifattura del cioccolato nel 2013, seguita da quella del caffè, del gelato e ultimamente dei biscotti”.
“La ricetta del successo è una sola: lavorare di più, meglio e in modo più veloce degli altri. Più seriamente, se vuoi avere successo, non devi avere paura di fallire. Perché da errori e fallimenti si impara. Aggiungerei che nessuno ce la fa da solo: se sono in grado di mandare avanti così tanti ristoranti, manifatture e una scuola di cucina, è perché ho saputo assemblare un gruppo di talenti e di professionisti eccezionali. Io sono il direttore della mia compagnia: significa che ho la visione. Do l’impulso e poi la squadra realizza l’idea. Intorno a me ho la fortuna di avere gli stessi collaboratori da dieci, venti e perfino trent’anni. Sono totalmente imbevuti della mia filosofia”.
“Molte persone sono ancora convinte che la cucina francese sia questione di ricette. Ma di fatto si tratta principalmente di tecniche. Per quanto riguarda le cotture, il nostro repertorio è vasto: è possibile bollire, cuocere a vapore, brasare, affogare, arrostire, fare crogiolare, friggere eccetera. Lo stesso si potrebbe dire dei molteplici modi di tagliare le verdure. La cucina francese offre anche una vasta gamma di tecniche per preparare salse e fondi. Nel momento in cui capisci questo, realizzi che la cucina francese può essere applicata ovunque, quali che siano i prodotti tipici. Noi non siamo un impero, ma un gruppo di artigiani. Siamo glocal: abbiamo una visione globale, ma agiamo localmente. La visione globale riguarda le sfide chiave che il comparto si trova a fronteggiare, l’applicazione locale coglie le opportunità. La qualità, che resta la prima cosa nel settore, è una questione di risorse umane, formazione e motivazione”.
“Noi, abitanti della terra, stiamo affrontando una grande sfida: come nutrirci senza esaurire le risorse naturali del pianeta. Richiede un nuovo approccio all’agricoltura, un modo di pescare più sostenibile e un uso più responsabile dell’acqua. Richiede anche che cambiamo le nostre abitudini alimentari, con più opzioni vegetali e meno carne. Gli chef hanno un ruolo da interpretare, incoraggiando i produttori che lavorano in simbiosi con la natura e contribuendo all’educazione dei consumatori”.
Fonte: khaleejtimes.com
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Foto di copertina: @Getty Images via AFP