Chef

Alain Ducasse: 66 anni e 34 ristoranti. “Ho iniziato nella fattoria di famiglia”

di:
Alessandra Meldolesi
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La pubblicazione di Une vie de goût et de passions fornisce ad Alain Ducasse l’occasione per tirare i fili di mezzo secolo in cucina, delineando progetti e desideri. “Ma non sono le mie memorie”.

La notizia

Ogni intervista ad Alain Ducasse è una notizia. Non fa eccezione quella recentemente concessa a Radio France, nella quale dice la sua a briglia sciolta, dai ricordi d’infanzia agli obiettivi professionali, fino alla condizione in cui versa la cucina francese.


Soffro di bulimia verso tutto quello che non ho ancora assaggiato, scoperto, visto. Non sono mai sazio”, confessa il grande chef, il cui pallottoliere di ristoranti e stelle non sta mai fermo (ne detiene attualmente 17, per un totale di 34 locali). Ora, tuttavia, è il momento di palline di un altro colore: le manifatture. “Voglio trattare i prodotti del mare oppure fare biscotti (ecco come), insieme a giovani collaboratori preziosi che hanno un talento folle. Senza lasciare la cucina, che è la mia radice profonda, intendo occuparmi dei nutrimenti terrestri, che non ho ancora abbordato. E sono numerosi”. La cosa più eccitante, in questo momento della sua carriera, sarebbe accompagnare i trentenni verso il successo. “So di essere un insaziabile curioso, domani scoprirò sicuramente un nuovo cuoco”.


Il suo ultimo libro, Une vie de goût et de passions, racconta un romanzo di formazione sotto il segno della “naturalité”, iniziato da bambino nella fattoria di famiglia del sud ovest. “Ho inciso nella memoria il gusto di un pisello, di un cipollotto, di una patata, di un’insalata. Alle undici e mezzo ci chiedevamo cosa avremmo mangiato a mezzogiorno e scendevamo nell’orto per controllare cosa fosse pronto. Vivevamo di una cucina del poco, sulla terra che ci nutriva”. E ancora il maiale allevato in casa con il suo lardo, il pollo arrosto e la blanquette di vitello della nonna. “Dal macellaio andavamo una volta a settimana, poi c’era il pollame della fattoria, quindi erano due proteine, anche per risparmiare. Qualcosa di semplice. Mezzo secolo dopo è quello che voglio propagandare: la ‘naturalité’ è nata molto tempo fa”.

Crediti Pierre Monetta



“A dodici anni, senza essere mai stato al ristorante, ho detto: adoro il gusto, adoro l’orto, adoro la fattoria e farò il cuoco”. A seguire l’omaggio ai maestri: Michel Guérard per l’apertura spirituale, Gaston Lenôtre per la pasticceria, Roger Vergé per l’organizzazione della cucina, soprattutto Alain Chapel per il gesto e il rigore. Ma c’è anche l’incidente aereo cui è sopravvissuto per miracolo. “Esperienze di cui bisogna approfittare per condividere e donare”.


Quasi mezzo secolo in cucina gli ha insegnato che “la cosa più importante è padroneggiare le basi, la selezione perfetta dei prodotti, la preparazione perfetta, la cottura perfetta, il condimento perfetto, l’armonia perfetta fra piatti e vini, la gerarchia fra inizio e fine del pasto. Insomma il savoir-faire francese, che cerchiamo di trasmettere ai numerosi studenti delle nostre scuole. La mia ossessione è viaggiare per arricchirmi e trasmettere quello che so, favorendo la diffusione della ‘naturalité’, perché sarà necessario nutrirsi meglio, pensando prima di mangiare. Se il cibo è buono per il corpo, è buono per il pianeta. È questo l’orientamento che voglio imprimere al mio lavoro”. Complimenti, quindi, a Daniel Humm per il primo ristorante vegetariano a tre stelle del mondo. “Ho fatto una cena straordinaria. Spero che da lui possa partire un movimento, che faccia capire agli americani che occorre mangiare diversamente”.

FRANCE - Tags: FOOD SOCIETY



Quanto all’attualità, le classifiche internazionali continuano a premiare altrove. “Significa che tutti i paesi aspirano a porsi come destinazioni gastronomiche, quindi si sono fatti largo. E il mondo anglosassone è potente. Forse ci siamo un po’ seduti sugli allori per abitudine. Il pianeta è in movimento, i talenti sono dappertutto, la conoscenza si diffonde. Bisogna svegliarsi. Restiamo fra le cucine migliori del mondo perché abbiamo delle basi, insegniamo, siamo influenti, ma non basta. Ai livelli più alti dello stato, non abbiamo prestato sufficiente attenzione a chi siamo: il paese della moda e della gastronomia”.

Fonte: radiofrance.fr

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